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La comunità ebraica di Bologna risponde alla

La comunità ebraica di Bologna risponde alla "Lettera agli ebrei della diaspora"

Porta la data dello scorso 6 dicembre la "Risposta del Consiglio della Comunità Ebraica di Bologna" alla "Lettera ai nostri  contemporanei del popolo ebraico della diaspora”. Adista, oltre a pubblicare questo testo seguito dalle prime firme (fra le quali quella dell'autore, Raniero La Valle), ha dato spazio alla prima risposta alla "Lettera": una riflessone di Sergio Della Pergola, ordinario emerito e ex-Direttore dell’Istituto Avraham Harman di Studi Ebraici Contemporanei all’Università Ebraica di Gerusalemme.

Di seguito il testo della Comunità ebraica di Bologna.

Gentili signori,

il Consiglio della Comunità ebraica di Bologna comprende che la vostra lettera è stata dettata dall’angoscia suscitata in voi dalla sanguinosa guerra tra Israele e Hamas, dal riconoscimento delle difficoltà che stanno vivendo i Palestinesi in Medioriente e in genere dalle preoccupazioni per la pace nel mondo. Queste angosce, queste preoccupazioni le viviamo anche noi, ma, a differenza di voi, conosciamo e riconosciamo anche le difficoltà e le sofferenze che stanno vivendo gli Israeliani. Infatti, dopo gli orrori del 7 ottobre - con torture, stupri, morti atroci e rapimenti - i circa 40.000 razzi e droni sparati in questi 14 mesi dalla Striscia di Gaza, dal Libano, dalla Siria, dall’Iraq, dallo Yemen e dall’Iran hanno ucciso o ferito indiscriminatamente ebrei e non ebrei, hanno distrutto abitazioni, scuole, sinagoghe, attività produttive, bruciato ettari ed ettari di campi e creato decine di migliaia di sfollati; la guerra in atto ha ucciso o mutilato tanti soldati, la maggior parte ragazzi di leva o riservisti. Se le vittime israeliane non sono state più numerose il merito va alle costosissime e sofisticate difese anti-missile e al capillare sistema di rifugi di cui Israele si è dotato.

Abbiamo deciso di scrivervi toccando in maniera succinta i principali punti che non ci sono piaciuti in questa lettera, che riteniamo peraltro dettata da buone intenzioni.

Sembra, dalla vostra lettera, che la responsabilità di tanta sofferenza ricada sulla “spietata

ritorsione” di Israele (“in odore di genocidio”) e sul fatto che “lo Stato di Israele in più di 70 anni non sia riuscito a dare una soluzione al problema palestinese”, come se all’origine di tutto non ci fosse stata una reiterata volontà degli stati arabi circostanti, prima, e dei leader palestinesi, poi, di non accettare la presenza ebraica nella regione. Presenza che peraltro voi fate risalire, a dispetto della verità storica, al fatto che, su quelle terre, “gli Ebrei sono gli “altri” sopraggiunti a sovrastare una popolazione già esistente”. Senza rendervene probabilmente conto, abbracciate una falsa narrativa, in base alla quale il progetto sionista appare come un “progetto coloniale” e, come tale, da combattere per principio. Non era certo volontà della corrente maggioritaria del sionismo cacciare gli abitanti arabi da quelle terre. Del resto, nell’Israele di oggi vive una popolazione araba che è circa 4-5 volte quella che vi risiedeva nel 1948, e ha pieni diritti civili e politici, nonostante che nel 2018 sia stata approvata una legge, per alcuni discutibile, la cosiddetta legge dello Stato-Nazione, che voi ricordate a supporto del concetto, non esplicitato ma sottinteso, che in Israele viga un regime di apartheid e che sia uno stato teocratico (vi sfidiamo però a trovare in Israele traccia di

discriminazioni su base etnico-razziale).

Ed ecco che, dopo i motivi umanitari (a senso unico, però) e le dichiarazioni pacifiste, emerge un altro vostro grave motivo di preoccupazione per la guerra in corso: la paura che ci capitino in Europa centinaia di migliaia, se non milioni, di profughi palestinesi. Sì, milioni, perché i discendenti dei circa 650.000 palestinesi espulsi (o volontariamente allontanatisi) da Israele nel 1948 sono diventati 5-6 milioni in quanto l’UNRWA (a differenza dell’UNHCR, che si occupa dei profughi del resto del mondo) considera profughi anche i loro discendenti fino all’n-esima generazione. Siete preoccupati che 5-6 milioni di profughi sovvertano l’identità europea, mentre trovate naturale che li accetti un piccolo Paese come Israele... Uno strano ragionamento!

Ci preme rispondere ad altri punti della vostra lettera, non tanto per amore di polemica, ma perché riflettono pregiudizi e conoscenze errate molto diffuse che riteniamo importante correggere.

- Per quanto riguarda l’ONU, numerosi analisti di diversi schieramenti sottolineano da tempo come tale Organismo abbia perso credibilità e autorevolezza; a riprova della sua delegittimazione, ha messo a capo della Commissione sui Diritti Umani l’Iran e della Commissione per la Parità di Genere l’Arabia Saudita, e ha negato l’esistenza di un legame storico degli ebrei con Gerusalemme. Le mozioni di condanna di Israele sono state più di quelle comminate a tutti i Paesi mussulmani messi insieme (inclusa la Siria, il Sudan, l’Iran, ecc.): non c’è da stupirsi se Israele pensa di essere giudicato con un metro ingiusto e le ignora. L’UNRWA, nato per perpetrare all’infinito il problema dei profughi palestinesi e non per risolverlo, ha da sempre nei suoi ranghi operatori e insegnanti collusi con Hamas, quindi non c’è da stupirsi se siano entrati nel mirino dell’IDF; l’UNIFIL aveva il compito di far rispettare la mozione ONU 1701/2006 ma ha chiuso occhi, orecchie e bocca davanti alle violazioni quotidiane di Hezbollah, che ha potuto scavare chilometri di tunnel, riempirli di armi e lanciare circa 13000 missili dal 9 ottobre 2023 al 26 febbraio 2024 (data di inizio dell’offensiva israeliana nel Libano).

- Alla fine di pag. 3 notiamo un errore: non sono gli Israeliani che gridano “Iddio è grande” mentre attaccano i nemici.

- Sotto l’Impero Ottomano, i rapporti tra Mussulmani, Cristiani ed Ebrei non erano del tutto idilliaci. Cristiani ed Ebrei dovevano pagare una tassa per poter esercitare la loro religione e godevano di minori diritti dei mussulmani. Non mancarono inoltre episodi di intolleranza. Tuttavia, rispetto alle persecuzioni cui erano in genere fatti segno nei Paesi cristiani, gli Ebrei dell’Impero Ottomano vivevano sicuramente meglio. La situazione peggiorò dopo la nascita dello Stato di Israele. Secondo le statistiche ufficiali arabe, 856.000 ebrei furono espulsi dai Paesi arabi, dal 1948 fino agli inizi del 1970. Circa 600.000 si sono reinsediati in Israele, rimpiazzando numericamente gli arabi che avevano lasciato Israele nel 1948.

Infine, la soluzione! Avevate dichiarato di voler evitare “un’interferenza in una questione che è solo vostra” (degli Ebrei della diaspora?) e, ancor più esplicitamente che “Sarebbe una presunzione e ancora il riflesso di una mentalità egemonica stabilire i termini di tale soluzione, che possono scaturire solo da una ricerca comune e dalla inventiva della storia.” Ma, nonostante queste dichiarazioni, eccovi a pontificare sull’impossibilità di portare avanti una soluzione “due popoli – due Stati”. Non si capisce perché per tale soluzione sarebbe necessaria “ben più di una conciliazione” mentre un unico stato binazionale sarebbe la soluzione che consentirebbe la convivenza pacifica. Che ne direste se un giudice ritenesse che due coniugi che hanno cercato di ammazzarsi a vicenda debbano convivere e non stare in due appartamenti indipendenti? Appoggiare questa bizzarra convinzione sulle opinioni di due personaggi privi di seguito politico (per non dire altro) come Ilan Pappé e Noam Chomsky (tra l’altro statunitense) è poi un insulto alla memoria di Rabin, che alla soluzione di due popoli – due stati ha creduto fino alla morte.

Nel rivolgervi a noi ebrei della diaspora riconoscete che siamo stati investiti da un’ondata di antisemitismo quale da tempo non si conosceva e vi affrettate a ricordare ai cattolici che leggono (e firmano) questo documento che non sussistono più i motivi teologici dell’antisemitismo - che tante sofferenze hanno causato - (motivi che esplicitate con tanto dettaglio che uno spiritello maligno ci suggerisce che si voglia ricordare agli eventuali firmatari cristiani che questo pensiero non fa più parte del pensiero ufficiale della Chiesa, nel caso, a nostro parere probabile, che non se ne fossero ancora resi conto…). Però attribuite a Netanyahu e - per traslazione – a tutta Israele, delle Comunità Ebraica di Bologna farneticazioni messianiche, che purtroppo riconosciamo come patrimonio di un partito che partecipa all’attuale governo ma che rappresenta una piccola minoranza degli ebrei israeliani. Vi rivolgete a noi ebrei della diaspora in quanto ci ritenete “parte di una comunità mondiale pluralistica e multiculturale” (in contrapposizione con la comunità tribale presente in Israele?) e ci chiedete di aprire un dialogo con i nostri fratelli ebrei in Israele (sicuramente per illuminarli, altrimenti non si capirebbe perché…). E, mentre si leggeva molto bene a pagina 1 che secondo voi la causa dell’impennata attuale dell’antisemitismo è stata il comportamento aggressivo di Israele e che la guerra in Medio Oriente (dovuta alla già citata spietatezza della ritorsione israeliana) potrebbe essere responsabile dell’allargamento del conflitto (“…così ogni altro popolo potrebbe cadere nella stessa sindrome di annientamento reciproco, in modo tale che l’unità della famiglia umana sarebbe rotta e il mondo non potrebbe sussistere”), ecco che in chiusura riponete nell’assennatezza che noi ebrei della diaspora dovremmo infondere ai confratelli israeliani la speranza che il conflitto possa comporsi nella costituzione di un “villaggio globale” in cui regni amore reciproco.

Non possiamo che lasciarvi a questo sogno irenico, che farebbe felici tutti quanti.

Tuttavia, noi ebrei della diaspora non abbiamo un pensiero unico, non abbiamo diritto di voto in Israele e men che meno pretendiamo di influenzarne l’opinione pubblica. Anche senza la vostra esortazione, intratteniamo con Israele un continuo scambio di opinioni e di informazioni, che ci consente di rassicurarvi sul fatto che Israele è ancora uno stato democratico in cui tutti hanno il pieno diritto di esprimere le proprie posizioni politiche, anche in dissenso con il governo; ci è anche chiaro che Israele sta affrontando con grande spirito di solidarietà questo periodo difficilissimo, ma che nel contempo le opinioni politiche sono molto diversificate e l’opposizione è molto estesa. Su tutti però prevale un acuto desiderio di pace.

Il Consiglio

 

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