
Presto un nuovo Regolamento sui ripatri? L'UE pensi invece ai diritti e all'integrazione
L’11 marzo scorso, nel corso di una plenaria del Parlamento Europeo, il commissario europeo per gli Affari interni e la Migrazione Magnus Brunner ha presentato una proposta di Regolamento sul rimpatrio dei migranti presenti irregolarmente sul territorio dell’Unione con il fine dichiarato di uniformare le 27 normative nazionali. La riforma, che per essere approvata richiede l’approvazione del Parlamento e del Consiglio dell’UE, è stata pensata in sostituzione della Direttiva del 2008, considerata ormai obsoleta, e prevede alcuni elementi chiave: il mutuo riconoscimento tra Stati membri delle decisioni sui rimpatri con l’istituzione di un “ordine di rimpatrio europeo”, emesso dagli Stati ma valido su tutto il territorio UE; l’istituzione di “return hubs”, centri di raccolta in Paesi terzi di migranti maggiorenni cui è stato già negato l’asilo e, per questa ragione, diversi dai modelli Ruanda e Albania; regole più restrittive per gli extracomunitari in attesa di rimpatrio; estensione da 18 a 24 mesi del periodo detentivo dei migranti espulsi che non hanno deciso volontariamente il rimpatrio; la normativa incentiva infine i rimpatri volontari, fornendo assistenza e riconoscimenti economici a chi deciderà spontaneamente di tornarsene in patria.
Intanto, in attesa dell’iter del provvedimento, i partiti europei si schierano con (destre) o contro (sinistre) la misura proposta. In particolare preoccupa i partiti progressisti e le società civili europee la decisione di create hubs nei Paesi Terzi, considerata una inaccettabile forma di esternalizzazione delle frontiere. Della misura, che si pone come tentativo di arrivare a un modello comune unico ma certamente più restrittivo, non piace nemmeno l’esclusione di misure per l’inclusione e l’integrazione.
L’Associazione “Don Bosco 2000” di Piazza Armerina (EN) «esprime profonda preoccupazione riguardo alle recenti misure» proposte dalla Commissione Europea e, allo stesso tempo «denuncia l’inefficacia delle politiche europee sui rimpatri dei migranti», richiamando l’urgenza del «rispetto dei diritti umani». All’associazione siciliana che si occupa di accoglienza e integrazione non piace, in particolare, «la creazione di centri di rimpatrio in Paesi terzi», la quale «rischia di essere una soluzione punitiva e discriminatoria», che tra l’altro non offre «reali prospettive di inclusione sociale». A cosa servono dunque questi centri quando, afferma dati alla mano, «solo il 20% dei migranti con ordini di rimpatrio abbandona effettivamente il territorio dell’UE» e mancano «accordi bilaterali solidi con i Paesi di origine».
Invece di incrementare le politiche securitarie e punitive, propone Don Bosco 2000, «occorre garantire i diritti umani». Secondo il presidente Agostino Sella, «Le nuove misure proposte dall’Unione Europea non solo violano i diritti umani fondamentali, ma si dimostrano anche inefficaci in assenza di solidi accordi con i Paesi di origine dei migranti. La creazione di centri di rimpatrio in Paesi terzi rischia di essere una soluzione punitiva e discriminatoria, senza offrire reali prospettive di inclusione sociale». Per queste ragioni «Don Bosco 2000 invita le istituzioni europee a rivedere queste proposte, privilegiando soluzioni che rispettino la dignità umana e promuovano l’integrazione, anziché adottare misure repressive che non affrontano le cause profonde delle migrazioni».
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