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Il neo-cardinale Castillo intervistato dal

Il neo-cardinale Castillo intervistato dal "Corriere": "ascoltare, non imporre dall'alto" e "camminando si fa il cammino"

Nominato cardinale il 7 dicembre scorso insieme ad altri 20 vescovi delle periferie del mondo, l’arcivescovo di Lima, Carlos Castillo Mattasoglio – sacerdote di una “Chiesa in uscita” ante litteram e, coerentemente, vescovo “che sa di pecora” fin da quando, nel 2019, è stato posto alla guida della diocesi della capitale peruviana – ha rilasciato un’intervista a Donatella Puliga, pubblicata l’8 dicembre da Il Corriere della Sera con il titolo “Una teologia rigenerante” (in riferimento alla teologia cui Castillo si affida nella sua prassi). «Forse è difficile crederlo – dice – ma questa notizia mi è giunta inaspettata», «pur consapevole del rapporto di fiducia che mi lega a Papa Francesco». «Non ho mai considerato il mio ruolo all’interno della Chiesa latinoamericana come un presupposto della porpora, anzi». «Il sentimento che prevale» rispetto al ruolo che ora è chiamato ad assumere, confida il neo-cardinale, «è quello di una grande responsabilità: un passo avanti nell’impegno della testimonianza. Si tratta di approfondire una strada che a me sembra profondamente evangelica: è mentre cammina con i discepoli che Gesù sperimenta diversi modi di farsi prossimo, e mai in maniera precostituita. Si tratta piuttosto di “fare il cammino camminando”, ascoltando, prendendosi cura e non imponendo modalità dall’alto. Questo significa anche non mettere a tacere ciò che spinge in avanti la riflessione, implica capacità di adeguarsi al dialogo con la realtà, per sua natura mutevole. Senza tornare a forme del passato, ma andando ogni volta, coniugando fedeltà e creatività, al fondamento. Andare in profondità, al fondamento, senza fondamentalismi. E il fondamento, per chi crede, è che Dio ama questo mondo: così occorre che anche noi continuiamo ad amare il mondo, pure nelle sue forme più difficili e inattese».

Il papa, interviene la giornalista, ha inviato ai nuovi cardinali una lettera invitandoli a incarnare tre attitudini: «Occhi aperti, perché il tuo servizio richiede di ampliare lo sguardo e dilatare il cuore; mani giunte, perché ciò di cui la Chiesa ha più bisogno - insieme all’annuncio - è la tua preghiera; piedi nudi, per toccare la durezza della realtà di tanti angoli del mondo frastornati dal dolore e dalla sofferenza». E chiede a Castillo come gli risuona questo invito che rivela «una novità di postura che inverte la dialettica di inferiore e superiore».

All’arcivescovo di Lima appare «in linea con il rovesciamento di prospettiva richiesto alla Chiesa per superare molte ambiguità, comprese quelle che sono state terreno fertile per gli abusi. Che sono prima di tutto - va tenuto presente - abusi di potere, a tutti i livelli. Ma il clericalismo, che il Papa ha definito “una perversione della vita ecclesiale”, è un male antico, percepito fin dall’inizio anche da Gesù: i Vangeli sono chiari su questo. Un termine con cui il Maestro si rivolge ai discepoli è oligopistoi, solitamente tradotto “gente di poca fede”. Ma considerando la formazione di altre parole greche strutturate in modo analogo, il termine va inteso in un altro senso: Gesù rimprovera i discepoli perché credono “nella fede dei pochi”, cioè in quella dei gruppi farisaici e della classe sacerdotale, che dominavano le persone senza essere assolutamente coinvolti nella loro storia. È la fede di un’élite esclusiva ed escludente che aveva sostituito Dio con il sommo sacerdote».

«Il cambiamento» allora «va orientato – secondo il card. Castillo – all’annuncio di un amore gratuito: non è un buon genitore quello che vincola l’erogazione dell’amore alla condotta del figlio. Questa sembra invece ancora oggi, all’interno della Chiesa, una notizia sconcertante: in realtà ciò dipende dal fatto che abbiamo talvolta frainteso il Vangelo, interpretandolo sulla base delle categorie contrattualistiche del do ut des e, in tempi più vicini, non abbiamo colto il senso delle istanze del Concilio. Volgersi solo al passato fa male alla Chiesa, perché la blocca, la sclerotizza. È calandosi nel presente per guardare al futuro che essa trova il suo senso: nell’aiuto a un mondo diviso, che sembra risucchiato in una spirale di follia orientata all’autodistruzione. Mentre deve denunciare profeticamente le strutture del male, la Chiesa deve anche annunciare un bene che fa meno rumore, o che comunque, se alza un grido, lo fa a favore dell’umanità ferita, bisognosa di sostegno non paternalistico, di testimonianza. Soprattutto per le persone che percepiscono il mondo come regolato unicamente dalla legge dell’utile, del cinismo, dell’abuso e della manipolazione. Mali che hanno proliferato anche all’interno della Chiesa e che vanno denunciati senza timore: è la denuncia, non il silenzio e la copertura, a dare credibilità al messaggio».

«Con la teologia della liberazione», osserva Puliga ricordando il libro di Gustavo Gutiérrez che l’ha introdotta nel 1971, «si passa dal considerare lo statuto etico, sociologico e politico del povero all’affermarne lo statuto teologico. Fu un modo di tenere viva nella Chiesa, nonostante critiche e ostilità, la consapevolezza che l’impegno per la liberazione dei poveri da condizioni di indigenza e talora di degrado spirituale, è parte essenziale della missione».

Il cardinale conferma: «È vero: se non esiste comunicazione con i poveri come soggetti ecclesiali, il dialogo con la vulnerabilità resta mutilato. I poveri sono interlocutori privilegiati, non oggetti della nostra carità paternalistica». «Oggi – aggiunge – la nostra riflessione prosegue verso una più approfondita teologia della rigenerazione, a tutti i livelli. Non si tratta solo di rinascere, ma di essere “generati di nuovo”, considerando tra l’altro l’importanza - confermata dalla scienza - dello stadio pre-natale, in cui siamo stati nutriti in totale gratuità L’umanità va rigenerata nella prospettiva di far scoprire l’amore gratuito come fondamento dell’esperienza umana. Condividendo ciò che si ha, non solo economicamente, ma anche culturalmente, si creano legami liberanti di umanità, proprio nei sistemi di vita - anche nella nostra realtà peruviana - dove l’ambizione del monopolio e l’intrigo economico producono ancora troppa povertà. Questa è una sfida che non può essere tacciata di facile e miope ottimismo. È una speranza da alimentare anche nelle nuove generazioni, per non portare l’umanità sull’orlo del precipizio».

*Foto ritagliata di Romanuspontifex tratta da Commons Wikimedia, immagine originale e licenza

 

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