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Chiesa e dittatura argentina: quel «supporto silenzioso e inestimabile» del regime

Chiesa e dittatura argentina: quel «supporto silenzioso e inestimabile» del regime

Tratto da: Adista Notizie n° 16 del 29/04/2023

41456 BUENOS AIRES-ADISTA. Dell’indagine storica, voluta dalla Chiesa argentina sugli anni della dittatura (v. Adista Notizie n. 8/23), La verdad los hará libres (La verità li renderà liberi) – di cui sono stati presentati a Buenos Aires i primi due dei tre volumi previsti –, non si potrà qui fare un resoconto minimamente esaustivo perché non solo è un’opera è monumentale, ma perché è tragicamente monumentale il soggetto dell’indagine, la collusione fra le istituzioni politiche governative e la Chiesa cattolica negli anni della feroce dittatura (30mila desaparecidos in 7 anni, dal 1976 al 1983, molti gettati vivi in mare nei cosiddetti “voli della morte”). E anche negli anni che la precedettero, durante i quali la Chiesa cattolica venne formata per l’appunto all’ideologia integrista e conservatrice che spiega il manifestarsi di tanta complicità.

L’opera consiste in una ricostruzione storica su richiesta della Conferenza episcopale (CEA), realizzata attingendo agli archivi di tutte le istituzioni ecclesiali diocesane e religiose, di organismi di diritti umani e di varie sedi diplomatiche, e all’archivio vaticano, desecretato da papa Francesco. A firmarla, gli storici e presbiteri Carlos Galli, Luis Liberti, Juan Durán e il laico Federico Tavelli, teologo, storico della Chiesa, che vi hanno lavorato per 5 anni, dal 2018.

Malgrado tanta indagine, il risultato non è completo (v. notizia seguente). Così come non è completo il materiale consegnato dalla Chiesa per il nuovo processo contro ex membri della Polizia federale per l'omicidio di 11 persone tra il 1976 e il 1977. Il processo, apertosi il 10 febbraio scorso, è noto come “Sovrintendenza alla sicurezza federale III” (SSF), riguarda sei operazioni repressive nella persecuzione e nell'esecuzione di militanti politici.

La Chiesa, scrive in merito Ailín Bullentini su Pagina12 il 10 aprile scorso, ha fornito ai giudici «elenchi di detenuti e scomparsi. Nomi di persone per le quali madri e padri, sorelle, zie si sono rivolti alla Chiesa in cerca di aiuto (…) che le autorità ecclesiastiche hanno più volte elencato e consegnato, durante anni, ai responsabili di tanta sofferenza». Ma «il resto degli archivi della Chiesa legati al terrorismo di Stato (…) resta sotto la sua custodia». Si tratta di «documenti, verbali, testimonianze, scambi epistolari e riflessioni, tra tanti altri tipi di atti contenuti negli archivi che rivelano dialoghi diretti tra autorità ecclesiastiche e dittatori, riconoscimenti di sequestri, torture e sparizioni e silenzi complici – almeno – della gerarchia ecclesiastica e di singoli ecclesiastici».

Collaborazione e silenzio

L’indagine storica ha dimostrato che la Chiesa argentina era al corrente dal 1976 dei crimini dell'ultima dittatura, o Processo di Riorganizzazione Nazionale come si autodefiniva. In La Conferenza episcopale argentina e la Santa Sede contro il terrorismo di Stato, secondo volume dell’opera, «gli autori – scrive Ailín Bullentini su Pagina12 dell’1 aprile – danno atto che fin dai mesi immediatamente successivi al colpo di Stato del 24 marzo 1976, l'Episcopato aveva “informazioni sufficienti” su rapimenti, torture, centri di detenzione clandestini, omicidi e sparizioni». «Sapevano, in misura maggiore o minore, che il "governo argentino" (…) stava sequestrando e torturando persone (…). Lo sapeva anche il nunzio Pio Laghi, incaricato del collegamento tra le autorità ecclesiastiche argentine e il Vaticano». Ma «i vescovi preferirono il dialogo istituzionale e privato con le autorità del genocidio», osserva il giornalista.

I «dialoghi» tra la Chiesa e la dittatura cominciarono a essere inquadrati in una Commissione di collegamento fondata nel settembre 1976, un «canale riservato di comunicazione tra i rappresentanti della dittatura e la commissione esecutiva della Conferenza episcopale argentina (CEA)», si legge nel volume, allo scopo di discutere «problemi irritanti» con le autorità; e dunque, osserva Bullentini, «non è stato creato con l'obiettivo di ottenere risposte alle centinaia di lamentele di persone che si sono rivolte ai rappresentanti dell'istituzione per chiedere aiuto. Secondo il libro, tra il novembre 1976 e l'ottobre 1981 ci furono 22 riunioni di questa commissione tra diversi rappresentanti della dittatura e rappresentanti della CEA (…). “Il tema delle violazioni dei diritti umani era presente in 19 dei 22 incontri”, afferma l'inchiesta». È alla quinta riunione della Commissione di collegamento, nel dicembre 1977, seguita Bullentini, che «il sottosegretario alla Marina Eduardo Fracassi ammetteva operazioni nell'ambito del piano sistematico, modalità di “ammorbidimento” dei detenuti e persino omicidi: “Ammetteva che i guerriglieri vengono uccisi e che poi vengono fatti apparire morti in qualche azione di strada”, secondo un estratto di uno dei verbali citati nel libro. Di fronte a questa “confessione”, i vescovi hanno discusso sul da farsi. Juan Carlos Aramburu (vescovo di Buenos Aires, ndr) ha preferito dubitare delle dichiarazioni di Fracassi, Tortolo (vescovo militare, v. notizia successiva, ndr) ha argomentato dicendo che “è lecito allo Stato difendersi”. Fu Jaime De Nevares (vescovo di Neuquen, fondatore con altri dell’Asamblea Permanente por los Derechos Humanos, ndr) a riconoscere la gravità di quanto stava succedendo: “Allora il fine giustifica i mezzi! C'è una documentazione sufficiente per sapere che si pratica la tortura"».

«Un incontro fondamentale per capire il ruolo della Chiesa nel terrorismo di Stato – riprende dal volume Bullentini – si svolse durante l'assemblea della CEA nel maggio 1977». «Tre rappresentanti della Giunta militare parteciparono al “dialogo” con i 57 vescovi riuniti sulle modalità della “lotta all'eversione” che stavano conducendo. Secondo il verbale, il più chiaro fu il genocida Roberto Viola. “La vittoria a cui aspirano le forze al governo non può essere raggiunta senza il sostegno della Chiesa”, disse ai vescovi. “L'atteggiamento della Chiesa verso il Processo (leggi “dittatura”, ndr) e più specificamente verso la lotta è stato di comprensione – riconobbe –. E ancora di più, ha significato un supporto silenzioso e inestimabile”». 

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