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Una patrimoniale della solidarietà. la proposta di Azione cattolica ambrosiana e Città dell’uomo

Una patrimoniale della solidarietà. la proposta di Azione cattolica ambrosiana e Città dell’uomo

MILANO-ADISTA. Un «contributo di solidarietà» da chiedere a chi sta meglio per tentare di ricomporre, o mitigare, gli squilibri sociali provocati dalla pandemia e dalla misure restrittive che hanno messo in ginocchio molte attività economiche, costrette alla chiusura. Lo propongono l’Azione cattolica ambrosiana e Città dell’uomo (l’associazione cattolico democratica fondata da Giuseppe Lazzati) in un documento congiunto titolato «Per un Paese solidale. Dalla crisi pandemica a una proposta: il contributo di solidarietà».

«La pandemia da Coronavirus Covid-19, che molti pensavano di potersi lasciare alle spalle dopo pochi mesi, continua a mietere vittime e a colpire inesorabilmente, soprattutto le persone più fragili», scrivono le due associazioni cattoliche. «Nelle ultime settimane, il disagio è cresciuto in modo esponenziale e l’iniziale crisi sanitaria, diventata poi crisi economica, si sta trasformando sempre più in profonda crisi sociale. Le manifestazioni di piazza, fortunatamente ancora contenute, sono segnali preoccupanti di gravi difficoltà da parte di categorie di lavoratori e lavoratrici che fanno fatica ad andare avanti. Al netto di deplorevoli ritardi, gli interventi straordinari di sostegno economico erogati dallo Stato rivestono un significato apprezzabile, ma soltanto lenitivo di condizioni variamente precarie».

Occorre allora rimettere al centro la questione lavoro. «La proroga della cassa integrazione e del blocco dei licenziamenti – prosegue il documento – tempera, momentaneamente, le tensioni latenti fra molti lavoratori e lavoratrici, consapevoli, una volta ripiegate le reti di protezione, del rischio di “finire sulla strada”. Con esistenze personali e vite familiari inevitabilmente sconvolte. E il rischio, nel caso di dismissioni complete di attività aziendali, di vedere messi di colpo sottosopra consolidati assetti socio-territoriali».

Ma la pandemia è, in un certo senso, una causa secondaria. Infatti «il virus ha messo a nudo quanto abbiamo costruito negli ultimi decenni: l’impalcatura, cioè, di una società caratterizzata da profonde diseguaglianze, da un individualismo spinto e dalla cieca fiducia in un mercato libero di autoregolamentarsi, dove economia e finanza tendono a produrre ricchezza fine a sé stessa, da spartirsi fra poche persone e poche imprese. Questa impalcatura ha finito con il produrre un sistema in cui privato e pubblico, profitto e “bene comune” risultano divisi. Con la persuasione, tanto ideologica quanto fallace, di un progresso indefinito per l’individuo e la società nel suo insieme, a patto di non “frenare” la crescita economica dei liberi scambi».

L’emergenza pandemica, inoltre, ha evidenziato «la crisi dei sistemi di welfare, indeboliti negli anni da crescenti tagli di spesa. Quanto al caso specifico del nostro comparto sanitario, soggetto negli ultimi decenni a una logica di privatizzazione e di competizione tra territori, abbiamo toccato con mano due limiti evidenti. Primo: la costruzione e il consolidamento di poli ospedalieri, privati e pubblici, di eccellenza, a scapito dello sviluppo di una sanità territoriale e di prossimità, in alcune zone del Paese drammaticamente lacunosa», come dimostra più di tutti il «il caso-Lombardia»). «Secondo limite: un’organizzazione regionale della sanità impermeabile alle esigenze di coordinamento nazionale, anche perché ostaggio di una costante propaganda politica, che nella stessa vicenda pandemica non desiste dal perseguire interessi di parte».

I fondi europei – scrivono ancora Azione cattolica ambrosiana e Citta dell’uomo –, se ben utilizzati, evitando dannosi «assalti alla diligenza», costituiranno sicuramente un’importante risorsa. Ma a dover essere messo in discussione è il «modello di sviluppo»: «Se nei settori economico-finanziari si procede con logiche di massimizzazione del profitto fine a sé stesso, fuori da qualsiasi attenzione a forme di “economie solidali” e di crescita “sostenibile”, si rimane in un vicolo cieco, di automatica riproduzione delle suddette diseguaglianze».

Ecco allora la proposta di utilizzare la «leva fiscale», come peraltro la Costituzione comanda, all’articolo 53: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».

Si tratta, per la precisione, «di un contributo di solidarietà di durata biennale, tempo entro cui si spera di rimontare i danni prodotti dalla pandemia», che dovrebbe ricomprendere quell’ampia parte di contribuenti con disponibilità di redditi o di rendite di un certo rilievo, ai quali aggiungere, ovviamente, i detentori di grandi patrimoni. «Con il duplice intento di ricavare un gettito adeguato e, nello stesso tempo, fornire un segno concreto di mobilitazione generale per soccorrere chi, a diverso titolo, non ce la fa. Una misura, evidentemente, da studiare bene, ma riteniamo da varare presto».

Declinando meglio la proposta, Azione cattolica ambrosiana e Città dell’uomo indicano quattro avvertenze: l’esenzione dal versamento del contributo per gli incapienti e i titolari di redditi modesti; la ragionevolezza e la sostenibilità della misura, secondo un «principio di progressività»; un contributo più cospicuo da richiedere a società e imprese che in tempi di pandemia hanno visto aumentare sensibilmente i propri utili; infine, occorrerebbe introdurre un criterio che consideri le marcate differenze ? tra lavoratori e pensionati, settore pubblico e privato, dipendenti e autonomi ? nella percezione di reddito durante le chiusure.

«Ci rendiamo conto – concludono – che si tratta di proposta impegnativa e da soppesare attentamente. Ma siamo convinti che essa corrisponda all’esigenza di fare fronte a un vero dramma sociale, dando prova, come Paese, di saper essere una comunità solidale. Se non ora quando?»

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