Documento sulla Corte Penale Internazionale, «contro il dominio dell’illegalità, dell’arbitrio e dell’impunità»
“Difendi la Corte Penale Internazionale. Contro il dominio dell’illegalità, dell’arbitrio e dell’impunità”: è il titolo del documento firmato da Marco Mascia (presidente del Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” dell’Università di Padova) e Flavio Lotti (presidente della Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace) che riflette sulla recente decisione della CPI di spiccare mandati di arresto internazionale contro Benjamin Netanyahu, Yoav Gallant e Mohammad Deif per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi dopo il 7 ottobre 2023 nella Striscia di Gaza e, in particolare, sulla reazione scomposta di alcuni governi filo-israeliani, che però riconoscono la Corte dell’Aia e sono vincolati al rispetto delle sue sentenze.
In particolare, non è piaciuta agli autori del documento la reazione del governo italiano il quale, «anziché ribadire la volontà di rispettare le decisioni della Corte, aveva deciso di sottoporre la questione alla riunione dei Ministri degli Esteri del G7»: «Questo maldestro tentativo di contrapporre il G7 alla Corte Penale Internazionale – spiegano i due – è stato disastroso. Al punto che nel comunicato finale del Vertice la decisione della Corte non è stata nemmeno citata e il nostro Ministro degli Esteri è stato costretto a dire: “Rispetteremo i nostri obblighi”».
Secondo Lotti e Mascia «il diritto internazionale si rispetta o si viola» e l’unica alternativa possibile alla CPI e al multilateralismo «è la legge del più forte, il dominio dell’illegalità, dell’arbitrio e dell’impunità, la violazione sistematica dei fondamentali diritti umani, delle libertà e della democrazia».
Respingere la decisione della Corte dell’Aia significa in qualche modo porsi «al di fuori dell’ordinamento giuridico internazionale e alla testa di un progetto di ordine internazionale gerarchico dove a prevalere è la legge della forza sulla forza della legge. Dunque un progetto cinico e criminale».
Dunque, gli Stati membri dell’UE, che riconoscono la Corte, non hanno alternative e «devono una volta per tutte decidere da che parte stare. Dalla parte del diritto internazionale, della CPI, dell’ONU e del multilateralismo o dalla parte di coloro che rifiutano autorità sovraordinate agli Stati, agiscono unilateralmente o per coalizioni e rifiutano di rispettare quelle norme internazionali che i loro predecessori, all’indomani della seconda guerra mondiale, hanno posto a fondamento dell’ordine internazionale “per salvare le future generazioni dal flagello della guerra”».
Il documento racconta la genesi della Corte con lo “Statuto di Roma” del 1998 e il convinto sostegno ricevuto all’istituzione da parte dell’Unione Europea; ricorda i 124 Paesi che hanno ratificato il suo Statuto (tutti gli stati UE); fa nomi e cognome di quelli che, invece, non ne riconoscono la giurisdizione (tra gli altri, Stati Uniti, Russia, Cina, India, Israele, Iran, Egitto, Arabia Saudita e Turchia); spiega il metodo di elezione dei giudici, il funzionamento della Corte e le modalità con cui può esercitare la propria giurisdizione; affronta, dunque, il caso attuale del mandato di arresto per Netanyahu, Gallant e Deif, entrati a far parte della lista nera già affollata di criminali noti, come Vladimir Putin, i congolesi Germain Katanga, Thomas Lubanga Dyilo e Jean-Pierre Bemba Gombo, l’ivoriano Laurent Gbagbo, l’ugandese Dominic Ongwen e il sudanese Omar al-Bashir. Il documento di chiude con la posizione dei Paesi membri dell’Unione Europea, compatti quando si è trattato di sostenere la Corte contro Putin, disuniti oggi di fronte al mandato di cattura di Bibi Netanyahu e Gallant.
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