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Più forte ti scriverò. Cara professoressa...

Più forte ti scriverò. Cara professoressa...

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 41 del 30/11/2024

Alla professoressa Carmela Catuogno Scola

Cara professoressa, non potrei dire, come i ragazzi di Barbiana: «Lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti…». So infatti che lei si ricorderà perfettamente di me, come io mi ricordo perfettamente di lei. Sento però l'amarezza dei miei compagni di Barbiana, bocciati dal sistema scolastico e rimandati nei campi. La professoressa di cui parlano loro esprime un sistema di scuola escludente che, scandalizzato dalle lotte di classe, faceva proprio scuola di “classe” dividendo i ricchi dai poveri, i borghesi dagli operai e dai contadini. Io mi ricordo di lei, perché seppure la scuola avesse fatto dei passi alla fine degli anni ‘70, la vera differenza la facevano le persone come lei.

Ci guardava negli occhi. Sempre. Quando doveva lodarci e quando doveva rimproverarci. I suoi occhi, professoressa, erano neri e luminosi. Anche quando ci rimproverava. Ci insegnava Letteratura italiana e latina. Il greco ce lo insegnava un’altra di cui ricordiamo il nome, ma non gli occhi, perché non ci guardava mai. Erano gli anni del terrorismo; Moro era stato rapito e ucciso da pochi mesi quando abbiamo iniziato il liceo. Quando arrivava, Profe, sembrava portarsi dietro un’oscura angoscia. Non per lei. Per noi. Per quei giorni difficili. Una volta seduta alla cattedra, però, ci regalava il suo volto tutt’intero, senza macchia (come diceva la nonna a proposito di Maria).

Era un tempo stretto per il mondo, di violenza, di spari, di paura. Ma anche di voglia di immaginazione, di cambiamento. E lei ci offriva la possibilità di viaggiare in altri mondi: quelli della Letteratura. Non era un esercizio di evasione, ma di immersione nel mondo. Quando in Ariosto abbiamo letto della follia di Orlando, lei era così coinvolta che si accendeva tutta e tra un verso e l’altro si soffiava dentro il reggipetto. Le nostre mamme, nel Veneto cattolico di cui eravamo figli, quella cosa non la facevano mai. Eppure lì abbiamo intuito cos’è il corpo della letteratura. Non solo il testo di Ariosto, ma il suo, il nostro. Il corpo della scuola. La follia usciva dal libro e ci prendeva tutti. Ci accendeva l’amore e non le armi dei paladini di Carlo Magno. Facendo letteratura lei ci dava lezione di politica. Non si poteva impazzire per le armi, ma per l’amore. Se doveva esserci una rivoluzione, sarebbe dovuta venire da lì.

Cara professoressa, lei mi diceva che dovevo far sentire l’umorismo del Manzoni a Daniele che non lo sentiva proprio. Lui era bravo in matematica ma in italiano arrancava. Meno male che la professoressa di matematica non chiedeva a Daniele di farmi sentire l’umorismo delle equazioni. Perché non temevo le equazioni, ma la professoressa di matematica. Lei, Profe, diceva che dovevamo trasmetterci la passione, non le nozioni soltanto. Tanto che anche in latino aveva abbattuto qualsiasi voglia di passarci i compiti. Perché “si passa la passione, non il compito”. Credeva in noi. Così alla fine Daniele rideva più di me per l'Azzeccagarbugli o per le paure congenite di don Abbondio. Se si facevano errori poi, niente matita rossa! L’errore serve per capire, diceva, è un nostro strano alleato “vestito da nemico”.

Erano tempi in cui tra destra e sinistra si faceva ancora a botte, come i nostri papà avevano fatto per Bartali e Coppi. Quel giorno che Paolo strappò il testo della Costituzione e lo lanciò in aria nella ricreazione, lei, suonata l’ora, entrando, raccolse in silenzio ogni pezzetto. Con cura, con dolore. C’era un inspiegabile vuoto. Anche noi iniziammo a raccogliere i pezzi dispersi… poi sulla cattedra li distese con pazienza, con un lentissimo gesto della mano. Erano troppi i pezzi di carta. Cominciammo a stenderli allora sul pavimento, spostando i banchi davanti alla cattedra. E quando tutta la Costituzione sembrava ricostruita, quasi di scatto, con indicibile sorpresa, lei si mise a carponi, per terra e la baciò. La nostra Profe dagli occhi neri e luminosi, vestita con i suoi tailleur eleganti e perfetti, era diventata improvvisamente “piccola” e infinitamente “grande”. Immensa. Cara professoressa! 


*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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