Nessun articolo nel carrello

Il sogno

Il sogno

Newsletter n. 218 dell'11 marzo 2021


Carissimi,

come di Giovanni XXIII ci fu un “discorso della luna” che la sera del Concilio doveva aprire una nuova stagione della Chiesa fuori dalle strettoie costantiniane e identitarie, così di papa Francesco c’è stato un “discorso delle stelle” suscettibile di aprire una nuova stagione della storia del mondo, fuori dagli affrontamenti religiosi esercitati in nome di un Dio violento. È il discorso che papa Francesco ha pronunciato nel deserto di Ur, con gli occhi alle stesse stelle additate da Dio ad Abramo, padre delle fedi.


“Dobbiamo riportare l’Iraq all’età della pietra”, aveva brutalmente replicato la premier inglese Margaret Thatcher nel 1990 all’inviato di Gorbaciov, Eugenij Primakov, che cercava di scongiurare lo scempio di una guerra scatenata dall’Occidente nella terra tra i due fiumi; ed ecco che ora il ritorno a quelle antiche pietre avviene, ma nel rovesciamento di un papa che va a chiederne perdono per fare di nuovo spazio al “sogno di Dio”. E proprio qui sta tutto il significato del viaggio di Francesco in Iraq. Lo aveva enunciato fin dal messaggio televisivo da cui si era fatto precedere presso gli iracheni: egli andava lì come “pellegrino penitente”: incolpevole, andava a chiedere perdono per guerra e terrorismo, e come pastore di una Chiesa martire, andava a chiederle di non chiudersi nella propria identità ferita. Ciò perpetuerebbe infatti nel tempo un’inguaribile contrapposizione, come dice la storia e come dimostra la mai rimarginata lacerazione del genocidio armeno; infatti “solo con gli altri si possono sanare le ferite del passato”,


Ma qual è il sogno di Dio che papa Francesco è andato a risvegliare nel riconsacrato deserto di Ur dei Caldei? È “che la famiglia umana diventi ospitale e accogliente verso tutti i suoi figli; che, guardando  il medesimo cielo, cammini in pace sulla stessa terra”; è il sogno di Dio ma è il sogno anche di Francesco, ed è il sogno laico di una terra riconciliata, di una “pace perpetua”, per mano degli uomini e delle donne di buona volontà. Sarà un’utopia, ma intanto almeno è un progetto. Abbiamo di che lavorare.


C’è una condizione perché questo sogno si realizzi: occorre che nessuno resti murato nella propria identità, ma che ciascuno si scambi con l’altro, prenda su di sé le sofferenze e il destino dell’altro, e insieme anche la cura della terra, la responsabilità della casa comune. Perciò come cristiano papa Francesco ha voluto andare lì per riconciliarsi con i musulmani, con gli ebrei e coi fratelli e sorelle di altre religioni, e come figlio di Abramo è andato lì a invocare “passi concreti” di un peregrinare di ciascuno “alla scoperta del volto dell’altro”, protesi tutti a “condividere memorie, sguardi e silenzi, storie ed esperienze”, per scoprirsi tutti fratelli.


Tutto il viaggio si è mosso su questo doppio registro, quello dell’identità, per l’immersione nelle comunità cristiane sconvolte, e quello della totalità per l’abbraccio più che fraterno con tutte le religioni e le sofferenze umane; ma la novità era che la stessa identità cristiana ormai non si mostrava più come l’orgogliosa rivendicazione di un proprio privilegio in ordine alla salvezza, ma era già giocata nella totalità, nell’uscita da sé, essendo le due cose, identità e totalità, congiunte già dall’origine  nella duplice missione del Cristo, fonte della sua Chiesa e pegno dell’unità dell’intera famiglia umana. Ma la novità era pure che a questo stesso processo apparivano convocate oggi le altre religioni del mondo; e se ad Abu Dhabi papa Francesco aveva celebrato la fratellanza col grande Imam al-Tayyeb dei sunniti, a Najaf ne ha ripreso la trama nell’incontro con il grande Ayatollah Al Sistani leader della comunità sciita. Questi gli ha detto una frase che lo ha colpito, e ha poi ripetuto ai giornalisti nel volo di ritorno a Roma: “gli uomini sono o fratelli per religione o uguali per creazione”: la fratellanza e l’uguaglianza, ha commentato Francesco, ed ha aggiunto: ma al di sotto dell’uguaglianza non possiamo andare.


Per parte sua papa Francesco ha fatto la sua scelta, ha attestato la Chiesa sulla frontiera della fratellanza. Non è affatto una scelta scontata, non è senza rischi; ma, ha aggiunto su quell’aereo del ritorno che spesso aggiunge ai viaggi un inedito momento di verità, “tante volte si deve rischiare per fare questo passo: ci sono alcune critiche: che il papa non è coraggioso, è un incosciente, che sta facendo dei passi contro la dottrina cattolica, che è a un passo dall’eresia… Ci sono dei rischi...”.


Francesco si è preso i suoi rischi. Sulla sua parola, sarebbe tempo che tutta la Chiesa si assumesse i suoi.

Con i più cordiali saluti


 

 

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

Sostieni la libertà di stampa, sostieni Adista!

In questo mondo segnato da crisi, guerre e ingiustizie, c’è sempre più bisogno di un’informazione libera, affidabile e indipendente. Soprattutto nel panorama mediatico italiano, per lo più compiacente con i poteri civili ed ecclesiastici, tanto che il nostro Paese è scivolato quest’anno al 46° posto (ultimo in Europa Occidentale) della classifica di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa.