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Come tutelarsi giuridicamente?

Come tutelarsi giuridicamente?

Tratto da: Adista Documenti n° 16 del 29/04/2023

Qui l'introduzione a questo testo.

Cercherò di mettere in evidenza una prospettiva giuridica per capire come è possibile anche tutelarsi dal punto di vista giuridico rispetto a queste situazioni di abuso. Prima però di entrare nella questione vorrei ricordare le altre persone che hanno lavorato con noi nel nostro gruppo di ricerca che sono Emanuela Provera e Luigi Corvaglia, l'avvocato Paolo Florio e Federica Roselli. Abbiamo scelto di fare questa ricerca perché abbiamo davvero ascoltato tante persone, ricevuto mail e ci siamo documentati su alcune pubblicazioni uscite negli ultimi anni, su inchieste giornalistiche ma anche su tante segnalazioni che abbiamo trovato nei social, e poi ci sono state anche inchieste ufficiali sugli abusi in alcuni movimenti, ma anche delle denunce alla Chiesa fatte da alcune associazioni, organizzazioni o privati e anche dei procedimenti giurisdizionali attivati. Abbiamo scelto di concentrarci sugli abusi nei movimenti ecclesiali e negli ordini religiosi perché ci è sembrato che sia più difficile cogliere la pericolosità di certe condotte, proprio perché sono riconosciuti dalla Chiesa e quindi si accettano gli stili di vita e ci si affida alla bontà di questi percorsi spirituali. Le persone che abbiamo ascoltato provengono da tutto il mondo e abbiamo letto e sentito testimonianze di tante realtà, ordini religiosi e movimenti. Questo significa che non è un problema circoscritto a un territorio o a un gruppo, ma è trasversale, quindi ci pare che proceda da un'impostazione clericale e patriarcale della Chiesa, assunta da questi leader carismatici che fanno una proposta di vita innovativa positiva, caratterizzata però da derive. Le persone che abbiamo ascoltato hanno vissuto l'esperienza tanto tempo fa e quindi per loro non è più possibile adire le vie legali e ottenere una tutela giurisdizionale perché i loro diritti sono caduti in prescrizione. Si tratta però di un'emergenza sociale, nel senso che in termini numerici e adesioni a questa esperienza sono davvero molto numerose. A livello mondiale pensiamo che sia importante proprio diffondere le informazioni rispetto alla tutela. Ovviamente la nostra analisi si riferisce all'ordinamento giuridico italiano, ma ci sono analogie anche con altri ordinamenti.

Abbiamo cercato di capire come queste condotte potrebbero configurarsi come illeciti civili, penali e costituzionali. Farò solo qualche esempio di questi illeciti, ma la ricerca è più approfondita. Partiamo dall'aspetto del mondo del lavoro. Abbiamo sentito di consacrati religiosi che svolgono un'attività lavorativa nei centri di queste opere e ordini religiosi, per esempio centri di spiritualità, centri convegni, scuole o altre strutture; lavorano a tempo pieno per l'opera ma sono considerati volontari anche se in modo improprio, perché lavorano tutta la settimana e non sono retribuiti se non con il vitto e l'alloggio. Sto parlando di un lavoro di anni. Queste persone, non remunerate, svolgono a tutti gli effetti un lavoro dipendente che però viola le norme del diritto del lavoro: non essendoci un contratto di lavoro non è possibile applicare nessuna normativa prevista dall'ordinamento giuridico, per esempio le norme di un contratto collettivo nazionale di lavoro, i diritti sindacali, l'orario di lavoro che spesso, ci è stato raccontato, è superiore a quello previsto dalla normativa. E soprattutto non c'è una retribuzione, quindi non c'è un inquadramento professionale. Sulla retribuzione vorrei citare solo l'art. 36 della Costituzione che sancisce che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e sufficiente ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa. Qui non c'è retribuzione alcuna e non c'è la possibilità di avere nessun tipo di reddito. Inoltre non essendoci un contratto non ci sono i contributi previdenziali ai fini pensionistici e nemmeno l'assicurazione per gli infortuni sul lavoro. Una volta che poi si esce non si può neanche fare causa perché non ci sono atti di prova e soprattutto non è previsto nessun tipo di aiuto. Questo tra l'altro va anche contro il principio di solidarietà che è trasversale a tutto l'ordinamento giuridico.

Per quanto riguarda la situazione lavorativa, è particolarmente pesante: le condizioni di lavoro sono particolarmente estenuanti per cui la salute viene compromessa per il forte stress, anche questo in violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, del decreto legislativo 81/2008 ma anche dell'art. 2087 del Codice civile che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure idonee a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.

Si arriva infine allo sfruttamento del lavoro, reato disciplinato all'art. 603 bis del Codice Penale. Cito gli articoli per far capire che, anche se queste persone non possono adire le vie legali perché il plagio non è più reato, essendo stato depenalizzato nel 1981 dalla Corte costituzionale oppure perché hanno donato volontariamente, ci sono tante altre fattispecie astratte che potrebbero essere invocate in procedimento penale o civile in questo caso per il risarcimento dei danni, ed è importante che le persone lo sappiano. Tutto questo avviene in nome del voto o dell'impegno di povertà, normale per la Chiesa, un po' meno per le norme dell'ordinamento giuridico.

Passiamo invece a coloro che lavorano all'esterno, e che sono costretti a donare tutto il loro reddito, non possono cioè trattenere nulla, in nome del voto di povertà. La sollecitazione a donare in realtà avviene a tutti i livelli di adesione, non solo per i consacrati, perché sono soldi e reddito che vanno ad incrementare le casse di queste istituzioni. Se questo può essere considerato lecito perché la donazione è prevista dal Codice Civile all'articolo 769, manca tuttavia un elemento fondamentale perché si possa integrare la donazione. Cito il testo: la donazione «è un contratto col quale per spirito di liberalità la parte arricchisce un'altra parte». Questo è possibile per la spontaneità, che in diritto viene chiamato animus donandi, ovvero la spontanea volontà di donare qualcosa. È possibile farlo, ma a norma di legge: ci sono delle forme che vanno rispettate a seconda dell'importo della donazione e qui in realtà manca lo spirito di liberalità: la donazione è resa obbligatoria dall'adesione alla scelta della vita comunitaria; c'è una coartazione, un obbligo morale sostenuto da minacce spirituali e quindi la volontà non è libera. La giurisprudenza dice poi che non è possibile la promessa di donazione: posso donare ma non posso impegnarmi a donare per tutta la vita perché lo spirito di liberalità dovrebbe sostenere tutti i negozi giuridici e di natura gratuita, compreso il testamento. Abbiamo sentito dire invece che il consacrato, ma non solo, viene spesso obbligato a fare testamento in favore delle istituzioni. Anche qui manca una libertà formata spontaneamente.

Passiamo ad alcuni illeciti costituzionali: non poter esprimere la propria opinione viola l'art. 21 della Costituzione, ovvero la libertà di manifestazione del pensiero; qui il pensiero è un pensiero unico, quello del superiore che deve essere abbracciato per uno spirito di obbedienza probabilmente malinterpretato. Se è bene per la Chiesa, non lo è per i diritti inviolabili che il pensiero sia solo quello espresso dal superiore o dall'impianto dogmatico del carisma o dell'ordine religioso e che non sia possibile pensare diversamente.

Vi sono poi le violazioni di tanti altri diritti inviolabili che ricadono nella violazione del diritto all'autodeterminazione che li riassume all'articolo 2 della Costituzione: non c'è la possibilità di libera determinazione della propria vita, non è possibile usare le proprie risorse, scegliere il proprio lavoro in base ai propri studi, il luogo dove abitare; è tutto deciso dal superiore, dai vertici, dalle istituzioni e quindi diventa difficile anche una libera espressione dell'io e la prosecuzione di una vita serena equilibrata anche dal punto di vista psicologico.

Si parlava anche di eccessiva ingerenza nella sfera privata: anche questa è una violazione di un diritto costituzionale. Si parlava di schemi in cui bisognava rendicontare tutto e tutti gli aspetti della propria vita, anche quelli riguardanti dati sensibili della sessualità e della salute. Anche questa è una violazione: per esempio, dell'informazione sui dati sensibili che dovrebbero essere riservati.

E poi passiamo agli illeciti penali. Abbiamo parlato di minacce spirituali di violenza rispetto alla scelta libera delle persone: queste situazioni si potrebbero configurare come violenza privata disciplinata dall'art. 610 del Codice Penale. Ovviamente abbiamo analizzato non solo le fattispecie astratte ma anche le sentenze della giurisprudenza che hanno giudicato casi analoghi. Recita l'articolo: «Chiunque con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare o omettere qualche cosa è punito con la reclusione», e poi c'è la forbice di pena. Ecco perché si può configurare una situazione di violenza privata, perché prima abbiamo parlato di obbligo ad assumere determinati stili di vita che vanno contro il benessere psicofisico della persona; per esempio addirittura l'obbligo di mangiare cibi avariati per spirito di obbedienza. La violenza non è solo quella fisica che lascia i lividi ma anche quella psicologica, quella dell'anima e della mente. Abbiamo sentito l'obbligo di assumere determinati comportamenti quanto all'uso dei mass media e al divieto di usare la televisione, di leggere i giornali, addirittura un indice dei libri proibiti e vessazioni psicologiche di vario tipo che comportano crisi depressive psicotiche fino al sentimento suicidario e al suicidio.

Vicine a questo tipo di condotta sono le lesioni personali art. 582 del Codice Penale: «Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente è punito con la reclusione», e poi c'è sempre la forbice di pena. Cito alcuni esempi che abbiamo ascoltato: l'utilizzo di strumenti di penitenza che provocano danni fisici, assi di legno per dormire al posto del materasso, docce fredde, controllo del sonno, privazione delle vacanze. Queste comportano lesioni personali fisiche, problemi psicosomatici che causano crisi depressive.

Tutto questo prevede dal punto di vista giuridico il risarcimento del danno disciplinato all'art. 2043 del Codice Civile: «Qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno». Potrebbe essere colposo nel momento in cui non mi rendo conto che quello che sto facendo può provocare un danno, ma se l'abuso è sistematico e non voglio ascoltare il dolore dell'altro – la giurisprudenza lo dovrebbe dire – potrebbe diventare doloso.

Dicevamo che le persone oggi non possono più chiedere il risarcimento del danno. Abbiamo scelto di fare questa indagine proprio per informare che anche se il reato di plagio è stato depenalizzato, anche se si pensa che non sia possibile richiedere indietro quello che è stato donato – perché in virtù di quella che viene definita nel diritto civile un'obbligazione naturale non si può richiedere indietro quanto si è spontaneamente donato – ci sono però altre situazioni che si possono far valere in un procedimento ed è importante denunciare alle autorità civili perché si tratta di giustizia e di bene comune. Invece l'istituzione viene messa prima della persona e pensiamo che almeno dal punto di vista giuridico questo non sia positivo.

Concludendo, cosa dovremmo chiedere in primo luogo come cittadini alle istituzioni politiche? Che ci sia una supervisione, una vigilanza attraverso la costituzione di una commissione di inchiesta indipendente come già è avvenuto in altri Paesi dell'Unione Europea e come già ha chiesto il coordinamento ItalyChurchToo; che ci sia un codice etico, un protocollo, un Albo e delle regole chiare e precise sia per chi svolge un ruolo di conduzione spirituale, di educazione, con una preparazione specifica e con un'organizzazione e una legislazione specifica per la gestione patrimoniale soprattutto per queste comunità di vita consacrata che non sono specificamente disciplinati nell'ordinamento giuridico ma sono comunque formazioni sociali che meritano la tutela ai sensi dell'art. 2 della Costituzione; infine dovremmo chiedere il risarcimento del danno, e se non lo si può più chiedere, la rinuncia alla prescrizione che per il diritto è possibile per l'art. 2937 del Codice civile. La Chiesa, per un valore sociale, morale e vorrei dire evangelico, potrebbe rinunciare alla prescrizione e risarcire tutte queste persone.

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