Nessun articolo nel carrello

Povertà crescente, carestia, violenza, repressione. Appello alla preghiera nel Myanmar del golpe

Povertà crescente, carestia, violenza, repressione. Appello alla preghiera nel Myanmar del golpe

«È la violenza la risposta alla violenza? La violenza ha mai risolto qualcosa in questo Paese? Per settant’anni le armi hanno rimbombato, uccidendo. È questa la soluzione? Quelli che credono nella violenza sconsiderata, condannano a morte non alcune persone ma l’intera Nazione». Con questo grido di dolore, il card. Charles Bo, presidente dei vescovi cattolici birmani, in un’omelia pronunciata a Yangon domenica scorsa, è tornato a denunciare il dramma sociale e umanitario in Myanmar, a cinque mesi dal colpo di Stato (v. Adista Notizie nn. 10, 11 e 12/21).

«Preghiamo per l’esercito e i suoi capi. Hanno davvero bisogno di preghiere. I loro cuori devono sciogliersi e capire che la violenza non è contro una Nazione nemica ma contro il loro stesso popolo. Se l’esercito afferma di essere il protettore della nazione, allora proteggi ogni vita, anche la vita di chi che ha opinioni diverse», ha aggiunto il cardinale.

Nel Paese, intanto, proseguono le proteste e le manifestazioni contro la giunta militare golpista. Mentre i gruppi etnici, organizzati in forze paramilitari autonome, sono pronte ad avviare azioni di guerriglia in tutto il territorio, segno preoccupante di una guerra civile ormai alle porte.

Sul fronte internazionale, l’inviata speciale dell’Onu per il Myanmar, Christine Schraner Burgener, ha dichiarato, davanti all’assemblea delle Nazioni Unite, che «il rischio di una guerra civile su larga scala è reale». «Il tempo è un fattore essenziale – ha proseguito Burgener –, le possibilità di bloccare il colpo di Stato militare stanno diminuendo». Una risoluzione delle Nazioni Unite ha condannato espressamente il colpo di Stato, chiedendo agli Stati di «prevenire l'afflusso di armi» verso il Myanmar. Ma l’astensione della Cina e della Russia, principali esportatori di armi nel Paese, rendono il provvedimento poco vincolante. E infatti, l'ambasciatore del Myanmar all'Onu, Kyaw Moe Tun, ostile al golpe e rappresentate il governo democratico in esilio, ha esternato tutto il proprio scetticismo: pur votando a favore, egli ha definito la risoluzione «annacquata», lamentandosi per la debolezza delle decisioni della comunità internazionale.

Secondo la stima della Lega Nazionale Democratica, principale partito d’opposizione al regime militare, 24 milioni di persone sono in stato di povertà nel Paese, mentre aumenta esponenzialmente il numero di sfollati, oltre 120.000, solo nelle zone di conflitto di Mindat e Loikaw. L’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia aggrava il dramma sociale del Myanmar, ma non ferma la straziante marcia di sfollati e rifugiati che fuggono dall’esercito, abbandonando le proprie abitazioni e i propri beni. Migliaia di persone scappano dalla carestia e dalla repressione dei militari, cercando rifugio nella giungla o nei luoghi di culto, spesso inutilmente: chiese e monasteri cattolici, pagode buddiste e moschee islamiche avevano aperto le loro porte in difesa della popolazione civile, ma sono state prese d’assedio dai militari di Min Aung Hlaing, sostenitore del golpe di febbraio, alla ricerca di oppositori e nemici dei golpisti. Gli aiuti umanitari, destinati ai rifugiati, come cibo, acqua e forniture mediche vengono distrutti e incendiati, impedendo la costruzione di aiuti umanitari stabili.

È per questo che lo stesso papa Francesco, durante l’Angelus dello scorso 20 giugno, è intervenuto sulla situazione. «Unisco la mia voce a quella dei vescovi del Myanmar che la scorsa settimana hanno lanciato un appello richiamando all’attenzione del mondo intero l’esperienza straziante di migliaia di persone che in quel Paese sono sfollate e stanno morendo di fame», ha detto il papa rivolgendosi alla piccola folla di fedeli in piazza San Pietro. E, rilanciando proprio l’appello dei vescovi birmani dell’11 giugno – che chiedevano di tutelare i corridoi umanitari nelle zone di conflitto, rispettare la sacralità dei luoghi di culto e salvaguardare la sicurezza dei civili, soprattutto anziani e bambini – ha fatto appello a «permettere i corridoi umanitari e che le chiese, pagode, monasteri, moschee, templi, come pure scuole e ospedali siano rispettati come luoghi neutrali di rifugio».

*Tempio in Myanmar. Foto tratta da piqsels.com, immagine originale e licenza

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.