
A Torino, una moschea per il dialogo tra culture e fedi
Tratto da: Adista Documenti n° 16 del 26/04/2025
DOC-3381. TORINO-ADISTA. Cominceranno all’inizio del 2026 i lavori per la costruzione di una moschea a Torino. L’annuncio formale è arrivato il 20 marzo scorso, durante una cena di gala organizzata per l’Iftar, la rottura del digiuno serale durante il Ramadan, alla presenza di parlamentari, consiglieri regionali e comunali, sacerdoti della diocesi di Torino, buddisti della Soka Gakkai, esponenti del il comitato Interfedi e delle fondazioni bancarie. Un grande progetto – la prima moschea riconosciuta sul piano urbanistico – che sfrutterà il sito dell’ex fonderia Nebiolo, uno dei più importanti stabilimenti tipografici di fine Ottocento, luogo da tempo abbandonato e degradato, nel multietnico quartiere Aurora, Torino nord. Sarà portato avanti dalla Confederazione Islamica Italiana (Cii), organizzazione nazionale nata nel 2012 che riunisce 14 federazioni regionali islamiche, con il fine di coordinare tutti i luoghi di culto a essa aderenti in Italia, tra i cui obiettivi statutari figura «la promozione del dialogo interreligioso come strumento essenziale per l’integrazione tra persone di ogni fede, il rispetto del diritto di libertà religiosa». La Cii gestisce già la moschea di via Genova, zona sud di Torino, e ha censito altri 25 luoghi di preghiera (spesso nulla più che garage o vecchie officine) di cui 18 proprio nel quartiere Aurora).
Sull’area di circa 6mila metri quadrati, secondo quanto riporta La Stampa (22/3), oltre alla moschea di circa 1.300 mq che accoglierà un migliaio di fedeli sorgerà anche un centro polifunzionale che comprende uno studentato, una biblioteca, una palestra, spazi di aggregazione per attività ed eventi culturali, accompagnati da un minareto “tecnologico” alto 20 metri. L’opera sarà completata entro il 2029, con una spesa di 17 milioni di euro finanziata dal Re del Marocco Mohammed VI. Dopo l’approvazione della Soprintendenza, il progetto, firmato dallo studio dell’architetto Vittorio Jacomussi, trova così il suo compimento, dopo che già sotto la sindaca grillina Chiara Appendino l’area era stata affidata in concessione per 99 anni alla Confederazione Islamica Italiana. Nel 2022, con il nuovo sindaco piddino Stefano Lo Russo, con un atto inedito è stata deliberata la nascita – sul piano urbanistico – dei «centri di culto». La moschea, ha assicurato il coordinatore della Cii, Walid Bouchnaf, si legge sempre su La Stampa, sarà aperta al dialogo con il quartiere, con gli Atenei torinesi, con le istituzioni e il Terzo settore. «Come a Milano o Verona, abbiamo ricevuto un input della città che, a Torino, abbiamo voluto cogliere per il suo contesto sociale e culturale», spiega sull’edizione torinese del Corriere della Sera (21/3) Mustapha Hajraoui, presidente della Cii. «La Monarchia del Marocco ha colto lo spirito del progetto che non è solo costruire un luogo per la comunità, ma aprire spazi innovativi con un modus operandi nuovo».
Il progetto ha incontrato favore ma anche resistenze; se c’è chi lo sostiene, in nome del dialogo tra culture e fedi, c’è anche chi ne diffida, temendo che prenda forma una comunità isolata dal resto del tessuto cittadino. Ad alcuni piace l’idea che il luogo, abbandonato da una trentina d’anni e rifugio di senzatetto, venga bonificato e riqualificato. Il suo rilancio «segnerà un punto di svolta per il borgo – dichiara a La Stampa (23/3) Luca Deri, presidente della Circoscrizione 7 –. Il nostro territorio è ricco di luoghi di preghiera e sono tutti accoglienti. E in questo caso ci saranno anche spazi per enti del terzo settore». Opposta la posizione della consigliera in quota FdI Patrizia Alessi: «Aurora è il quartiere con il maggior numero di luoghi di preghiera per musulmani: il rischio è di trasformare il borgo in un ghetto».
E se una parte della cittadinanza ha espresso paura e rabbia, sul fatto che la notizia di una nuova Moschea a Torino sia un’ottima notizia insiste invece il teologo e scrittore Vito Mancuso: «Soprattutto i veri cristiani dovrebbero essere contenti, perché Dio non lo possiede nessuno e siamo tutti impegnati a cercarlo», ha detto in un’intervista al quotidiano torinese il 14 aprile. Ed è in risposta a chi esprime diffidenza che la rivista cattolica torinese Tempi di fraternità ha diffuso un documento che sostiene il progetto e che è stato firmato, oltre che dallo stesso Mancuso, da altri teologi, giornalisti, accademici, associazioni cattoliche e protestanti e anche da Adista. A generare diffidenza verso l’islam, continua Mancuso nell’intervista, il fatto che «a partire dal dopoguerra è diventato un mondo problematico e ha esportato la propria problematicità»: ad esempio la questione israelo-palestinese, che ha generato in molti musulmani l’idea «di essere stati usati dall’Europa per risolvere un certo complesso di colpa legato alla Shoah». Oppure il fatto che una parte del mondo islamico percepisca le società occidentali come una minaccia per le proprie strutture familiari e sociali. «Da un lato, quindi, la preoccupazione di pezzi di società civili europee è legittima, perché il rapporto della modernità occidentale con l’Islam è in generale più travagliato che con le altre religioni. Dall’altra, l’Occidente è oggi abitato da tantissimi cittadini di fede musulmana. Tutto sta nel capire cosa fare di fronte a questa situazione». E aggiunge: «Penso che la costruzione di una moschea in una città che ha molti abitanti di religione musulmana favorisca ’attenuazione del conflitto tra islam e modernità occidentale». Un modo «per riconoscere le persone di fede musulmana che vivono qui e che spesso sono cittadini italiani, dando loro la possibilità di avere un luogo bello e dignitoso in cui ritrovarsi e pregare». Cristiani e musulmani sono esseri umani in cammino, entrambi insistono sull’importanza della fede in Dio: « Se partiamo dall’idea che Dio non lo possiede nessuno e tutti lo cercano, capiamo che tutte le religioni hanno qualcosa da imparare l’una dall’altra. Questo è il punto di vista più saggio e antico, perché ci accomuna nell’umile consapevolezza di avere a che fare con misteri troppo grandi, come la morte, la sofferenza o l’anima. Chi assume questa postura è contento del pluralismo».
Di seguito riportiamo il testo dell’appello promosso da Tempi di Fraternità, seguito dalle firme di chi vi ha aderito.
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
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