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Venti di guerra: gli affari delle lobby, lo scollamento tra politica e società

Venti di guerra: gli affari delle lobby, lo scollamento tra politica e società

È online il numero di marzo di IRIAD Review, la rivista dell’Archivio Disarmo che si occupa di studi sulla pace e sui conflitti.

Su questa edizione – dal titolo “Europa: bombe e armi per tutti” – si parla tra l’altro di: “Unione Europea, Italia: dove stiamo andando?” (di Maurizio Simoncelli), “Analisi e ricerche L’export di armi dall’Europa al Nord Africa e al Medio Oriente nel triennio 2020-2022” (di Bernardo Guzzetta), “Mine e cluster bomb: rispettare i Trattati” (di Simonetta Pagliani), “Cluster bomb: il ritorno (parte I)” (di Matteo Taucci).

Nel suo focus, con lo sguardo puntato ai contesti di guerra (Ucraina, Medio Oriente, Mar Rosso), Simoncelli denuncia relazioni internazionali sempre più incrinate e sempre più “muscolari”, con strategie della tensione e prove di forza che vede protagoniste vecchie e nuove potenze sullo scacchiere internazionale.

L’Unione Europea, invece di contraddistinguersi come grande progetto di pace, «appare entrata in un clima da economia di guerra», scrive Simoncelli, «approvando la nuova strategia per l’industria della difesa e prevedendo un fondo da un miliardo e mezzo di euro, destinato soprattutto a incentivare gli acquisti congiunti».

Analizzando la spesa militare europea relativa all’anno 2022, si scopre che questa «quasi eguagliava con i suoi 268 miliardi di dollari quella cinese di 292 miliardi e rappresentava quasi il triplo di quella russa (86,4 miliardi)». Allarmante però indagare lo stesso dato in rapporto alla popolazione: la spesa pro capite dell’Unione (597,6 $) «era ben diversa da quella di Pechino (201,6$), ma analoga a quella russa (592,4 $)». Tanta spesa, ma con quale risultato? «I governi europei – spiega Simoncelli – mantengono gelosamente le loro prerogative nazionali in materia di difesa (27 stati maggiori con altrettante forze armate, comparti industriali, politiche del settore), con duplicazioni e sprechi su larga scala. Gigante economico, nano sulla scena internazionale, che si trova a metà del guado non riuscendo a definire e ad attuare politiche comuni né nel senso diplomatico (soft power) né in quello di potenza internazionale (hard power). Il patrimonio fondativo sognato da Spinelli ed altri, teso ad unire per evitare nuovi conflitti armati, sembra essersi dileguato nel corso degli anni e la necessità di una sicurezza comune per tutta l’Europa appare scontrarsi nuovamente e duramente con la logica dei blocchi contrapposti, che si minacciano reciprocamente anche con le armi nucleari, in un caos geopolitico senza precedenti».

Puntando poi i riflettori su casa nostra, «L’Italia, che fu patria natia degli estensori del Manifesto di Ventotene e che nella sua Costituzione all’art. 11 ripudia la guerra, ormai è sempre più impegnata su diversi fronti», non certo di pace: gli accordi militari con l’Ucraina, le bombe nucleari B61 ospitate, la missione Aspide nel Mar Rosso, le manovre militari aeronavali con il Giappone, l’«esportazione indiscriminata di armi e munizioni». Inoltre, in barba alla Legge 185/90, che proibisce l’export a Paesi in guerra o che violano i diritti umani, vendiamo armi all’Arabia Saudita, alla Cina, all’Egitto, a Israele, al Messico e alla Turchia. L’esportazione è progressivamente crsciuta negli anni, aggiunge Simoncelli: leggendo l’ultimo rapporto del SIPRI, «l’Italia tra il 2014-2018 e il 2019-23 ha registrato un aumento dell’86% delle sue esportazioni, arrivando al 6° posto a livello mondiale».

Tra l’altro, la Legge 185 quasi sicuramente sarà presto modificata dal governo: i venti di guerra e gli affari a gonfie vele «contribuiscono ad alimentare le pressioni industriali e bancarie affinché cadano le ultime restrizioni della legge 185/90 per far posto a vendite più “libere e segrete”».

Secondo l’analista, «si preannunciano ora periodi di floridi affari per le aziende del settore», come Leonardo, e per le “banche armate” che offrono servizi al settore. Le manovre sulla 185 dimostrano il timore delle lobby nei confronti della società civile, che sogna la pace e che auspica una riduzione della spesa militare in favore di settori “trascurati”, come sanità, istruzione, lavoro, povertà, casa. «E tutto questo – conclude Simoncelli – ancora una volta evidenzia lo scollamento tra politica e società, fenomeno quanto mai preoccupante testimoniato anche dal forte astensionismo elettorale, che appare come una minaccia incombente sulle prossime elezioni europee, nell’ambito delle quali invece dovrebbe riprendere slancio il pensiero positivo dei padri fondatori, che era un pensiero di pace e non di guerra».

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