
Munizioni italiane in Myanmar: la Rete Pace e Disarmo chiede di indagare
Preoccupa la notizia del ritrovamento di alcuni bossoli di munizioni made in Italy probabilmente utilizzate dall’esercito, dopo il colpo di Stato in Myanmar, per un agguato ad un’ambulanza, «quindi in un contesto di ovvia violazione di diritti civili e di rafforzamento dell’autoritarismo dei militari dello Stato asiatico». La denuncia di oggi della Rete Italiana Pace e Disarmo (RIPD) si aggiunge a quella già lanciata dal Consiglio di Sicurezza Onu, che chiede lo stop della vendita di armamenti verso il Myanmar, «ricordando che già dagli anni ’90 è in atto un embargo totale europeo sulle armi».
Innanzitutto, precisa la Rete, occorre fare chiarezza sul percorso che ha portato queste munizioni in Myanmar. La società produttrice, la Cheddite srl di Livorno, «ha smentito qualsiasi fornitura diretta» proprio in ragione dell’embargo già in essere. La Rete ipotizza dunque «una “triangolazione” favorita da altri Paesi destinatari delle vendite della Cheddite srl».
Si rende «necessario da parte delle autorità italiane competenti», afferma Giorgio Beretta (analista della RIPD e dell’Opal Brescia), «un attento esame delle esportazioni di munizioni effettuate dalla azienda in questione per verificare se siano state in qualche modo esportate illegalmente o riesportate da Paesi terzi senza la necessaria autorizzazione da parte dell'Italia».
C’è poi un problema di trasparenza, quando munizioni e armamenti vengono venduti con licenze non militari ma generiche, «sicuramente meno trasparenti e con più possibilità anche di aggiramento successivo da parte dei destinatari, come sembra dimostrare la “triangolazione” verificatasi in questo caso».
La RIPD chiede dunque a governo e Parlamento di «aprire una indagine completa e approfondita» «al fine di capire sotto quale normativa e con quali procedure siano stati autorizzati all’esportazione i lotti relativi alle cartucce trovate in Myanmar»; di «inserire tutte le esportazioni di armi e munizioni sotto le procedure previste dalla Legge 185/90 senza fare distinzioni tra armi comuni e militari come avviene al momento»; infine di «promuovere da parte dell’Italia un’azione più concreta e decisa a livello internazionale (Unione Europea e Nazioni Unite) per mettere sotto controllo i flussi relativi al commercio di munizioni e munizionamento di tutte le tipologie».
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