Diaconesse: dai primi secoli ai ministeri istituiti nel 2021
Tratto da: Adista Documenti n° 9 del 12/03/2022
Qui per l'introduzione a questo testo.
La commissione istituita nel 2016 da papa Francesco sul diaconato alle donne ha rappresentato una sorpresa per i membri chiamati a partecipare: per la prima volta metà della commissione, sei, eravamo donne. È stato un evento che si voleva all’interno, all’interno della riflessione teologica della Chiesa cattolica e perciò, ribadisco, non ha fallito il suo compito, ha avuto ripercussioni di cui abbiamo cominciato a vedere i primi segni: il motu proprio Spiritus Domini del 2021, un anno fa, l’11 gennaio. Fuori di questa ottica di ricerca interna, il compito della commissione è stato inteso in un modo riduttivo e improprio come se si trattasse di trovare gli argomenti storici per ripristinare un ministero femminile attestato con la parola diaconessa, nei primi secoli, in alcune lettere di San Paolo, in alcuni documenti presi in esame dalla commissione, epigrafie, rituali etc.
Ora la commissione aveva il compito di studiare sì, ma non lo scopo di ripristinare, almeno per due motivi legati alla Scrittura e alla tradizione. Non si legge la Scrittura per giustificare una corrente di pensiero, e lo studio della tradizione non vuole riattualizzare qualcosa del passato. La Scrittura va letta nello Spirito, la rivelazione, e la tradizione va letta nella lettera, la storia: il rischio altrimenti è di tradire la novità che lo Spirito porta in ogni momento della storia. Le diaconesse, sì, sono nominate nella Scrittura e sono presenti nelle tradizioni della prima Chiesa: ciò che si deduce da questo è la partecipazione delle donne all’evangelizzazione della carità per tutti e la presenza di donne nei servizi, quei servizi che facevano essere a contatto con altre donne, là dove la cultura del pudore lo suggeriva, soprattutto nel battesimo e nell’unzione degli infermi. Allora, la domanda che si pone oggi è diversa. Domanda: bisogna ripristinare un servizio? Per quale motivo? Non bisogna forse chiederci piuttosto di quale ministero il popolo di Dio oggi ha bisogno. Il coraggio riguarda la novità per oggi, non il restauro di qualcosa del passato.
È anacronistico il tentativo di ripristinare. Profetica, invece, è la ricerca di novità. Perché? Perché la novità deve tener conto del cammino di crescita all’interno di cambiamenti culturali, sociali, teologici. La prima commissione che si è dedicata all’indagine storica (sapete che ce n’è un’altra), questa prima alla quale partecipavo era dedicata all’indagine storica, ha fissato alcuni dati incontestabili: e li elenco. C’erano diaconesse nella prima Chiesa, c’era un rito proprio a questo ministero: non è quello delle vedove, non è quello dell’ordo virginum, era proprio delle diaconesse. Terzo: la presenza delle diaconesse è scomparsa, sono scomparse le diaconesse in tutta la Chiesa latina. Allora il vero successo delle commissioni è stato di aver aperto una strada, di aver indicato alcuni orientamenti, più direzioni di riflessione. La scomparsa delle diaconesse non ha significato che le donne siano scomparse dalla Chiesa, lo ha appena detto suor Alessandra Smerilli. La santità delle donne è stata riconosciuta senza nessuna discriminazione; la diaconia, il servizio, si è svolto eccome! Eccome, senza ministero istituito. Allora per quale motivo bisogna riflettere sulla storia dei ministeri non dati alle donne? Perché bisogna riflettere su ciò che non è stato dato? Perché questo tempo storico dell’assenza delle donne dai ministeri ha coinciso con una deriva maschilista, clericalista della Chiesa, che non ha fatto risplendere il suo vero volto di umanità nuova, dove uomini e donne sono rivestiti della stessa dignità di figli. Allora perché è così importante e urgente istituire ministeri per le donne? Per favore, non per un riconoscimento della dignità delle donne. Ma per un riconoscimento della vera identità della Chiesa. È la Chiesa che ha bisogno delle donne e le deve chiamare al servizio.
È sulla base di questa chiamata della Chiesa che le donne potranno rispondere “sì” e mettere a frutto i loro doni per il bene di tutti. Se la Chiesa non chiama, il ministero rischia di essere considerato un diritto.
Ma servire non è un diritto, è un dovere. Di questo dovere di servire come ha fatto Gesù la Chiesa rende conto anche tramite la struttura gerarchica, che si deve chiedere costantemente come, come servire meglio l'umanità in cerca di salvezza e secondo il modo più conforme al mandato del Maestro.
Questo è l'ambito del discernimento della Chiesa sui ministeri delle donne, il bene del popolo di Dio in contesti geografici, culturali, ecclesiali tanto diversi.
Per non essere una risposta dettata dall'onda di un'ideologia (parentesi: “femminista” significa argomentare sul diritto), la riflessione sui ministeri ha dovuto tornare alla fonte. Qual è la fonte? Il Battesimo, da dove nasce e fiorisce ogni vocazione. La constatazione che si fa è che nulla manca a un battezzato, entrato come nuova creatura nella morte e nella resurrezione di Cristo, e già partecipe del suo sacerdozio, ed è perciò inserito nella dignità del corpo che continua nella storia ad assicurare il passaggio verso il Padre.
Ora, la dignità del battezzato è la dignità di tutti, uomini e donne. Da lì bisogna ripartire, come dice spesso papa Francesco, e lo ha ribadito anche ieri mattina. Se si riparte dal Battesimo, si scoprirà come declinare il servizio e in ordine a quali ministeri.
Infatti la dignità – e questo è un punto importante – non riguarda solo il servizio sacerdotale. Per questo è una contraddizione pensare che il sacerdozio concesso alle donne sarebbe un modo di riconoscere la loro dignità. Né suor Smerilli né io aspiriamo a questo. Il servizio si determina dal bisogno, dalla richiesta, dall’urgenza della carità. Di cosa hanno bisogno gli uomini e le donne di oggi? Di testimonianza, di riconciliazione, di comunione, di formazione, di condivisione. Per questo la Chiesa riconosce carismi e chiama servizi perché questi servizi edificano il corpo nella carità. Dunque non si tratta di ripristinare il diaconato delle donne. Sarebbe troppo poco se si limitasse alle funzioni che hanno avuto le diaconesse rimaste conosciute nel passato. Si tratta di fare di più: ascoltare lo Spirito, cosa suggerisce lo Spirito oggi alla Chiesa, perché, citazione già fatta da suor Alessandra, sia ripristinato il volto maschile e femminile dell’umanità verso il Regno. Rispettando la vocazione di ciascuno senza permettere che la diversità sia usata l’uno contro l’altra, ma venga riconosciuta a vantaggio dell’uno e dell’altra. Altrimenti il sacerdozio comune rischia di rimanere un’espressione senza carne, un’illusione in attesa della realtà oppure, altro pericolo, la promozione dei laici, dunque delle donne, consiste il più delle volte nel farli entrare nella zona d’ombra del sacerdozio ministeriale, il più vicino possibile all’altare, e della celebrazione eucaristica. Celebrazione considerata l’unica realtà degna, perché lì soltanto agisce il Cristo in persona, il Cristo uomo maschio, non donna, è una realtà legata alla logica dell’incarnazione. Il salvatore, per rispetto all’umanità che ha voluto assumere, è nato come un bambino ebreo maschio sul quale l’antica alleanza è stata incisa tramite la circoncisione. Per rivelare la dignità dell’umanità femminile nasce da una donna piena di grazia, diventata la prima redenta in cielo nella dimora della trinità.
Allora ci sembra che la questione del ministero delle donne soffra di due riduzioni: la riduzione della dignità di ogni ministero alla dignità del sacerdozio ministeriale, e la riduzione della dignità del sacerdozio ministeriale al sacerdozio di Cristo in quanto maschio. Questa riduzione non corrisponde alla fede, è in quanto persona di natura umana e divina che il Figlio, seconda persona della Trinità, è il salvatore di tutti, uomini e donne, in quanto persone diverse. Verso quale riflessione ci porta questa riflessione di fede? Uomo e donna sono due realtà che esprimono una diversità complementare rispetto al generare: secondo il proprio genere gli uomini generano, le donne mettono al mondo; così, simbolicamente, uomini e donne partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo che ha affidato la Chiesa a coloro che generano, in virtù del sacerdozio ministeriale, e a coloro che mettono al mondo, in virtù del sacerdozio comune, in una reciproca dipendenza e sostegno.
Concludo. La riflessione sui ministeri delle donne nella Chiesa non può prescindere da una teologia rinnovata sulla persona umana, un’antropologia che considera il maschile e il femminile secondo la vocazione, secondo la creazione, e questa antropologia del maschile e del femminile deve essere il fondamento della riflessione sui ministeri, nel contesto di una ecclesiologia di comunione in un cammino di sinodalità. Vorrei finire con il titolo che ha dato al suo libro uno dei membri della Commissione, Bernard Pottier, solo che al titolo aggiungerei un punto interrogativo: il titolo in francese è Le diaconat feminin, jadis et bientôt, point. Lo tradurrei “Il diaconato femminile nel passato e presto?”, punto interrogativo. Affaire à suivre.
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