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Gas, per qualche metro cubo in più: il danno ambientale delle trivellazoni riattivate dal ministro Cingolani

Gas, per qualche metro cubo in più: il danno ambientale delle trivellazoni riattivate dal ministro Cingolani

Tanto danno ambientale e tanta spesa per qualche metro cubo di gas in più. Questo si può dire della grave decisione del ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, di riattivare le trivellazioni di terra e di mare per estrarre metano dal sottosuolo, al fine di – secondo quanto dice – ricorrere meno alle importazioni e con ciò ridurre il prezzo del gas ormai alle stelle. Un discorso che non regge secondo gli ambientalisti.

Spiegano i co-portavoci di Europa Verde, Angelo Bonelli ed Eleonora Evi, in un articolo pubblicato su Il Fatto quotidiano ieri, 13 febbraio: «Il piano di Cingolani per diminuire il costo delle bollette è quello di portare la produzione nazionale del gas da 3,5 miliardi di metri cubi anno a 7 su 70 miliardi di mc di fabbisogno annuo», un bicchiere d’acqua in un secchio, per di più avvelenato per il conseguente danno ambientale; e inoltre «l’aumento delle estrazioni non avrà alcun effetto sulle bollette poiché il gas è comunque poco e in virtù della liberalizzazione del mercato energetico il prezzo lo fa il mercato internazionale e quindi non ci sarebbe alcun scostamento di prezzo da quello attuale. “Il gas nazionale non costa meno di quello importato, perché il gas è immesso nella stessa rete e scambiato in mercati organizzati come prodotto indistinto, a prescindere che sia stato importato o prodotto localmente, a un prezzo che è influenzato solo dal rapporto tra offerta complessiva e domanda a livello europeo”, come riporta Ecco», (think tank italiano indipendente per il clima).

«Come può il Ministro delle Finzione Ecologica – chiedono – sostenere che la lotta contro il caro bollette passi per lo sfruttamento dei nostri giacimenti? E che transizione ecologica sarebbe quella che incrementa l'utilizzo delle fonti fossili? Invece di assecondare la lobby dei fossili, il Ministro dovrebbe emanare immediatamente decreti che consentono di sbloccare i 110 GW, 95 in Alta Tensione, 10 in media tensione di progetti per le rinnovabili in attesa di approvazione».

E in un comunicato stampa del 13/2 commentano:  il ministro Cingolani «non ha capito o fa finta di non capire che solo intervenendo, incentivando e sbloccando il settore delle energie rinnovabili non solo si risolverebbe il problema della crisi climatica ma si velocizzare l'approvvigionamento di energia a prezzi più bassi degli attuali, riuscendo ad abbassare in tempi ragionevoli le bollette delle famiglie e delle imprese italiane. Dopo aver completamente rimosso dai piani del Ministero temi come gli ecoreati, il consumo di suolo, della terra dei fuochi, l’acqua come bene comune, cade anche il baluardo delle trivelle».

Il MiTE, il Ministero in questione, scrive oggi di aver infine pubblicato il Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI, in acronimo) approvato, con decreto ministeriale, il 28 dicembre scorso. Il PiTESAi, si legge nella nota, è «fortemente voluto dal ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani per sanare il ritardo della sua pubblicazione attesa da anni. Il Piano individua le aree in cui e? consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale». E chiarisce che il piano, che è stato «sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica (VAS)», «ha l’obiettivo di fornire regole certe agli operatori e di accompagnare la transizione del sistema energetico nazionale definendo le priorità sia in un’ottica di decarbonizzazione – in linea con gli accordi internazionali di tutela dell’ambiente e della biodiversità – che del fabbisogno energetico. Nella realizzazione del Piano, si è tenuto conto dei criteri di sostenibilità non solo ambientale, ma anche sociale ed economica».

Il gas e i suoi veleni

Peccato che studi scientifici, economici e sociali sostengano che non è così. Il Metano è un vero pericolo per l’ambiente. L’ente indipendente Energy Watch Group, secondo quanto riferiva nel 2019 il sito sicurauto.it, evidenzia che passare al gas naturale per produrre energia potrebbe aumentare l’effetto serra, ovvero il riscaldamento climatico, del 40%. È addirittura più pericoloso della stessa CO2: è vero che, quando brucia, emette meno CO2 di petrolio e derivati, «ma il suo effetto serra – si legge nell’articolo  – vanifica le sue minori emissioni di anidride carbonica. Se si usasse solo Metano negli impieghi diretti del gas, nella produzione dell’elettricità e del riscaldamento l’effetto serra aumenterebbe rispetto a oggi».

Il metano è un pericoloso gas-serra 84 volte più clima-alterante della CO2 nel breve periodo e decine di volte nel lungo, mentre nella filiera di estrazione-trasporto-stoccaggio e distribuzione le perdite dirette di questo gas sono molto superiori a quanto dichiarato, con la conseguenza di perdere ogni eventuale vantaggio “verde” rispetto a petrolio e carbone. Sono enormi le perdite delle valvole e le emissioni di gas dalle cisterne: secondo uno studio realizzato negli Usa da ricercatori del NOAA di Boulder (Colorado) sarebbero il 60% in più di quelle stimate dall'Agenzia Usa per la Protezione dell'Ambiente.

Ferdinando Laghi, da due anni presidente internazionale di Isde Italia, l’associazione internazionale dei medici per l’ambiente presente in 32 nazioni del mondo, illustrava nel 2015 (da vicepresidente italiano dello stesso organismo), all’epoca del decreto renziano “Sblocca Italia” che incoraggiava l’attività estrattiva, i danni che l’estrazione di gas può causare anche a livello sanitario ed economico. «Già le modalità di ricerca – spiegava (v. Cronache del Garantista, 30/9/15) creano uno sconvolgimento dell’ecosistema –  estremamente dannoso per la fauna ittica che rappresenta un elemento importante della nostra economia»: non solo la tecnica dell’“airgun”(esplosioni ad altissimi decibel di aria compressa in grado di generare onde sismiche) crea lesioni e disorientamento, con conseguente difficoltà di accoppiamento (v. Adista Notizie 3/16), ma le sostanze chimiche usate per la ricerca e l’estrazione, se vengono sversate nell’acqua anche per un eventuale “contrattempo”, in un mare chiuso qual è il Mediterraneo, permangono nell’acqua fino a 80 anni entrando nella catena alimentare dei pesci e perciò di chi se ne ciba.

Non va meglio quando le trivellazioni vengono effettuate a terra: le sostanze chimiche rimangono nell’ambiente, «filtrano nel terreno e vanno a inquinare le falde acquifere». Oltre ai danni all’ambiente che gli esseri umani non possono più permettersi se vogliono salvare la vita sul pianeta, sono ingenti i danni arrecati alla salute (con aumento delle patologie tumorali), alla pesca, alle coltivazioni, alla vita dei territori, all’industria turistica.

*Foto tratta da 4.bp.blogspot.com, immagine originale e licenza

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