
Kurdistan. Una questione centrale per la pacificazione in Siria
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 1 del 11/01/2025
Il popolo curdo, uno dei gruppi etnici più antichi della Mesopotamia, è da secoli protagonista di una lunga lotta per l'autonomia e il riconoscimento dei propri diritti. Oggi i curdi si trovano divisi tra Turchia, Siria, Iraq e Iran, Paesi che hanno reso quella curda una storia di marginalizzazione e repressione.
Nel periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale, con la caduta dell'Impero Ottomano, la possibilità di un Kurdistan indipendente sembrava concretizzarsi nel Trattato di Sèvres del 1920. Tuttavia, questo sogno fu schiacciato dal Trattato di Losanna del 1923, che ridisegnò i confini del Medio Oriente, escludendo ogni riferimento a uno Stato curdo e relegando i curdi a una condizione di minoranza. Da allora, il popolo curdo ha dovuto affrontare le diverse politiche di assimilazione e repressione operata dai Paesi in cui è stato diviso.
Uno degli eventi più significativi nella storia recente del popolo curdo è la nascita del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) nel 1978, fondato da Abdullah Öcalan, che inizialmente mirava alla creazione di uno Stato indipendente curdo. Successivamente, il partito ha cambiato paradigma, ispirato dalle teorie di Öcalan, sviluppate nel carcere di Imrali, dove si trova dal 1999.
Il Confederalismo Democratico, ideato da Öcalan e adottato dal movimeto curdo negli ultimi 20 anni, rappresenta una risposta alle difficoltà e contraddizioni derivanti dall'aspirazione curda a uno Stato nazionale. Riconoscendo che l'autodeterminazione non passa attraverso la creazione di uno Stato centralizzato, ma può manifestarsi in una rete di autonomie locali e regionali che promuovano la democrazia diretta, i diritti umani, la liberazione della donna, lo sviluppo ecologico e la partecipazione inclusiva delle diverse comunità, il movimento curdo ha cercato di spostare il conflitto sul piano politico, nel tentativo di mettere fine a una delle guerre più lunghe e sanguinose dell'ultimo secolo.
Questo paradigma è stato conosciuto nel mondo allo scoppio della guerra civile siriana, quando i curdi hanno creato una regione semi-autonoma nei territori liberati dallo Stato Islamico (ISIS), conosciuta come Rojava (letteralmente "Ovest" in curdo, abbreviazione di "Rojavaye Kurdistan", il Kurdistan dell'Ovest). Sebbene si continui a usare questo termine per identificare l'autonomia sorta nel 2012 nel Nord-Est della Siria, oggi essa copre quasi il 30% del territorio siriano, includendo tutti i popoli dell'area. Per questo motivo, la regione ha assunto la più inclusiva denominazione di Amministrazione Autonoma Democratica della Siria del Nord-Est (DAANES).
L'eco della Rivoluzione del Rojava ha risuonato in tutta la regione, lo slogan delle donne curde reso famoso dalle Unità di Protezione delle Donne (YPJ) nella guerra contro l’ISIS è diventato il simbolo della rivolta a guida femminile che ha scosso l'Iran: Jin, jiyan, azadi. Donna, vita, libertà.
Oggi i curdi hanno raggiunto un livello di riconoscimento culturale e politico senza precedenti nella loro storia. Tuttavia, tutte queste conquiste sono costantemente a rischio. Le ripercussioni del conflitto curdo-turco vanno infatti ben oltre le operazioni militari contro i guerriglieri del PKK, come dimostra la condizione dei partiti politici curdi in Turchia.
A partire dalla fine degli anni '90, il movimento politico curdo individuò nel Parlamento turco uno degli strumenti principali per provare a mettere fine al conflitto e rivendicare i propri diritti culturali e sociali. Il successo di questa scelta è arrivato, dopo due decenni di partiti chiusi e dirigenti arrestati, con il Partito Democratico dei Popoli (HDP), divenuto la terza forza politica del Paese e arrivato a governare tutto il Sud-est a maggioranza curda della Repubblica di Turchia. La repressione politica da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan non si è fatta attendere. Dal 2016, l'intero partito, a partire dai suoi ex copresidenti Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ, è al centro del "Processo Kobane".
L'accusa mossa contro il partito e i suoi leader è di aver fomentato i disordini scoppiati tra manifestanti e polizia quando, nel pieno dell'assedio di Kobane da parte dell'ISIS, l'HDP indisse diverse manifestazioni per esortare il governo turco a cessare il sostegno ai gruppi jihadisti e a sostenere piuttosto i combattenti curdi che resistevano nella città. Per questa accusa, accostata alla generica accusa di sostegno al PKK, e quindi al terrorismo, il Ministero degli Interni ha sospeso 50 dei 65 sindaci eletti dall'HDP nel 2019 e arrestato circa 5.000 persone tra deputati, amministratori locali e militanti del partito. Questa pratica si è ripetuta dopo le elezioni locali del 2023.
In Siria, la caduta di Bashar al-Assad ha portato a un'ondata di entusiasmo in tutto il Paese per la fine di un decennale regime oppressivo e la conclusione di una guerra civile durata 13 anni. Per i curdi del Nord-est, purtroppo, l'euforia non è durata a lungo. A destare preoccupazione è stata la mobilitazione dell'Esercito Nazionale Siriano (SNA), una struttura ombrello di milizie jihadiste riunite dalla Turchia per le invasioni di Afrin nel 2018 e Serekaniye nel 2019. Successivamente, alla cattura di Aleppo, l'Esercito Nazionale Siriano ha mobilitato le proprie forze e iniziato un'invasione su larga scala della regione di Shebah e della città di Tall Rifaat, proseguendo poi verso Manbij.
Le ragioni dell'offensiva sono state espresse dal ministro degli Esteri turco Fidan, che ha dichiarato: «Qualsiasi estensione del PKK non può essere considerata una parte legittima nei negoziati in Siria», ribadendo la posizione del governo turco, che non fa differenza tra l'Amministrazione Autonoma e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan.
È ormai chiaro che la soluzione della questione curda in Medio Oriente non può che passare attraverso una soluzione politica al conflitto tra lo Stato turco e il PKK. A questo proposito, tra il 2013 e il 2015 una serie di colloqui aveva portato a un passo dalla soluzione del conflitto. Il loro collasso, al contrario, scatenò un'ondata di violenza culminata con l'assedio e la distruzione di città curde come Cizre e Sur.
Negli ultimi giorni, l'ipotesi di un processo di pace è tornata ad affacciarsi. Il 28 dicembre, una delegazione del Partito Democratico dei Popoli (DEM), successore dell'HDP, ha incontrato Abdullah Öcalan, leader storico del movimento curdo, in isolamento sull'isola-prigione di Imrali. Si tratta del primo incontro completo con Öcalan a nove anni dal collasso dei negoziati del 2015.
«Ho sempre sperato nella pace, ma ora credo che siamo più vicini che mai a raggiungerla», ha affermato Pervin Buldan, deputata DEM che ha partecipato alla delegazione di dicembre e che già nel 2015 era una figura di primo piano dei negoziati.
È presto per dire se questi colloqui porteranno a una vera soluzione politica alla questione curda. Tuttavia, quel che è certo è che il solo inizio dei negoziati cambierebbe le carte in Siria. Già il cessate il fuoco del 2015 permise al movimento curdo, PKK incluso, di concentrare le forze nella lotta contro l'ISIS. Un nuovo processo di pace oggi rimuoverebbe l'ostacolo maggiore che si trova di fronte alla DAANES nella partecipazione alla costruzione della nuova Siria dopo Assad, ovvero la posizione del governo turco, che la considera un ramo del PKK.
Un fattore importante affinché i negoziati abbiano successo è sicuramente l'attenzione e la pressione internazionale sulla Turchia perché crei le giuste condizioni. Al momento, il leader del movimento curdo partecipa a questo processo da ostaggio, non essendo in grado di confrontarsi con il resto del movimento che rappresenta, se non in brevi e sporadiche occasioni come l'incontro sopra descritto.
Tiziano Saccucci ha vissuto e lavorato nella Siria del Nord-Est tra il 2021 e il 2022. Collabora con l'Ufficio d'Informazione del Kurdistan in Italia.
*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine roginale e licenza
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