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Mano dura del papa sulla

Mano dura del papa sulla "sua" diocesi: De Donatis e Libanori rimossi dal Vicariato di Roma

ROMA-ADISTA. La notizia era stata anticipata il 5 aprile in serata dal blog Messa in latino, ma la conferma è arrivata il 6, dal Bollettino della Sala Stampa vaticana: decapitato il Vicariato di Roma, con la nomina del cardinal vicario Angelo De Donatis a penitenziere maggiore in Vaticano (e la conseguente uscita del predecessore card. Mauro Piacenza, ottantenne, presidente internazionale della fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre), e la rimozione dal suo ruolo di vescovo ausiliare per Roma centro del gesuita mons. Daniele Libanori, per il quale è stato disegnato il ruolo di «assessore del Santo Padre per la vita consacrata». Un vero terremoto nella diocesi di cui papa Francesco è vescovo, epilogo di un lungo periodo di tensioni e conflitti interni, che si aggiunge alla recente rimozione di un altro vescovo ausiliare, mons. Riccardo Lamba (ora vescovo a Udine) a nemmeno due anni dalla sua nomina a responsabile del settore est di Roma e a poco più di uno da quella a guida del servizio diocesano tutela minori e persone vulnerabili.

«Assessore del Santo Padre»

Perché il papa ha voluto rimuovere Libanori, dopo averlo nominato ausiliare nel 2017, e chiamarlo a un ruolo del tutto inedito, ad hoc, che non ha precedenti? Promozione o siluramento? Difficile dirlo, per il momento. Ci sono casi pregressi di nomine ad “assessore”, un ruolo che in genere è stato attribuito a personaggi da “salvare” o per i quali non si intravedevano altri incarichi all'interno dell'organigramma vaticano. Ma qui c'è un plus: «assessore del Santo Padre». L'assessore è colui che assiste un superiore nell'esercizio delle sue funzioni. Nella versione inglese del comunicato è supervisor: sovrintendente, garante. Si brancola nel buio, perché di una simile carica non c'è traccia. Sulla carta potrebbe trattarsi di una superpromozione, ma perché, allora, non inquadrarlo in una posizione apicale all'interno di un Dicastero? Già, perché se diventasse una sorta di supergarante della vita consacrata che affianca e consiglia il papa in questa materia, in che rapporto si porrebbe con il Dicastero per la vita consacrata, e in particolare con il prefetto, card. João Braz de Aviz?

Libanori ha maturato molta esperienza nella sua veste di commissario di comunità religiose problematiche: dalla slovena Comunità Loyola, co-fondata dall'ex gesuita abusatore Marko Rupnik, alla Famiglia di Maria, comunità dalle origini controverse della quale su Adista abbiamo documentato le derive settarie attraverso la voce di testimoni. E forse in questo ambito è da cercare una risposta.

La difesa delle vittime di Rupnik

Nella gestione del caso Rupnik, Libanori ha sempre ascoltato le sopravvissute agli abusi, dando loro credito e attenzione, e non ha mai difeso Rupnik, che invece gode ancora adesso di grandi protezioni in Vaticano e presso il cardinale, ormai ex vicario, De Donatis. Di Libanori l'indagine che ha poi portato allo scioglimento della comunità Loyola, dove il teologo artista ha perpetrato a partire dagli anni ‘90 abusi psicologici, spirituali e sessuali su diverse consacrate. In un'intervista al quotidiano francese La Croix del febbraio 2023, Libanori smentì che Rupnik si fosse mai pentito: «Quando si commettono atti del genere, si tiene un profilo basso. Ma lui non ha mai avuto una parola da dire loro [alle vittime], non si è mai assunto la responsabilità. Da parte mia, sono convinto che la questione sia psichiatrica». Una affermazione dirompente, perché di fatto si scontrava con quanto affermato dal generale dei gesuiti p. Arturo Sosa in un’intervista all’Associated Press (14/12/22), in relazione all’annullamento (proprio in seguito a un presunto pentimento) della scomunica latae sententiae (cioè automatica) comminata al religioso sloveno dal Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) nel 2019 per assoluzione del complice in confessione, poi revocata, presuntamente dal papa stesso: «Come si revoca una scomunica? La persona deve riconoscerlo e deve pentirsi, cosa che Rupnik ha fatto».

Libanori ha poi sempre sostenuto le vittime nel loro diritto a un processo: «Nessuno può far tacere il sangue di Abele che grida», disse nella stessa intervista a La Croix, «per farlo tacere, è necessario un giudizio. Le vittime, anche a distanza di più di trent'anni – un tempo che equivale a una condanna all'ergastolo – hanno il diritto di sentire dalle autorità una parola definitiva che metta a tacere il dubbio sulla loro colpevolezza e restituisca loro dignità proclamando ciò che è vero, cioè che sono state vittime». E dunque metteva in luce, sempre nell'intervista, il fatto che «se la loro testimonianza non è stata seguita da una sentenza, è perché è intervenuta la prescrizione».

Il papa, lo scorso ottobre, quella prescrizione l'ha tolta, per rendere possibile il processo (almeno sulla carta, perché a ora, e sono passati mesi, non se ne ha alcuna notizia). Si è convinto forse che l'innocenza di Rupnik andava verificata? Ha capito e apprezzato la posizione di Libanori? Lo ha voluto valorizzare ora con un incarico straordinario e di enorme rilievo? Anche a voler vedere positivo, un legame esplicito alla figura del papa (come assessore del Santo Padre) suona in ogni caso come un salto nel vuoto, nella fase finale del pontificato.

È un fatto, in ogni caso, che papa Francesco abbia sempre sostenuto l'ex gesuita abusatore: presunta revoca della scomunica a parte, non ha mai voluto incontrare le vittime ma lo scorso settembre ha ricevuto la presidente della scuola d'arte-atelier-comunità di Rupnik (Centro Aletti), Maria Campatelli diffondendo pubblicamente le foto dell'incontro.

Letto in questa diversa chiave, l'atteggiamento rigoroso di Libanori nel caso Rupnik (che lo ha messo anche in tensione con il suo superiore De Donatis) potrebbe avere spinto un Francesco difensore di Rupnik a “renderlo innocuo”, mettendolo in una posizione sostanzialmente ininfluente, in cui possa controllarlo. Si torna alla domanda iniziale: promozione o punizione? Si capirà solo con il tempo.

Il declino di Roma sotto De Donatis

La rimozione del cardinal vicario Angelo De Donatis e la nomina a penitenziere maggiore in Vaticano potrebbe essere dovuta a motivazioni differenti, e suona inequivocabilmente come un siluramento. La Penitenzieria apostolica è un organismo antico e prestigioso che si occupa di delitti del foro interno, ossia azioni considerate sotto l'aspetto del peccato ("tribunale della misericordia", lo ha definito papa Francesco) al quale ci si rivolge per ottenere penitenze e indulgenze, ma ha scarsa rilevanza e incidenza su un piano “politico” e di “potere”.

Insomma, sembra di poter affermare che il papa ha scaricato il “suo” cardinal vicario. Sono passati i tempi della stretta coesione tra il vescovo di Roma e il suo vice, con i loro fasti: basti pensare allo stretto rapporto Wojtyla-Ruini (l'uomo dei superpoteri: vicario dal 1991 al 2008, quando andò in pensione a 77 anni; ma anche presidente CEI per tre quinquenni, nello stesso periodo) o Ratzinger-Vallini (vicario per 9 anni, dal 2008 al 2017, quando andò in pensione all'età di 77 anni).

Il card. De Donatis fu scelto dopo aver consultato la Chiesa romana, clero e laici: il papa infatti convocò a sorpresa i 36 parroci prefetti della diocesi di Roma, chiedendo loro di indicare criticità ed esigenze della diocesi e il profilo del nuovo vicario e spingendoli a fare anche dei nomi. A quanto sembra, il nome che uscì da queste “primarie” fu proprio quello di De Donatis, che aveva un lungo pregresso di familiarità con il clero romano e un curriculum tutto interno ai sacri palazzi (al contrario, ad esempio, di mons. Paolo Lojudice, per anni parroco di periferia a Tor Bella Monaca, prima di essere nominato, nel 2015, vescovo ausiliare per il settore sud della diocesi di Roma e poi, nel 2019, vescovo a Siena). De Donatis fu direttore dell'ufficio clero del vicariato dal 1990 al 1996, direttore spirituale al Pontificio Seminario Romano Maggiore dal 1990 al 2003, poi parroco della basilica di San Marco Evangelista al Campidoglio, assistente per la diocesi di Roma dell'Associazione Nazionale Familiari del clero; membro del Consiglio presbiterale diocesano; nel 2014 predicatore degli esercizi spirituali alla Curia romana in quaresima, l'anno dopo papa Francesco lo nomina vescovo titolare di Mottola e vescovo ausiliare di Roma, incaricato per la formazione permanente del clero. Nel 2016 presiede la riflessione nel corso del Giubileo dei sacerdoti della diocesi di Roma.

Nonostante il placet del clero di Roma, le cose tra De Donatis e Francesco non vanno lisce; è noto lo strappo con il papa nel marzo 2020, durante il lockdown, quando De Donatis decreta la chiusura delle chiese della diocesi fino al 3 aprile, come da disposizioni del Consiglio dei Ministri italiano e della CEI. Ciò provoca il risentimento del papa, che il giorno successivo afferma in un'omelia che «le misure drastiche non sempre sono buone» e prega perché i pastori prendano «misure che non lascino da solo il santo popolo fedele di Dio». Immediata la rettifica di De Donatis, che riapre le chiese della diocesi, affermando però che la decisione “drastica” del giorno precedente non era stata presa autonomamente, ma di concerto con il papa.

Da lì in poi, le cose vanno sempre peggio, tanto da far parlare di una imminente sostituzione, forse proprio con quel Lojudice che il papa stimava e che conosceva bene Roma. Nel dicembre 2022 l'esplosione del caso Rupnik sulle pagine di Domani vedono il cardinal vicario (del quale Rupnik è stato mentore e guida) trincerarsi in una posizione ultragarantista nei confronti del mosaicista gesuita, poi espulso dalla Comagnia di Gesù: «Noi ministri di Cristo – scriveva in un comunicato stampa all'epoca - non possiamo essere meno garantisti e caritatevoli di uno Stato laico, trasformando de plano una denuncia in reato. I giudizi che vediamo diffondersi da parte di molti con particolare veemenza, non sembrano manifestare né un criterio evangelico di ricerca della verità, né un criterio di base su cui si fonda ogni stato di diritto, a verbis legis non est recedendum». Nel settembre 2023, poi, subito dopo l'incontro del papa con Maria Campatelli, un comunicato del vicariato dai toni soddisfatti che dava conto delle conclusioni della visita canonica al Centro Aletti (dal 2019 associazione pubblica di fedeli, sotto la giurisdizione della diocesi di Roma) definendone la vita comunitaria «sana e priva di particolari criticità», sembra aver messo in imbarazzo i vescovi della Diocesi.

La posizione di De Donatis nel caso Rupnik accende certamente polemiche e tensioni interne al vicariato, ma più in generale, sotto il suo governo (e anche ultimamente), si aggravano anche questioni amministrative e finanziarie che alimentano conflitti intestini e che l'inspiegabile girandola di vescovi ausiliari spesso spediti altrove di punto in bianco a pochi mesi dalla nomina, unita ai malumori dei parroci e a squilibri di potere, non contribuisce certo a risanare. Tanto che già nell'aprile 2021, senza alcun annuncio ufficiale (la notizia trapelò grazie all'agenzia Aci Prensa), era stato avviato un audit contabile dell'ufficio del revisore generale della Santa Sede, presieduto da Alessandro Cassinis Righini. L'audit mirava a valutare il bilancio consuntivo e previsionale, vari aspetti dell'amministrazione e delle procedure, gli investimenti finanziari, la gestione del patrimonio e le risorse umane della diocesi di Roma, che amministra più di 500 chiese (330 le parrocchie) e numerosi enti, e che conta circa 1.000 sacerdoti diocesani. Una misura tanto più necessaria quanto più ci si avvicinava all'avvio di progetti per il Giubileo.

Il papa si riprende il vicariato

Nel gennaio 2023 il papa prende da lontano la questione della leadership romana, emanando la costituzione apostolica In ecclesiarum communione, con la quale ristruttura il vicariato, le cui difficoltà sono anche testimoniate dall’avvicendamento repentino di diversi vescovi ausiliari e dal grande potere conquistato da alcuni responsabili di settore, a cominciare dal segretario generale, il prete neocatecumenale cremonese Pierangelo Pedretti (che ereditò il suo ruolo nel 2019 dall'ausiliare mons. Gianrico Ruzza, anche lui durato appena 4 anni in vicariato). È una ristrutturazione per lo più di facciata, che afferma di voler valorizzare la «sinodalità» e la «collegialità episcopale» ma che nella sostanza sottopone tutto rigidamente al giudizio finale e al potere decisionale del vescovo di Roma, il papa stesso, e nella quale il ruolo dei laici è ridotto a mero ornamento di funzioni saldamente in mani ecclesiastiche. Fa eccezione una nuova creatura, la Commissione indipendente di vigilanza, formata da sei laici, voluta da Francesco per controllare la gestione amministrativa e finanziaria della diocesi, anche per ciò che riguarda la suddivisione dei poteri tra vescovi.

Nella sostanza, questa ristrutturazione sembra una sorta di commissariamento dello stesso De Donatis, drasticamente demansionato: il cardinale vicario «non intraprenderà iniziative importanti o eccedenti l’ordinaria amministrazione» senza preventivamente consultarsi col papa. E a guadagnare terreno è il vicegerente, che supera in incarichi il vicario, e coordina l’amministrazione interna della Curia diocesana, dirige gli uffici della Segreteria generale del Vicariato, modera gli uffici del Vicariato nell’esercizio delle loro funzioni, convoca mensilmente la riunione dei direttori di tutti gli uffici del Vicariato. Scelto per questa funzione è mons. Baldassarre Reina, ausiliare a Roma da pochi mesi (sostituisce mons. Gianpiero Palmieri, anch'egli ausiliare per poco tempo, poi nominato da Francesco vescovo ad Ascoli Piceno), che il 2 aprile scorso è stato nominato anche nuovo vescovo responsabile del Servizio Diocesano per la Tutela dei Minori e delle Persone vulnerabili (ruolo già di mons. Lamba). «La Chiesa perde la sua credibilità quando viene riempita da ciò che non è essenziale alla sua missione o, peggio, quando i suoi membri, talvolta anche coloro che sono investiti di autorità ministeriale, sono motivo di scandalo con i loro comportamenti infedeli al Vangelo», scrive Francesco nella costituzione apostolica, che esprime l'intenzione del papa di riprendere in mano personalmente la gestione della diocesi, anche a livello amministrativo, e di avere l'ultima parola su molte cose, compresa la nomina dei parroci.

Un nuovo cardinal vicario per il Giubileo?

L'attuale rimozione di De Donatis è tanto più significativa dal momento che è molto raro che un cardinale sia rimosso dalla sua diocesi prima dello scadere dei 75 anni: per motivi molto diversi e non paragonabili lo furono il card. Giacomo Lercaro e il card. Angelo Scola. Ma è ancora più significativa dal momento che la diocesi in questione è Roma, il cui vescovo è il papa.

E se al momento diverse sono le voci di “candidature” che si rincorrono sull'identità del prossimo cardinal vicario (da Lojudice, a Reina, al presidente della Cei card. Matteo Zuppi), non ci sarebbe da stupirsi se il ruolo restasse vacante: avendolo svuotato di significato e avendone ridotto rilevanza e competenza, Francesco potrebbe pensare di farne a meno, assumendo in prima persona il governo della diocesi, in quanto già vescovo di Roma. Se non fosse che il Giubileo alle porte forse consiglierebbe di integrare una figura che funga da interfaccia tra Roma e Vaticano. Per il momento, a presidiare la tormentata diocesi romana – sempre che non vi siano altri avvicendamenti in vista: il papa ha convocato per domani 8 aprile un Consiglio episcopale a Santa Marta - restano gli ausiliari mons. Daniele Salera (dal 2022), mons. Dario Gervasi (dal 2020), mons. Baldassare Reina (vicegerente, nominato ausiliare nel 2022), mons. Paolo Ricciardi (dal 2017, ha appena sostituito nel settore est di Roma mons. Riccardo Lamba, dall'1 marzo vescovo a Udine), mons. Benoni Ambarus (dal 2021) e mons. Michele Di Tolve (dal 2023).

Qualche ora dopo la diffusione della notizia della propria rimozione, De Donatis ha pubblicato una lettera: al netto dei ringraziamenti e delle frasi di prammatica, a dare il tono del suo stato d'animo è la citazione evangelica con cui lo scritto si apre: «In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi. E detto questo aggiunse: “Seguimi”».

* Foto di Palickap da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

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