Nessun articolo nel carrello

La scienza e la spiritualità. Un rovesciamento di paradigma

La scienza e la spiritualità. Un rovesciamento di paradigma

Tratto da: Adista Documenti n° 6 del 15/02/2025

Qui l'introduzione a questo testo. 

Il concetto fondamentale da cui voglio partire è l’idea che la nostra coscienza e il nostro libero arbitrio sono fenomeni che appartengono a enti coscienti intesi, secondo la descrizione della fisica quantistica, come campi: parti di un campo infinito che non ha bordi e ha queste proprietà: coscienza e libero arbitrio. Quando sono in questa realtà fisica, questi campi “infiniti”, che siamo noi, controllano il corpo, che non è cosciente in quanto corpo, ma la cui coscienza appartiene a questo campo fondamentale.

Il corpo è come un drone che questo campo usa per avere un’esperienza nella realtà fisica, che è quello che il corpo esperisce e mostra a questo campo. Quindi il nostro corpo è come un filtro: vede e sperimenta la nostra realtà fisica, la trasforma attraverso i sensi e il cervello in informazione. Il nostro corpo, allora, è come un computer, un computer quantistico e classico: quindi non il computer che conosciamo, ma un computer che ancora dobbiamo capire.

La coscienza può percepire l’informazione che è all’uscita di questo computer – che è il nostro corpo – e si arricchisce dell’esperienza che noi abbiamo vissuto. Tale esperienza però non appartiene al corpo, ma a questo ente cosciente che siamo noi.

Quindi ci sono tre diversi livelli di realtà.

Il livello più fondamentale è quello descritto dalla fisica quantistica. Questo livello rappresenta la nostra esperienza, le nostre percezioni: il colore, le forme, i suoni, la musica, i sapori, ecc... Non i simboli con cui comunichiamo le nostre percezioni, bensì le percezioni stesse in quanto esperienza propria: la musica come emozione, il sapore del cibo, il sapore del cioccolato non sono l’insieme di segnali elettrici elaborati dal cervello, ma dei qualia, ovvero delle sensazioni e dei sentimenti che emergono nella nostra coscienza in seguito alla percezione di una particolare informazione viva prodotta dal corpo o a una nuova comprensione endogena.

Noi, oggi, abbiamo un’idea sbagliata della realtà. Pensiamo alla nostra coscienza come a qualcosa che emerge dal cervello, mentre, al contrario, noi siamo un aspetto della coscienza. Secondo la scienza, quando il corpo muore, la nostra esistenza si conclude definitivamente, perché, se la coscienza è una proprietà di un cervello, quando il cervello smette di funzionare noi non ci siamo più.

Invece, nella mia nuova teoria, noi siamo enti coscienti che sopravvivono al corpo, perché non sono mai stati dentro al corpo: è il corpo che è manifestazione della coscienza. Esattamente l’opposto di quello che la scienza oggi ci dice. Soltanto se operiamo questo rovesciamento di paradigma possiamo risolvere i problemi che abbiamo di fronte; e questo è importante soprattutto per le nuove generazioni, chiamate a concepire la realtà in modo nuovo rispetto a quanto noi abbiamo loro trasmesso.

In questa prospettiva, è evidente come scienza e spiritualità siano ambiti che oggi non si parlano. Chi coltiva la spiritualità guarda alla fisica e alla scienza quasi da un piedistallo, ritenendo che in fondo ciò che più conta è l’interiorità. E lo stesso fa lo scienziato, convinto che la realtà vera sia quella che si tocca, quella che si misura: la spiritualità non esiste, è semplicemente un epifenomeno del cervello, e alla nostra morte di noi non resterà nulla.

Quindi la spiritualità è semplicemente una velleità di eternità dell’umano. L’essere umano, al contrario, è una macchina: quando la macchina si rompe, la vita ha termine. Questa è la visione della scienza sul senso della vita. Tuttavia, anche la spiritualità che non considera la materialità è uno sbaglio.

Scienza e spiritualità sono entrambe irriducibili, sono facce della stessa medaglia: è impossibile separare la “testa” dalla “croce” in quanto fanno tutte e due parte dell’ontologia della stessa medaglia, sono gli aspetti “informatici” della medaglia. Uno è l’aspetto esteriore, l’altro è quello interiore, che è l’aspetto dell’esperienza che viviamo dentro di noi, dove esperiamo e sentiamo i sapori e gli odori, dove percepiamo le forme e i colori, dove proviamo l’amore, le sensazioni e i sentimenti, dando il nostro particolare significato alle cose, alle persone e alla vita. Tutto ciò è dentro di noi e costituisce la nostra interiorità.

Secondo la scienza questa interiorità non esiste: è una costruzione mentale che non ha alcun senso. E non esiste perché può esistere solo quello che si può misurare, riprodurre e verificare.

Quindi, se ripensiamo a quanto succede nella nostra vita, a quello che abbiamo esperito e a come lo abbiamo capito, rivediamo molte delle cose che ci sono state dette sotto un altro punto di vista: il nostro punto di vista.

Per esempio, la vita è spiegata dalla scienza come la sopravvivenza delle forme più adatte. Ciò vuol dire che vince il più forte, che il più forte elimina il più debole. Questo principio giustifica così le ingiustizie che sono state perpetrate da sempre dall’essere umano nei confronti degli altri umani, degli animali e dell’ambiente. I risultati sono oggi davanti a noi, a dimostrazione dei danni che può provocare questo bisogno di superiorità che può emergere da ciascuno di noi.

Un bisogno di superiorità che ognuno di noi deve imparare a conoscere “da dentro”: ci si può solo conoscere dall’interno, guardando alla propria interiorità. E la coscienza è la dimensione che ce lo rende possibile. (…). È vivendo che capiamo. La comprensione viene “da dentro”, elaborando, interiorizzando quanto abbiamo esperito.

Quindi l’esperienza vissuta è il modo in cui noi conosciamo, in cui comprendiamo e impariamo. La scienza invece ci dice: “Prendi il libro, impara le regole e risolvi l’equazione”. Ciò permette di ottenere risultati utili per affrontare questioni tecniche, materiali, tangibili, ma non per risolvere i problemi che abbiamo dentro di noi, che hanno a che fare con le emozioni, i sentimenti, le decisioni, cioè gli aspetti immateriali (della nostra interiorità) non misurabili.

Se una cosa non si può misurare, invece, per la scienza non esiste. Il coraggio, ad esempio, si può misurare? È possibile mettere sui due piatti della bilancia il coraggio di una persona e quello di un’altra? L’amore si può misurare? La coscienza si può misurare? Tutte queste cose hanno una valenza completa mente diversa, anche se ce ne stiamo dimenticando.

Risuonare insieme

(…) Avevo capito, ma solo a livello intuitivo, che la coscienza non poteva essere un fenomeno del cervello. Ed è allora che ho avuto questa esperienza straordinaria di coscienza che racconto in Silicio e in Irriducibile.

(…) L’esperienza che ho vissuto mi ha permesso di accrescere la consapevolezza di chi sono, cioè un essere più vasto rispetto a quello che pensavo di essere quando mi consideravo un corpo separato dagli altri. Ecco l’importanza di cominciare a lavorare sul proprio senso di superiorità.

Questo è il punto di partenza, perché la nostra presunta superiorità è il fondamento dei problemi umani. Ed è anche il punto di partenza per capire veramente chi siamo, per lavorare insieme, per cooperare invece che competere.

La competizione è oggi la regola del giorno, la regola del secolo, la regola degli ultimi 10.000 anni. Dopo tutto, le guerre ci sono sempre state e la sorgente della guerra è sempre il bisogno di superiorità di qualcuno.

Ma torniamo all’esperienza da me vissuta. Nel 1990 ero in vacanza a sciare in montagna con la famiglia, in una casa sul lago Tahoe, a 2500 metri, tra la California e il Nevada. Una notte mi sveglio verso mezzanotte: avevo sete, e mi sono alzato per prendere un bicchiere d’acqua, poi sono tornato a letto. Era un periodo di vacanza, quindi ero rilassato, non pensavo a niente.

Proprio quando stavo per riprendere sonno ho sentito un fascio di energia che usciva dal mio petto, e lo vedevo. Non era una vista normale, era una forma di visione che non conoscevo, come una luce bianca, scintillante. E ho provato un amore così potente che non aveva eguali nella mia vita, un amore moltiplicato per 1.000, per 10.000, non si poteva misurarlo, era una esperienza straordinaria.

E questo amore era insieme gioia e anche percezione di senso: “Questo amore sono io!” E la sensazione di essere io stesso questo amore diventava sempre più potente, fino a espandersi e a riempire tutto lo spazio di questa luce bianca scintillante. E mi riconoscevo in questa luce. Io ero quella luce! La mia coscienza si espandeva fino a coprire tutta questa luce bianca scintillante, quindi io vedevo me stesso. Però mi vedevo dal mio punto di vista. Cioè, in un certo senso, io ero il punto di vista del Tutto sul Tutto. E l’idea che mi nasceva dentro, nella testa, era che questa energia, questa sostanza che sa di amore, di gioia, di pace, è la sostanza di cui Tutto è fatto.

La mente si era, come dire, “unita” al corpo, il corpo vibrava come se tutte le sue cellule fossero in risonanza tra di loro; la mia mente diceva che questo è ciò di cui Tutto è fatto.

Le mie emozioni erano amore, gioia e pace. Era la prima esperienza spirituale in cui io ero il Tutto, ero unito al Tutto, non ero più separato dal Tutto.

Questa esperienza è durata un minuto, due minuti al massimo – non c’era il tempo in questa esperienza – ma in quel breve arco di tempo ho cambiato l’idea di chi sono io in maniera profonda e straordinaria, perché in quel minuto io, invece di essere separato dal mondo, ero il mondo che osservava se stesso.

Ero una parte/intero del Tutto: io sono una parte, voi siete una parte, ma anche il Tutto. (…).

Ecco perché anche le particelle più piccole – lo dice la fisica quantistica – sono particelle e onde: come fa una cosa a essere una particella e un’onda allo stesso tempo? È contraddittorio. Un’onda è dappertutto, la particella è in un punto. Io ho sperimentato me stesso, in un certo senso, come una particella e come un’onda, perché il mio punto di vista era come una particella, un punto di focalizzazione, e il senso di me era il Tutto. In un certo senso, attraverso queste esperienze, si capisce, dentro di sé, molto di più di quello che si può esprimere con le parole.

Adesso posso esprimermi molto meglio perché ci ho pensato per trent’anni. Ho vissuto molte altre esperienze, alcune anche simili, ma mai ripetute. Queste esperienze non si ripetono mai, però allargano il campo visuale, aprono prospettive diverse e più ampie. E si comprende che la realtà è molto di più di quella che si pensava di conoscere e di immaginare.

(…). Quell’esperienza ha generato da subito in me l’idea che la morte del corpo non è la morte del proprio essere.

(…) La scienza parte dalla materia inerte, dice come inizia e si sviluppa la vita e poi come evolve fino alla creazione di organismi complessi come l’essere umano. È a questo punto che sorge la coscienza. Ma come fa la coscienza a emergere da una materia che ne è priva? Come fa il più a generarsi dal meno? In realtà noi abbiamo scoperto le cose al rovescio. (…).

La scienza si è formata un po’ alla volta: Democrito e Leucippo parlavano di atomi che erano come “palline” solide di diverso tipo che si combinavano in vari modi. E questa idea della atomicità della realtà ha essenzialmente dominato la fisica classica fino alla nascita e allo sviluppo – nell’ultimo secolo – della fisica quantistica, in base a cui le particelle vengono rappresentate come “palline” quando vengono osservate e misurate mentre, in mancanza dell’osservazione, come qualcosa che non ha un corrispettivo materiale: un’onda, ovvero uno stato eccitato del campo che le definisce.

Come fa un’onda a diventare una “pallina”? Chiaramente c’è una lacuna nel ragionamento.

La scienza è partita dall’idea di atomicità e si è poi sviluppata con Galileo – che ha dato un’impronta profonda alla spiegazione dei fenomeni naturali –, Newton, Maxwell e tutti gli altri. E alla fine del XIX secolo la scienza aveva già formulato leggi che erano state verificate con gli esperimenti.

Il metodo scientifico ha funzionato quindi benissimo, ma poi ci siamo resi conto che c’erano fenomeni che non potevano essere spiegati nel quadro della fisica classica, basata sulla combinazione di “palline”. Nessuno aveva capito che, quando le “palline” si combinano per creare strutture nuove come le molecole, le proprietà delle nuove molecole non sono la somma delle proprietà delle “palline”, perché le “palline” sono strutture quantistiche che non abbiamo ancora descritto in modo completo e che hanno proprietà – nel caso di interazione reciproca – in base a cui la somma delle parti è maggiore delle parti stesse.

Se, nella fisica classica, si fa la somma delle parti ottenendo semplicemente una struttura che non è maggiore di tale somma, nella fisica quantistica la somma degli stati quantistici crea uno stato nuovo che è più della somma delle parti.

Quando, per esempio, unisco un elettrone e un protone, che sono due particelle fondamentali, ottengo un atomo di idrogeno, il quale ha proprietà completamente diverse da quelle dell’elettrone e del protone separati. Quando si mettono insieme delle strutture fisiche quantistiche, la combinazione delle parti crea proprietà che vanno molto oltre le loro proprietà. Questa è una caratteristica fondamentale della fisica quantistica che molti fisici ancora non comprendono: insistono nel dire che, combinando strutture classiche, si ottengono quelle che chiamano “proprietà emergenti”, come se emergessero dalla fisica classica, mentre per questa è solo la somma delle parti che conta.

(…) Invece, nella fisica quantistica, si assiste a una creazione, cioè le proprietà dell’atomo di idrogeno non si possono spiegare con la somma delle proprietà dell’elettrone e del protone; e questa è la differenza fondamentale che i fisici, oggi, non hanno colto fino in fondo. (…)

Non siamo macchine

Ci sono biologi – vengono chiamati Quantum Biologists, biologi quantistici – che iniziano a capire che la vita è un fenomeno quantistico e classico. La molecola del DNA ha dei codici che sono classici, ma fa parte di una struttura quantistica. Quindi il DNA si comporta sia come struttura quantistica che come struttura classica, e in maniera integrata, anche se non abbiamo ancora le conoscenze necessarie per capirne a fondo i diversi aspetti, in quanto la modalità quantistica e la modalità classica sono così intrecciate che non si possono separare.

(…). La fisica classica è una fisica deterministica che, proprio in virtù del determinismo assoluto che la caratterizza, non permette l’esistenza del libero arbitrio. Questo, infatti, non può dipendere da una legge deterministica, ma deve costituire una creazione. Non può essere algoritmico. Quando il fisico dice che la coscienza è un epifenomeno del cervello, ha deciso a priori che il corpo umano è un fenomeno esclusivamente classico e non quantistico e classico. E in un fenomeno classico non può esistere il libero arbitrio.

Quindi, se non esiste il libero arbitrio, la coscienza a cosa serve? Se sapere e conoscere non mi permette di far fare al corpo quello che io (coscienza) voglio – e questo non può corrispondere a una legge fisica ma deve essere qualcosa di libero – allora la mia coscienza è un epifenomeno del cervello. Ed è quanto la scienza ci dice perché, essendo il corpo un fenomeno classico, la coscienza non può esistere come causa prima delle nostre azioni. E questo vuol dire che il cervello decide per noi, informa la nostra coscienza dandoci l’illusione che siamo noi ad aver deciso.

La scienza oggi ci dice che la coscienza in realtà ci inganna: ci fa credere che abbiamo libero arbitrio quando invece non è così. Quindi, in base alla scienza, la nostra natura più profonda è un inganno. Come si può credere allora che ci sia qualcosa di più profondo nel mondo se si parte da un inganno?

Non è inconcepibile questo modo di vedere la realtà? Tuttavia, malgrado le posizioni rigide assunte dalla gran parte degli scienziati, la scienza ha dentro di sé la capacità di rinnovarsi, di ricredersi, di cambiare.

Di fatto, la fisica quantistica sostiene che tutto ciò che diceva la fisica classica è inesatto, affermando che la realtà più profonda è probabilistica e indeterministica: indeterministica è esattamente l’opposto di deterministica. Un evento indeterministico non si può conoscere a priori, prima che si verifichi.

Ecco quindi che il determinismo è il meno che deriva dal più, laddove il più è l’indeterminismo che la fisica classica non può spiegare. (…).

L’informazione quantistica rappresenta una nostra esperienza cosciente: la mappa è l’informazione quantistica, mentre il territorio è la nostra esperienza cosciente, che è l’ontologia. L’ontologia consiste nel conoscere noi stessi, nel conoscere gli altri, nella propria consapevolezza. L’ontologia è nella conoscenza e può essere solo conosciuta “da dentro”: non si può conoscere “da fuori”. Da fuori si può solo tradurre una parte di quella comprensione, di quel significato che abbiamo dentro di noi, in simboli classici che sono condivisibili, come i bit del computer. È come quando sentiamo delle parole e le trasformiamo in significato dentro di noi in base alla nostra comprensione – cioè in base a ciò che abbiamo capito e che abbiamo già sperimentato nella nostra vita –, realizzando una continua trasformazione da dentro a fuori, e da fuori a dentro. È il processo attraverso il quale conosciamo noi stessi e quindi attraverso il quale Uno, la totalità di ciò che esiste, conosce se stesso.

È questo processo fondamentale a permettere di aumentare sempre più la conoscenza di sé: sia di ognuno di noi – quali parti/intero di Uno –, sia di Uno. E questo si ricollega all’esperienza che ho avuto, che hanno avuto molti altri, e che può avere chiunque si disponga a riceverla. (…).

Vi sono enti coscienti, che sono parti/intero di Uno, quelle che Leibniz chiamava “monadi”, che sono “gli atomi” con cui tutto è creato. Non gli atomi della fisica quantistica, bensì “gli atomi” di “una nuova fisica”, se così la vogliamo chiamare: sono enti coscienti, che sono sistemi quantistici, i quali, interagendo tra di loro, creano tutta la realtà.

E l’aspetto materiale della realtà è l’aspetto simbolico necessario a questi enti coscienti per comunicare tra di loro, in quanto non possono trasferire la loro esperienza direttamente, perché l’esperienza interiore è privata (propria, personale), esattamente come lo è l’informazione quantistica. (…).

Una coscienza che sopravvive al corpo

(…) In sintesi, la fisica dice di noi, fondamentalmente, che:

1. siamo macchine;

2. la coscienza è un epifenomeno di una macchina;

3. la vita è una manifestazione classica (non quantistica e classica come sostengo io);

4. quando noi moriamo, il corpo scompare, tutto si spegne, proprio perché la coscienza è un epifenomeno.

Io sostengo esattamente l’opposto. La coscienza è “eterna”, o perlomeno sopravvive al corpo, esiste per un tempo illimitato, e certamente continua a esistere anche quando il corpo muore.

Peraltro, così sembrano indicare le esperienze di pre-morte di cui, immagino, molti di voi avranno letto o sentito parlare: è il caso di persone dichiarate clinicamente morte – il loro cuore non batte più, il loro cervello non dà più segnali elettrici – che si trovano a vivere un’esperienza straordinaria di coscienza, simile a quella che ho provato io (almeno a una parte di quella esperienza), e che poi, al loro risveglio, perché l’intervento a cui erano state sottoposte è riuscito, riferiscono di aver osservato il loro corpo “morto”, descrivendo le operazioni compiute su di esso da medici e infermieri. E talvolta raccontano di essersi spostati in un’altra realtà in cui hanno incontrato persone già morte, come genitori e amici. Un’esperienza di luce, di pace, di amore, finché un qualche ente non ha detto loro di ritornare, perché ancora non avevano terminato ciò che erano venuti a fare in questa realtà terrena. Ci sono centinaia di migliaia di persone che hanno vissuto queste esperienze, ma la scienza non le considera reali e ne parla come assurdità, come “garbage”, spazzatura.

(…) Quello che conta, nella nostra vita, è la nostra esperienza, quello che conosciamo, quello che abbiamo amato, quello che abbiamo provato dentro di noi.

Le persone che “ritornano da un viaggio” – un viaggio del tipo di quello che ho raccontato prima –, che hanno vissuto un’esperienza più lunga nello stato di pre-morte, capiscono che ciò che si porta con sé dopo la morte è ciò che si è imparato attraverso le esperienze personali. Sono le esperienze personali le cose fondamentali. Perché quello che conta è la conoscenza, quello che si conosce attraverso l’esperienza.

Quindi il significato a cui si arriva – di comprensione in comprensione – è l’essenza della realtà. Quella comprensione profonda, quel significato profondo, è il processo attraverso il quale ciascuno conosce se stesso. Noi un po’ alla volta ci avviciniamo alla comprensione – che ognuno ha di se stesso – attraverso un processo di interazione e di crescita personale che al contempo è anche la crescita di Uno.

Uno non è onnisciente. Uno è una realtà che vuole conoscere se stessa, e ogni volta che Uno conosce se stesso – in un certo modo – dà vita a uno di noi; dà vita a un ente cosciente, che a sua volta può conoscere se stesso. Perché nuova conoscenza vuol dire portare all’esistenza quello che prima Uno non conosceva. (…). 

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

Sostieni la libertà di stampa, sostieni Adista!

In questo mondo segnato da crisi, guerre e ingiustizie, c’è sempre più bisogno di un’informazione libera, affidabile e indipendente. Soprattutto nel panorama mediatico italiano, per lo più compiacente con i poteri civili ed ecclesiastici, tanto che il nostro Paese è scivolato quest’anno al 46° posto (ultimo in Europa Occidentale) della classifica di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa.