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Ambiente e guerra: la Giornata Onu per l'ambiente. Intervento di Cipax ed evangelici italiani

Ambiente e guerra: la Giornata Onu per l'ambiente. Intervento di Cipax ed evangelici italiani

ROMA-ADISTA. Si celebra oggi la Giornata Internazionale per prevenire lo sfruttamento dell’ambiente in guerra e nei conflitti armati. Questa Giornata è stata istituita dall’Onu nel 2001 per sensibilizzare sul devastante impatto ambientale dei conflitti. Guerre recenti e meno recenti hanno reso evidente come lo sfruttamento di risorse naturali e il controllo di territori intensifichino la distruzione dell’ambiente, con effetti duraturi sugli ecosistemi e le generazioni future.

La guerra trasforma l’ambiente in un campo di battaglia colpendo, oltre a persone e comunità, anche piante, animali, acqua e suolo, mentre le armi chimiche e nucleari portano morte e aumentano l’inquinamento. Questa giornata cade tra importanti eventi ONU come la Conferenza delle parti sulla biodiversità e quella sul clima (COP 29), e intende richiamare l’attenzione su un tema che spesso resta trascurato: la necessità di tutelare l’ambiente anche nei contesti di guerra. Celebrare questa giornata significa riconoscere, come sottolineato anche dal Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), che la pace e la giustizia ambientale sono indissolubilmente legate.

Di seguito il documento predisposto per il 6 novembre dalla Commissione globalizzazione e ambiente (Glam) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) e dal Centro interconfessionale per la pace (Cipax)  

 

«L’effluvio della guerra che incendia l’Europa per la seconda volta sempre ai confini orientali dopo le guerre in Yugoslavia (1991-2001), e da un anno ancora una volta oltre il Mediterraneo chiudendola in una morsa di odio e di sangue restringe e riporta anche a questa latitudine la concentrazione sulle interazioni umane perché questa volta l’Europa sta iniziando ad attuare la cancellazione della vita civile e dello stato di diritto in ogni loro aspetto per effetto della fibrillazione del settore militare e della propulsione imperiale e coloniale che folgora ampi settori di governo e attraversa le chiese.

L’ambiente sottoposto alla guerra tra umani, inteso come piante e animali, campi e acque, è ‘ambientazione’, scenografia di uno scontro spesso per accaparrarsi risorse e materie prime. Solo nel corso degli ultimi 450 anni si contano più di 500 guerre per il controllo dell’acqua.

Il resto del creato è travolto, scompare dall’orizzonte della coscienza per essere ridotto a preda e ‘devitalizzato’ da strumenti di distruzione i cui effetti devono trapassare le generazioni come le armi nucleari (all’uranio impoverito usato dagli USA in Iraq nel 1990-1991 e poi nel 2003-2011, in Bosnia nel 1995 e in Kosovo nel 1998, mentre si sta sdoganando il cd nucleare tattico) e le armi chimiche (dai gas tossici di un secolo fa al napalm e al fosforo bianco).

Per questo l’Onu dal 2001, dopo la devastazione della Yugoslavia, ha deciso di dedicare una giornata all’impatto sull’ambiente delle guerre e dei conflitti tra cui quelli che coinvolgono risorse naturali, terre rare, materie fossili.

Quest’anno il 6 novembre si colloca tra la COP 16 sulla biodiversità (21 ottobre – 1 novembre) appena conclusa in Colombia e la COP 29 sul cambiamento climatico che si svolgerà a Baku in Azerbaigian tra 11 e 24 novembre mentre tra il 2 e 13 dicembre in Arabia Saudita ci sarà la COP 16 sulla desertificazione. Eppure sembra che gli sforzi dell’ONU per ancorare i governi ad una responsabilità rispetto all’inquinamento, la distruzione della biodiversità e gli effetti del cambiamento climatico non riescano a produrre azioni in grado di destrutturare le ragioni delle guerre, di prevenire lo sfruttamento dell’ambiente.

In fondo la pedagogia della proposta dell’ONU assume la distanza della cultura dominante, impregnata del suprematismo di specie, dal considerare l’ambiente in pace e ancor di più in guerra come un soggetto portatore di diritti.

Essa comporta una revisione dei fondamenti della sussistenza della umanità sulla Terra.

Da dentro la spirale bellicista il rifiuto dello sfruttamento dell’ambiente dovrebbe essere esteso a misura delle relazioni con il creato e tra le persone. Proteggere l’ambiente e gli ecosistemi nelle zone di conflitto e riparare successivamente i danni ambientali da esso prodotti come suggerisce l’ONU è una prospettiva di mitigazione e adattamento che assume le guerre come un dato ineluttabile mentre la ricerca e la produzione bellica si indirizzano verso sistemi sempre più devastanti.

La Glam celebra questa ricorrenza dal 2018, forte del monito del Consiglio ecumenico che nel 1948 nella sua prima assemblea ha dichiarato che la guerra è contraria alla volontà di Dio (War is contrary to the will of God), per posizionarsi su una prospettiva di precauzione e prevenzione e ribadire che la pace fondata sul disarmo e la giustizia è un requisito per la salvaguardia del creato che nelle guerre è sia arma(pensando alle armi chimiche e biologiche) che vittima (per l’inquinamento e la distruzione di interi ecosistemi), e perciò ostaggio delle controversie umane.

Ricordando il lavoro di Jürgen Moltmann (1926-2024) portiamo davanti a Dio lo scoraggiamento di fronte al mondo della politica che con la sua incuria e per i suoi interessi specifici quotidianamente spegne in tutti i cittadini la capacità di sperare in un mondo più giusto, libero dalla minaccia costante e dall’atroce realtà della guerra. Ma non dimentichiamo la promessa del Dio vivente della pienezza di vita rivolta ad ogni creatura e la chiamata ad andare avanti con speranza».

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