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Chiesa e sessualità: occorre un nuovo paradigma

Chiesa e sessualità: occorre un nuovo paradigma

“È anche necessario che i preti possano parlare della loro sessualità e che possano essere ascoltati se hanno difficoltà a vivere il loro celibato. Devono poterne parlare liberamente, senza timore di essere rimproverati dal loro vescovo. Quanto ai preti omosessuali, e ce ne sono molti, sarebbe bello se potessero parlarne al loro vescovo senza che quest’ultimo li condanni. Riguardo al celibato, nella vita presbiterale, domandiamoci con franchezza se un prete debba essere necessariamente celibe. Ho un’opinione molto alta del celibato, ma è essenziale?”.

Queste affermazioni del card. Jean-Claude Hollerich, rilasciate qualche giorno fa in un’intervista, mettono in evidenza una questione che riguarda non solo il clero ma l’intera predicazione cattolica in materia sessualità.

Nonostante i piccoli passi - informali, si noti, anche se sostanziali a livello comunicativo - di Francesco, la sessualità resta un terreno di difficile rapporto tra chiesa e mondo contemporaneo. E la situazione del clero è sintomatica di questo rapporto e va letta alla luce della più ampia considerazione ecclesiale della sessualità.

L’omosessualità resta sostanzialmente condannata. Almeno fino a quando non si avrà il coraggio di rimettere mano al catechismo della chiesa cattolica. Dire ad una persona “io ti accetto ma porta la croce astenendoti dal vivere chi sei” non significa accettarla ma stigmatizzarla ipocritamente nella sua dimensione più intima, quella inerente la sessualità e l’orientamento affettivo.

Il celibato poi - che pure andrebbe preservato quando scelto con maturità e età idonee, come avviene con i presbiteri di riti diversi da quello latino - in questi anni è scelto liberamente da un punto di vista formale, ma spesso sotto questo livello si celano inconsistenze, immaturità, gravi lacune affettive che annullano nei fatti la consapevole libertà di chi ne compie la promessa.

Divenendo in tal modo un pentolone in cui bollono fino ad esplodere gli ingredienti dell’infelicità personale (nel migliore dei casi) e quelli del disastro arrecato ai più fragili o ad intere comunità (nel peggiore).

Il comune denominatore che tiene bloccata la chiesa rendendola incapace di modificare i propri paradigmi in materia di sessualità e affettività è proprio la considerazione antropologica di entrambe, elaborata nei secoli da persone sicuramente forti e sante ma pur sempre figli del loro tempo e uomini lontani dal viverle, o almeno da viverle serenamente. E, se in questi secoli a creare il paradigma era proprio la chiesa, oggi il controllo le è sfuggito di mano. Per grazia di Dio.

Ma, poiché il problema è che la sessualità resta uno dei fattori psichici, biologici, e sociali determinanti nella vita dell’individuo e della comunità, occorrerebbe qualcuno che potesse testimoniarne il piacere sano, la bellezza autentica e la relazionalità necessaria a farla fiorire.

Ma, arroccata su posizioni oramai non condivise dalla comunità sociale e non di rado portate avanti da uomini che hanno sublimato o represso con esiti a volte intollerabili e altre volte pericolosi, la chiesa non riesce a restare fedele alla benedizione originaria di Dio sull’uomo e su tutto ciò che di amorevole, bello e gioioso gli appartiene.

 

*presbitero, psicologo e psicoterapeuta, direttore della Fondazione «Centro Educativo “Regina Pacis”» (Pozzuoli). L'articolo è stato pubblicato sulla pagina facebook dell'autore

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