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Il Pd necessario

Il Pd necessario

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 9 del 11/03/2023

Sono imbarazzata perché mi trovo in contraddizione e non ci sono abituata. In un primo tempo mi sono davvero identificata in Elly Schlein, indipendente come me, oggi parlamentare come sono stata io, vicepresidente della Regione con la lista Emilia-Romagna Coraggiosa che ho condiviso. Poi ho votato Bonaccini. Contraddizione del sentire la passione politica, anche quando diventa limite? Perché Elly è Elly e porta le idee come vuole. Elementare. Però bisogna spiegare. Giancarla avrebbe condotto la campagna dai banchi della Camera, dove chi è stato eletto va a rappresentare il popolo con onore e disciplina e approfitterebbe delle occasioni abbondantemente fornite da “questo” governo, ma anche con interrogazioni e proposte di legge. Mi dicono che, ai nostri giorni, “dal Parlamento non esce nulla che interessi la gente”. Se fosse così ha fatto bene Elly a cercare di galvanizzare una base troppo demotivata: per restaurare le istituzioni avrà tempo. Oggi il Paese ha bisogno di un partito – da troppo i movimenti si sono dati nomi strani, solo il Pd osa chiamarsi ancora “partito” – per ridire che cosa è la sinistra, ma anche ridare alla gente il senso delle istituzioni, combattendo l’antipolitica con le riforme avanzate “da leader di un’opposizione fattiva”. Poi, essendo fieramente europeista, mi è mancato l’inserimento nelle parole d’ordine – “lavoro, ecologia, femminismo” – dell’Europa, che Elly, ex-parlamentare Ue, sa essere tema da sempre “debole” per la sinistra italiana (più europeista ai tempi di Altiero Spinelli che non oggi) tanto più che in queste “primarie” il partito è già in campagna per le europee dell’anno prossimo. Nemmeno l’immigrazione ha bisogno della morte per essere da subito una priorità nell’agenda dei progressisti, mentre per le urgenze ambientali la sostenibilità del rigore va raccordata con la difficile gradualità delle politiche. Come femminista Elly rischia il contraltare della Meloni soltanto se non qualificherà gli interessi delle donne contro questo orrendo Ministero della famiglia, della natalità e delle pari opportunità. Essersi iscritta al Pd è certo un atto di coraggio – che io avevo schivato quando le lacrime di Occhetto mi chiesero se non era ora che la “randagia” si accasasse – ma Elly non deve dimenticare quanti compagni e amici bravi e generosi nei circoli, nelle segreterie e negli assessorati sono stati sterminati politicamente: il partito non permette le fron de. È segretaria. Spero abbia già costruito la “sua” segreteria, avendo in mente la sequenza dei nove segretari, il penultimo dei quali ha ceduto il passo a Enrico Letta sdegnato con un partito che parla solo di poltrone. Adesso deve imparare che le è stato dato il potere. Se è vera femminista le farà un po’ schifo, ma deve impugnarlo.

Votare Bonaccini resta davvero contraddittorio? Mi sono occupata talmente tanto di popoli in lotta contro le dittature che la parola rivoluzione mi emoziona. Non quando evoca “Occupy Pd” con la mente a “Occupy Wall Street”. Il partito è ancora a rischio. Così torno al pensiero che ho avuto quando Felice Emanuele, economista numero uno del Pd che, in un articolo su Domani, diede per scontato che avevano ragione i mensceviki e non i bolsceviki e Turati e non i comunisti. Il 1921 avrebbe dovuto, proprio in seno alla sinistra, rifare i conti con le condizioni reali degli anni in cui Mussolini realizzava la lunga dittatura fascista, finita con una seconda guerra mondiale, e fare davvero, senza altri smarrimenti identitari, i conti con la storia: è ora di non contrapporre più i simboli di partiti che “tecnicamente” non ci sono più e si contrapponevano con i simboli delle loro bandiere: falce e martello o anche il libro? Oggi non c’è quel fascismo, ma l’antipolitica lo ha ben sostituito in tempi di maggior benessere, di affermazionei almeno platoniche di diritti, ma con minor disponibilità a capire che bisogna costruire futuro non al consumismo, ma alla libertà e giustizia di tutti. Non era impossibile la mia idea di una grande conferenza nel 2021 di rielaborazione storica del comunismo, nobile pensiero partito da Platone e divenuto ideologia di oppressione e guerra. Ma il 1921 dice anche a noi oggi che Turati aveva ragione.

L’obbligo è dunque prima di tutto l’unità per resistere, a partire dai più vulnerabili del sistema, i giovani nati potenzialmente reattivi perché mai sedotti dalla politica. Adesso tocca a tutti di andare avanti con i valori, le idee, le proposte. Da declinare nei diversi contesti: quello del partito, quello della sinistra, quello dell’elettorato comprovato dalle primarie, quello dell’elettorato potenziale, tenendo conto che non solo il Pd, ma la sinistra internazionale da decenni è priva di una “visione”. La segreteria di Schlein salverà la sinistra dal declino politico?

Lasciando per ora da parte le idee e i valori (a marzo 2023 o ci sono o ci si arrangia con quello che c’è), gli 85 saggi si sono impegnati a costruire un lungo documento di presentazione del “nuovo Pd” a cui si aggiungerà qualche nuovo manifesto: bravi i circoli che lo leggeranno per il congresso che si spera non venga rinviato aggiornando le divisioni interne e la tensione negativa di chi sta in mezzo al guado. Infatti che un congresso era bene farlo prima lo dimostra il divario tra il voto degli iscritti e quello dei presunti elettori. È il ben noto equivoco delle primarie. Il Pci di Berlinguer – che era già un “partito democratico” – aveva intuito le nuove dinamiche della società civile e aveva aperto un intero gruppo parlamentare agli indipendenti di sinistra, sfida coraggiosa in un mondo in movimento: era una strategia, le primarie un optional.

Per ora la sinistra, se si sente appagata dall’elezione di Elly, si prepari: dispiace dirlo ma i problemi veri iniziano oggi. Non siamo nelle condizioni di permetterci di imitare i Bernie Sanders o i Jeremy Corbin di una volta, ormai fuori dal contesto politico, ma ancora suggestivi per ragazzi arrabbiati con il mondo. Tanto meno prendere a esempio il Melenchon: in Francia le iniziative contro Macron riguardano le pensioni e la gente non va più in piazza con i sindacati, ma con i poco “casuali” gilet gialli.

Naturalmente il Pd – nell’ipotesi di una sua crescita che le primarie immaginano già in essere – deve poter riesumare, senza sentirsi ridicolo data la modestia delle sue possibili ambizioni, l’antico binomio “di lotta e di governo” sapendo che era più vicino al governo il Pci del 1976 che non il Pd umiliato nell’associazione al M5S “per stare al governo comunque” anche se significava solo “spartire”. Vanno dunque ripensate le alleanze sapendo il costo che si paga ignorando le dialettiche di pensiero, le mediazioni democratiche e il rigore morale.

Una meditazione sui casi, ormai storici, di Renzi, Bersani e Calenda (in ordine cronologico), persone che sono state (o sono ancora) iscritte al Pd, per finire al Qatargate, gioverebbe all’interno del partito nuovo. A partire da quei “rumori” la gente, sinistra interna compresa, ha votato sempre meno, lasciando che “libertà” significhi non votare o votare Meloni (che nel 2019 aveva il 4,35 % dei voti e oggi sfiora il 30 %, senza che gli italiani siano diventati – si suppone – fascisti). Con l’aggravante che finora il Pd in Parlamento non si è assunto la responsabilità della rappresentanza di quel terzo degli italiani che, non essendo andati a votare, non sono “rappresentati” e i cui interessi non sono più difesi.

Adesso la segretaria Schlein ha il privilegio che mancava a Bonaccini: è eletta alla Camera dei Deputati e lì dovrà giocare le carte del nuovo Pd. È il luogo strategico per dare forza e senso alla nuova politica che intende intraprendere: la debolezza culturale della destra ha già offerto molte opportunità.

Una donna impegnata a promuovere i diritti, a partire dal lavoro, dovrà esprimere da subito giudizi e proposte. Immediatamente farà dichiarazione di voto sulla soppressione del reddito di cittadinanza a cui opporremo finalmente, spero, una legge sul salario minimo.

Adesso è lei il capo dell’opposizione (non sottovaluto la responsabilità della capogruppo Serracchiani, anche lei nata rivoluzionaria) un compito forte per il quale ha bisogno dell’aiuto di tutti: una carta da ri-giocare pazientemente restaurando tutti i circoli, le sezioni, i salotti, i luoghi culturali, sociali e politici di tutti i tipi per tagliare la strada all’antipolitica che ormai è il nome del nuovo fascismo. E inventando un nuovo antifascismo dal desiderio di dare fortuna, se ci si deve esprimere per simboli politici, al next generation Europe.

Anche se iniziamo il secondo anno di guerra. E anche su questo si dovrà decidere.

Giancarla Codrignani è giornalista, scrittrice e già parlamentare della Sinistra Indipendente

*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza 

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