Dibattito sulla cittadinanza: il nostro è un Paese fuori dalla storia
Sul numero di ottobre di Vita Pastorale, il notista politico, gesuita e scrittore, Francesco Occhetta, entra nel pieno del dibattito referendario affermando che «una riforma della cittadinanza stempererebbe le tensioni della frammentazione della società».
Occhetta ritorna alle Olimpiadi, in particolare alle belle vittorie delle pallavoliste italiane che, invece di gonfiare il petto di un Paese orgoglioso, hanno innescato assurdi dibattiti sull’“italianità” dei tratti somatici e sulla cittadinanza. Un dibattito fuori dal tempo visto che, sottolinea il gesuita, «nell’anno scolastico 2022/23 nelle nostre scuole erano registrati 914.860 studenti e studentesse con cittadinanza non italiana, l’11,2% del totale degli alunni in Italia». Tanti bambini e giovani, “italiani di fatto” ma senza diritti di cittadinanza.
Occhetta spiega poi l’attuale legge italiana sulla cittadinanza (Legge 91 del 1992), «ormai vecchia», che «si basa sullo ius sanguinis» e che, a causa dei lunghi iter previsti, rischia di diventare discriminante o scoraggiante, impedendo «un’integrazione effettiva e affettiva dei bambini, che sono discriminati nelle loro attività extra scolastiche come la partecipazione a gite scolastiche e ad attività sportive».
Il dibattito politico sul tema, innescato negli anni da proposte di legge rimaste nei cassetti e bloccato per le solite ragioni elettorali, non ha mai progredito nella direzione di una riforma della legge più in linea con i tempi attuali.
«Riportare il dibattito sui temi dell’accoglienza, dell’educazione e dell’identità misura il grado di civiltà del Paese», afferma il notista politico dei gesuiti. «Una riforma della cittadinanza stempererebbe le tensioni dovute alla frammentazione della società e all’omologazione del diverso per trasformarle in incontro, accoglienza e partecipazione».
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