
Il Leone mansueto? Il conclave elegge Robert Prevost
Tratto da: Adista Notizie n° 19 del 17/05/2025
42243 ROMA-ADISTA. Quello che succede all’interno di un Conclave è tradizionalmente coperto da segreto. Ma nel corso dei mesi successivi all’elezione di un papa le notizie cominciano a trapelare, fino a comporre un quadro abbastanza dettagliato (anche se non documentabile) di come sono andati gli scrutini, spesso con il dettaglio dei voti.
Sarà forse così anche per questo Conclave, concluso alla quarta votazione l’8 maggio alle 18.07 con la fumata bianca cui è seguito l’annuncio dell’elezione di Robert Francis Prevost, che ha assunto il nome di Leone XIV.
Il favorito era un altro, il card. Pietro Parolin, giunto in Conclave con un discreto sostegno e la speranza di guadagnare ulteriori consensi. Durante la messa pro eligendo pontifice un cardinale esperto come il card. Re, decano del Collegio cardinalizio, si era avvicinato rivolgendogli un saluto informale, ma carico di significato: «Auguri doppi». Sembrava l’implicito endorsement in vista dell’imminente Conclave di quei settori della Chiesa e della Curia che vedevano nell’ex segretario di Stato una continuità nella politica multilaterale, di progressiva distanza dagli Stati Uniti e di avvicinamento ai Paesi dell’Est, Cina in testa. Ma con uno stile meno arrembante di papa Francesco, una maggiore attenzione diplomatica, uno stile più prudente sul fronte teologico e dottrinario.
Sin dal primo scrutinio, però, qualcosa deve essere andato storto: la conta dei voti deve aver mostrato un numero di preferenze per Parolin non tale da poter superare facilmente il quorum di 89 voti. La verifica dell’impossibilità di un’ampia convergenza sul suo nome, forse anche per l’ostilità di una parte dei cardinali di Curia o degli stessi italiani (tradizionalmente divisi, come quando, nel 1978, la contrapposizione tra il card. Siri e il card. Benelli favorì l’ascesa dell’outsider Wojtyla), ha forse indotto lo stesso Parolin a fare un passo indietro. Per alcuni osservatori è possibile che all’origine del ritardo con cui è apparsa la fumata nera del primo giorno vi sia proprio questa circostanza. Facile ipotizzare che a quel punto l’ala di cardinali più attenta alla tradizione abbia deciso di puntare su un cardinale certamente non conservatore, ma che garantisse una gestione in chiave moderata sul versante teologico e pastorale. Ai “bergogliani” sarà stato invece sufficiente il profilo moderatamente progressista sui temi sociali, ambientali e del lavoro di Prevost. Oltre che il suo impegno sui temi della pace e del disarmo. Prevost è stato poi a capo del Dicastero per i Vescovi, ruolo chiave nella scelta dei candidati alla guida delle diocesi del mondo, ruolo nel quale Prevost ha mostrato capacità di intessere relazioni e doti di mediazione, mostrate anche durante il Sinodo tedesco, dove è riuscito a mettere d’accordo i vescovi conservatori con quella parte dell’episcopato tedesco e progressista che chiedeva, per esempio, le ordinazioni diaconali delle donne.
Il fatto poi che al momento di salutare la folla radunata in Piazza S. Pietro e impartire la benedizione Urbi et Orbi, Prevost non si sia presentato da solo, ma abbia voluto accanto a sé Parolin, indica probabilmente una “intesa cordiale” tra i due. Non è escluso che Prevost abbia garantito a Parolin e ai suoi sostenitori continuità in politica estera con il pontificato di Francesco. Magari anche con la riconferma di Parolin nel ruolo di Segretario di Stato. Insomma, c’è da immaginare che il dialogo con la Cina e con il Global South proseguità. E che anche sui temi della «pace disarmata e disarmante», auspicata nel primo discorso da Prevost, questo pontificato proseguirà l’impegno precedente.
Il profilo del nuovo papa
Resta però un papa statunitense, in un contesto internazionale segnato da una crisi politica, militare ed economica che vede gli Usa come attori protagonisti; e l’Europa schiacciata e frammentata dal confronto tra i colossi Cina e Usa e i loro alleati. Di certo Prevost non è però “trumpiano”. Statunitense sì, ma con una biografia “trasversale” che probabilmente è riuscita a compattare buona parte dell’elettorato americano ed europeo; con sostegni anche tra prelati di Curia e settori moderati.
Nato a Chicago il 14 settembre 1955, Prevost proviene da una famiglia di origini francesi e italiane, da parte del padre Louis Marius Prevost, e spagnole da parte della madre Mildred Martínez. Nel 1977 è entrato nel noviziato dell’Ordine di Sant’Agostino a Saint Louis, nella provincia di Nostra Signora del Buon Consiglio di Chicago. Ha emesso i voti solenni nel 1981. Dopo il diploma in teologia, ha vissuto a Roma per studiare Diritto canonico all’Angelicum. E a Roma è stato ordinato prete, il 19 giugno 1982.
Nel 1987 è volato in Perù (dove era già stato per un breve periodo l’anno precedente), nella missione di Trujillo. Nell’arco degli 11 anni successivi ha ricoperto diversi incarichi; finché, nel 1999, è tornato negli Usa, eletto priore provinciale della Provincia Agostiniana «Madre del Buon Consiglio» di Chicago, e due anni e mezzo dopo, al Capitolo generale ordinario dell’Ordine di Sant’Agostino, è stato eletto priore generale, carica rinnovata nel 2007 per un secondo mandato. Nel 2014 è tornato in Perù, nominato dal papa amministratore apostolico della diocesi di Chiclayo e vescovo titolare di Sufar.
Membro della Congregazione per il Clero dal 2018 e della Congregazione per i Vescovi dal 2019, Il 30 gennaio 2023, il papa lo ha nominato prefetto del Dicastero per i Vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, promuovendolo arcivescovo. È stato creato cardinale il 30 settembre dello stesso anno.
La scelta del nome
La decisione di chiamarsi Leone indica però la volontà di porsi all’interno di una tradizione che poco ha a che fare con le discontinuità segnate dai papi del ‘900. Il nome Leone richiama invece immediatamente quello di papa Leone XIII, il papa che portò la Chiesa cattolica nel ‘900 (morì nel 1903) e che passò alla storia per aver promulgato nel 1891 una enciclica, la Rerum Novarum, considerata il fondamento della moderna dottrina sociale della Chiesa. Questo documento gli valse l’appellativo di «papa dei lavoratori» e «papa sociale», nonostante l’enciclica contenesse forti accenti anti socialisti e anti massonici. Leone XIII fu anche autore, nel 1895, dell’enciclica Longinqua oceani, rivolta all’episcopato degli Stati Uniti circa la situazione della Chiesa americana. Una circostanza che forse papa Prevost ha tenuto presente. Il primo papa Leone fu però Leone “Magno”, nel V secolo d. C., papa in una periodo caratterizzato dal disfacimento dell’Impero romano d’Occidente, e dalle controversie dogmatiche in Oriente. Fermo difensore dell’ortodossia, papa Leone rafforzò l’autorevolezza e il prestigio del vescovo di Roma sugli altri vescovi. Anche questi sono forse punti “programmatici” del nuovo pontificato. C’è però anche l’episodio che rese leggendaria la figura di papa Leone, passato alla storia come “Magno”: nel 452 gli unni guidati da Attila, avevano invaso l’Occidente e si erano spinti fino in Italia. Papa Leone fece parte della delegazione inviata dall’imperatore Valentiniano III per cercare un accordo con Attila. L’incontro avvenne sulle sponde del Mincio, non lontano da Mantova. Per gli storici furono probabilmente ragioni di opportunità militari e politiche a indurlo a ritirarsi. Ma la leggenda del papa che fermò i barbari e salvò Roma attraverso i secoli. Un altro papa Leone, Leone X, Giovanni de’ Medici, fu un papa famoso per lo stile mite e le doti diplomatiche. Ma fu anche il papa che il 3 gennaio 1521 scomunicò Lutero (che all’epoca era un religioso agostiniano, come Prevost), con la bolla Decet Romanum Pontificem.
Dalla scelta del nome arriva quindi più di una indicazione sui tratti che è possibile attendersi dal pontificato di Leone XIV: sarà probabilmente un papa “sociale”, attento ai temi del lavoro, del clima, ai diritti dei migranti. Sarà garante dell’ortodossia cattolica, per rassicurare le ansie dei cattolici conservatori; sarà un papa impegnato sui temi della pace, parola che ha più volte ripetuto nel corso del suo discorso alla folla accorsa a S. Pietro. A metà strada, probabilmente, dei suoi immediati predecessori. Bergoglio e Ratzinger. Lo stile solo in parte informale del suo saluto alla folla unito all’uso della mozzetta (che Francesco non aveva mai voluto indossare) raccontano anche questo.
Le ombre si distendono?
Qualche ombra minaccia la figura del papa neoeletto, quando si affronta una delle questioni sistemiche più critiche per il nuovo pontificato, quella degli abusi perpetrati dal clero. Già ben prima del Conclave erano note le accuse che gli erano state mosse in riferimento a una sua presunta cattiva gestione di alcuni casi di abusi, in particolare da organismi internazionali di vittime come Snap – Survivors Network of those Abused by Priests), che il 25 marzo lo ha denunciato alla Segreteria di Stato, al Dicastero per la Dottrina della Fede e a quello per la Vita consacrata in osservanza alla Lettera apostolica Vos estis Lux Mundi per presunta malagestione in due casi risalenti al periodo in cui era provinciale dei gesuiti del Midwest (1999-2001) e vescovo di Chiclayo (2022). Dalle vittime di Sodalitium (associazione peruviana recentemente sciolta dal Vaticano per gli abusi avvenuti al suo interno, v. Adista Notizie nn. 4, 5, 13 e 16/25) arriva al contrario una dimostrazione di stima e di apprezzamento per l’operato rigoroso di Prevost (si veda ad esempio l’intervista rilasciata dalla teologa peruviana Rocío Figueroa, lei stessa vittima di Sodalitium, alla BBC (9/5). E sarebbe questo rigore, applicato anche nel caso di Sodalitium, a quanto sembra, ad aver generato una narrazione ostile all’allora vescovo di Chiclayo. Ma su tutto questo versante, estremamente complesso, torneremo più avanti.
*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza
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