Decine di persone rapite a scopo di riscatto a Kufra, in Libia
ROMA-ADISTA. il caso di Naima Jamal, una ventenne etiope, descrive accuratamente le dinamiche che colpiscono le persone migranti imprigionate in Libya. La sua famiglia sta subendo un vero e proprio ricatto da parte da parte di trafficanti di esseri umani, le cui richieste nei confronti della famiglia di Jamal per ottenere il suo rilascio sono in aumento di settimana in settimana. La storia di Naima Jamal è quella di decine di persone ed è raccontata in un comunicato da Refugees in Libya, rilanciato dalla ong Mediterranea Saving Humans per dare eco alla vicenda, oltreché denunciare la complicità delle istituzioni italiane ed europee nelle violenze perpetrate nelle carceri libiche.
«Naima Jamal, una ventenne etiope di Oromia, è stata rapita poco dopo il suo arrivo in Libia, nel maggio 2024 – raccontano gli operatori di Refugees in Libya –. Da allora, la sua famiglia è stata sottoposta a ingenti richieste da parte dei trafficanti di esseri umani, le cui telefonate sono cariche di minacce e crudeltà, mentre le loro richieste di riscatto aumentano e cambiano ogni settimana che passa. L'ultima richiesta: 6.000 dollari per il suo rilascio.
Questa mattina i trafficanti hanno inviato un video di Naima che viene torturata. Il filmato, che la sua famiglia ha ricevuto con orrore, mostra l'inimmaginabile violenza delle reti libiche di trafficanti. Naima non è sola. In un'altra immagine inviata insieme al video, si vedono più di 50 altre vittime, i loro corpi incatenati, in attesa di essere messi all'asta come merci in un mercato privo di umanità, ma che prospera in Libia, una Paese in cui gli echi dell'antica tratta degli schiavi ruggiscono ancora forti e continui.
“Questa è la realtà della Libia di oggi”, scrive l'attivista e sopravvissuto alla Libia David Yambio, commentando questa atrocità. “Non basta chiamarla caotica o senza legge; sarebbe troppo riduttivo. La Libia è una macchina costruita per ridurre in polvere i corpi neri. Le aste di oggi riportano gli stessi freddi calcoli di quelle di secoli fa: un uomo ridotto alla forza delle sue braccia, una donna alla curva della sua schiena, un bambino al potenziale dei suoi anni”.
La situazione attuale di Naima è una delle tante. La Libia è diventata un cimitero per i migranti neri, un luogo dove la disumanizzazione del nero non è nascosta né condannata. I trafficanti operano apertamente, alimentati dall'impunità e dalla complicità di sistemi che chiudono gli occhi su questo orrore. “E il mondo – ricorda Yambio – guarda dall'altra parte. La Libia è l'ombra dell'Europa, la verità non detta della sua politica migratoria: un inferno costruito dal razzismo arabo e alimentato dall'indifferenza europea. Lo chiamano controllo delle frontiere, ma è crudeltà sotto forma di burocrazia”.
Il riscatto di 6.000 dollari chiesto per Naima non è solo un prezzo per la sua vita; è un prezzo per il silenzio di una comunità internazionale che permette che questo orrore accada ai bambini neri. Eppure, per molti, questa non è sopravvivenza, ma un ciclo di sofferenza senza fine.
Il destino di Naima e delle altre 50 vittime di Kufra rimane incerto. Le loro grida sono accolte con indifferenza da chi potrebbe intervenire, ma sceglie di non farlo. Nel frattempo, le loro famiglie sono costrette a lottare contro l'impossibile, raccogliendo i soldi richiesti dai trafficanti o rischiando di perdere per sempre le persone care
Il mondo deve affrontare questa scomoda verità: la tratta degli schiavi esiste e prospera in Libia. Prospera nel silenzio delle nazioni, nell'ombra di sistemi complici e nel razzismo incontrollato che disumanizza le vite dei neri. La storia di Naima – come scrive Yambio – non è un'anomalia, ma l'eredità di una storia che si rifiuta di finire.
La giustizia non può attendere. Come insiste Yambio: “La giustizia deve essere più di una parola pronunciata in stanze confortevoli; deve essere un'azione che spezza le catene e costruisce ponti”.
La sopravvivenza di Naima, e di molte altre persone come lei, dipende dal fatto che il mondo scelga di agire o continui a voltare le spalle agli orrori in corso in Libia».
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