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Obiettivo

Obiettivo "Fame Zero" sempre più lontano: il rapporto Onu e l'appello di Oxfam

Il secondo tra i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 chiede di porre fine alla fame nel mondo entro il 2030, ma il mondo è arretrato di 15 anni e questo grande sogno, pensato nel 2015 dall’Agenda delle Nazioni Unite per l’umanità, sembra infrangersi oggi contro i dati del rapporto dal titolo “Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo” (The State of Food Security and Nutrition in the World-SOFI), pubblicato ieri, 24 luglio, da 5 agenzie Onu (Fao, Ifad, Unicef, Pam e Oms).

La pandemia da Covid-19 negli anni 2020-2021 ha provocato un drastico peggioramento della situazione globale e, da allora, le cose non sono più migliorate, tanto che oggi 733 milioni di persone vivono in una condizione di fame (oltre il 9% della popolazione mondiale) e 2,3 miliardi di persone in una condizione di insicurezza alimentare (in Africa il 58% della popolazione). E se le cose vanno un po’ meglio in America Latina e Caraibi, restano stazionarie in Asia, peggiorano invece drasticamente in Africa. Le cause della fame sono note e sono antiche, ma il peggioramento è dovuto principalmente alle guerre e al cambiamento climatico.

Secondo Francesco Petrelli (portavoce e policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia) «La fame e l’insicurezza alimentare nel mondo rimangono a livelli altissimi e l’obiettivo “fame zero”, previsto dall’Agenda 2030 dell’ONU è già oggi probabilmente irraggiungibile. Il rischio di questo fallimento è dovuto a un insieme di motivi che continuano ad essere usati dai nostri Governi come scusa per rinviare azioni adeguate ed efficaci, in grado di affrontare davvero il problema. Il tutto a fronte di un contesto profondamente ingiusto e paradossale: nel mondo coltiviamo abbastanza cibo per sfamare tutti e le soluzioni per sradicare fame e malnutrizione esistono eccome».

Il dramma della fame e dell’insicurezza alimentare, come è intuibile, colpisce principalmente i Paesi a basso reddito (l’Africa più degli altri), vessati dal debito (complessivamente 65 miliardi di dollari) e maggiormente esposti al cambiamento climatico e alle mutazioni dell’economia globale. L’assenza di una svolta è legata, avverte Petrelli leggendo il rapporto Onu, a «una cronica mancanza dei finanziamenti necessari ad affrontare l’emergenza alimentare globale e porre fine alla fame. A livello globale mancano all’appello migliaia di miliardi di dollari. In questo contesto infatti i finanziamenti privati rappresentano una soluzione molto parziale, perché rischiano di aumentare il livello di disuguaglianze, escludendo le comunità locali da decisioni che condizionano il loro futuro. Al contrario sono necessari maggiori finanziamenti pubblici, a sostegno dei piccoli agricoltori nei Paesi più poveri, di programmi di protezione sociale più efficaci e in grado di ridurre il peso del debito estero per i Paesi più vulnerabili». Oxfam lancia un appello ai Paesi ad alto reddito, affinché sul breve periodo «rispettino le loro promesse di stanziamento degli aiuti necessari ad affrontare le crisi umanitarie e ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici». Ma occorre anche agire sulle cause profonde della fame («tra cui l’ingiustizia economica, la crisi climatica e i conflitti») e quindi si richiede «un cambiamento politico e sociale profondo. Per questo sosteniamo con decisione la Presidenza brasiliana del G20, impegnata nella definizione di un piano d’azione volto alla creazione di una grande alleanza internazionale per sradicare la povertà ed azzerare la fame».

E l’Italia? Secondo Petrelli, «per quanto riguarda l’Italia non possiamo inoltre che rilevare quanto siamo lontani dagli obiettivi. L’aiuto pubblico è in calo, dallo 0,33% allo 0,27% del 2023. Mentre si parla di Piano Mattei come occasione di svolta nel rapporto Italia-Africa, i trasferimenti dell’aiuto bilaterale italiano verso quel continente, diminuiscono invece del 32% (da 515 milioni di dollari a 351 nel 2023)».


* Foto di kristi611 da Pixabay

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