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Riforma della cittadinanza: è tempo di sanare un’ingiustizia

Riforma della cittadinanza: è tempo di sanare un’ingiustizia

La Campagna della Rete per la Riforma della Cittadinanza “Dalla parte giusta della storia” – iniziativa lanciata da associazioni e attivisti/e stranieri/e per rivendicare il riconoscimento di oltre un milione di giovani nati e/o cresciuti in Italia – saluta con favore l’adozione, il 9 marzo scorso, in Commissione Affari Costituzionali della Camera, del testo base sullo ius scholae, presentato il 3 marzo dal deputato pentastellato e presidente della Commissione stessa, Giuseppe Brescia (v. Adista online). Secondo le intenzioni del relatore, che ha così inteso semplificare e sintetizzare i testi precedentemente depositati e mai approvati, la cittadinanza può essere formalmente richiesta da entrambi i genitori dei minori nati in Italia, o giunti in Italia entro il compimento dei 12 anni, i quali abbiano concluso 5 anni consecutivi di istruzione in uno o più cicli scolastici o di formazione professionale, non necessariamente con esito positivo. Una proposta estremamente semplificata, edulcorata dai principi dello ius soli e dello ius culturae indigesti al centrodestra, per consentire alla riforma di procedere speditamente verso la sua approvazione entro la fine della legislatura, nel 2023.

Nonostante questo, Fratelli d’Italia e Lega, che di riforma della cittadinanza non vogliono proprio sentir parlare, hanno presentato centinaia di emendamenti al testo adottato, con il chiaro intento di farlo naufragare (v. Adista online), convinti che lo ius scholae non sia altro che un espediente, una sorta di “cavallo di Troia” per introdurre di fatto procedure più snelle di acquisizione della cittadinanza in favore dei genitori dei giovani neo-italiani.

Si dice ottimista la Rete per la Riforma della Cittadinanza la quale, con un comunicato diramato l’11 aprile scorso, ha diffuso un documento di 4 pagine dal titolo: “Riformare la legge sulla cittadinanza attraverso e oltre lo ius scholae. Appunti sul testo adottato dalla Commissione affari costituzionali”. L’intraprendenza del presidente Brescia e il voto in Commissione, si legge nell’incipit del documento, «interrompono una fase di stallo e consentono di guardare con fiducia ai lavori in corso. La fine della legislatura incombe ma siamo convinti che, prima del prossimo anno, il Parlamento potrà condurre in porto la riforma di questo fondamentale istituto». Apprezzabile anche che, in occasione di questo importante voto, si siano riaccesi i riflettori sul tema della cittadinanza, a 30 anni di distanza dalla promulgazione di una legge nata già vecchia e che ruota intorno all’anacronistico principio dello ius sanguinis. «Nel 1992 erano residenti in Italia poco più di trecentomila cittadini stranieri. Oggi sono più di cinque milioni», ricorda il documento. Persone non riconosciute come cittadine, ma «che vivono stabilmente in Italia» e che «contribuiscono, in maniera crescente, a rendere la società italiana più ricca, dinamica, molteplice».

Il recente passaggio in Commissione rappresenta dunque una «notizia positiva», ma la Rete non intende fermarsi ai “complimenti” e, con il presente documento, avanza alcune concrete proposte di revisione del testo.

Tra i numerosi approfondimenti e correzioni del testo, proposti per adeguare la norma alla complessità della vita delle famiglie straniere e alle difficoltà lavorative e burocratiche sempre più evidenti nel Paese, la Rete rilancia il principio dello ius soli: «Riteniamo che, accanto allo ius scholae, sia politicamente e giuridicamente opportuno prevedere forme di riconoscimento automatiche con la nascita». Si parla, nello specifico, dei bambini nati in Italia da genitori stranieri che vivono da molto tempo in Italia, o di cui almeno uno dei due sia nato in Italia. «Questa seconda ipotesi – dice la Rete – consentirebbe l’emersione dalla marginalità per molti cittadini stranieri, ad esempio di origine rom, privi di cittadinanza (e a volte di titolo di soggiorno) nonostante siano nei fatti “italiani” anche da tre generazioni».

“Dalla parte giusta della storia” invita poi a rimetter mano anche all’istituto della cosiddetta “naturalizzazione”, che prevede la concessione della cittadinanza «attraverso discutibili criteri, escludenti e classisti». Il documento chiede un ribaltamento della prospettiva: «L’acquisizione della cittadinanza più che un premio deve essere intesa come un incentivo per favorire l’inclusione socio-lavorativa e la partecipazione alla vita politica e sociale» per tutti quei cittadini stranieri da molto tempo residenti in Italia.

l’obiettivo di questa riforma, si legge nel capitolo finale del documento, dovrebbe essere quello «sanare una frattura lunga trent’anni». Se questa fase finale di legislatura è segnata dagli sconvolgimenti che ben conosciamo – prima la pandemia e ora la guerra – occorre ribadire con forza che la riforma della cittadinanza resta «una priorità non più rinviabile per milioni di persone che vivono in Italia». Ne va del godimento dei diritti dei molti cittadini stranieri, dei giovani non riconosciuti e “italiani di fatto”; ma anche della «qualità complessiva del nostro paesaggio giuridico, sociale, culturale». «Sarebbe intollerabile che l’iter in corso non si concluda positivamente e che ci trovassimo, all’inizio della prossima legislatura, al punto di partenza».

Secondo la Rete di Riforma della Cittadinanza, «il testo base è il prodotto degli attuali rapporti di forza», un compromesso che punta ad ottenere larghi consensi in tempi rapidi ma che presenta evidenti limiti. Il documento chiede modifiche per andare oltre lo ius scholae, «per una riforma organica della disciplina», tale da garantire l’accesso alla cittadinanza «a chi nasce, cresce o vive stabilmente in Italia. Pensiamo che, dal punto di vista sociale e culturale, i tempi per l’approvazione di una nuova legge siano più che maturi. È necessario che il legislatore ne prenda atto e approvi, prima della scadenza dell’attuale legislatura, una norma significativamente diversa da quella attuale. Pensiamo che ci siano tutte le condizioni per proseguire l’iter in corso e archiviare questa strutturale ingiustizia». (giampaolo petrucci)

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