SANTO SUBITO
Tratto da: Adista Contesti n° 32 del 28/04/2007
Nel centenario della nascita di Padre Arrupe, un giornalista ricorda l’ostilità di wojtyla verso il grande generale dei gesuiti.
Questo articolo di Pedro Miguel Jamet, autore di un libro su padre arrupe, è stato pubblicato sul bimestrale francese “Golias” (n. 112). Titolo originale: "Pedro Arrupe, la figure d’un juste"
Poco prima che l'aereo proveniente da Bangkok atterrasse all'aeroporto di Fiumicino, verso le cinque e mezzo del mattino, Pedro Arrupe tentò di prendere la sua valigia. Ma la sua mano non rispondeva. Al suo ritorno da un viaggio nelle Filippine e in Thailandia dove si era occupato dei rifugiati della Cambogia, del Laos e del Vietnam, qualche cosa aveva fatto 'clic' nella sua testa. L'epoca in cui aveva studiato medicina alla facoltà San Carlos di Madrid doveva indurlo a pensare che si trattasse di una trombosi. Trasportato all'ospe-dale Salvator Mundi di Roma, alle sette di sera, lo scanner confermò la diagnosi: embolia della carotide sinistra.In quell’istante si fermò l'orologio instancabile di padre Arrupe, l'uomo dalla inesauribile attività apostolica. Allo stesso modo si arrestò l'orologio di Hiroshima alle otto, quindici minuti e diciassette secondi di quel fatidico 6 agosto del 1945, quando il comandante Paul Tibbets guardò attraverso l'oblò del suo B-29 e, di fronte a quanto egli stesso aveva provocato - la prima esplosione atomica della storia -, esclamò: “Buon Dio! Cosa abbiamo fatto!”. Pedro Arrupe non avrebbe mai dimenticato quando quell’orologiò si fermò. E nemmeno i secchi che doveva utilizzare per andare a prendere l'acqua dagli immensi pozzi dei sinistrati di cui si occupava durante il suo noviziato, in un luogo diventato un ospedale di fortuna. Né le macerie di una città ridotta in cenere in cui si udivano le grida delle ombre vaganti che domandavano a-iuto e un po’ d'acqua. Con il suo rasoio da barbiere come bisturi, Arrupe tolse migliaia di frammenti conficcati nella pelle nel corso di quelle giornate che egli non avrebbe dimenticato mai e nelle quali si concedeva a malapena un'ora o due di sonno. Senza medicine né strumenti, egli doveva ricorrere al suo sesto senso medico: dare più cibo ad una moltitudine di feriti per facilitare la loro auto-guarigione. I suoi gesti d'umanità erano incredibili, il racconto del seguito sconvolgente. Ma Pedro Arrupe ignorava ancora tutto di ciò che stava per rappresentare nella sua vita l'esperienza interiore di un’esplosione superiore a quella atomica. Ciò che gli orientali chiamano “illuminazione”. Da allora, Pedro Arrupe sarebbe rimasto giovane e libero, il massimo del profetico nel senso biblico del termine. Eletto provinciale superiore, egli aveva già conosciuto un po' di tutto, dalla sua nascita a Bilbao il 14 novembre 1907: l'esilio in Spagna; il periodo del nazismo in Germania; quando i superiori lo destinarono agli studi di psichiatria; l’impatto dello stile di vita americano negli Stati Uniti; l'entrata del Giappone nella seconda guerra mondiale, mentre scopriva e si appassionava allo zen e alla cultura orientale; la prigione, per l’accusa di spionaggio; l'enorme sfida di formare dei giovani giapponesi secondo lo spirito del basco Ignazio da Loyola.Il provinciale Pedro Arrupe si preparava ad assumere le più grandi responsabilità. Egli aveva fatto già più volte il giro del mondo, ricco dell'esperienza di una permanente vita co-smopolita, ma molto diversa da quella di Karol Wojtyla, nell'eclettica comunità gesuita del Giappone. E mentre stava rafforzando il prestigio dell'università Sophia in questo Paese di missione, fu eletto a Roma Padre generale della Compagnia di Gesù, il 'papa nero', come si ha l'abitudine di dire negli ambienti ecclesiali. Da qui, il soffio profetico di Pedro Arrupe si estende su tutto il pianeta, rispondendo alle sfide degli anni Sessanta e alla crisi del dopo Concilio in seno alla Chiesa. Ottimista per natura, continuò ad essere gioviale e sorridente, vivendo una relazione personale con ciascuno dei suoi confratelli, sempre rivolto al futuro e impregnato di una permanente creatività.“Gesuiti come quelli di una volta”Ma è anche il momento in cui cominciano i suoi problemi con la Santa Sede. Paolo VI, che nutriva molto affetto per Pedro Arrupe, cominciò, come sappiamo, ad avere paura di attraversare l'ultima tappa del Concilio per la rivolu-zione spirituale provocata dal Vaticano II nella Chiesa.Pedro Arrupe doveva rendere compatibili due realtà che aveva conosciuto bene nel corso della sua vita: l'intuizione della sua chiaroveggenza e la fedeltà ostinata alla Sede apostolica. Qui è da ricercare l'origine del dramma di Pedro Arrupe. La Compagnia continuò ad andare avanti mentre il Vaticano cominciava a perdere terreno. I gesuiti, guidati da Arrupe, decisero nel corso della loro trentaduesima Congregazione generale di lottare contro l'ingiustizia nel mondo, in seguito alle loro nuove opzioni di fede. Questo tema e la revisione dei gradi (le differenti categorie dei gesuiti all'interno dell'Ordine) provocarono un intervento della Santa Sede. Paolo VI convocò Pedro Arrupe e non lo lasciò parlare. Gli ordinò di scrivere ciò che gli avrebbe dettato il sostituto della Segreteria di Stato, il cardinal Benelli. Arrupe uscì in lacrime. Ma qualche minuto dopo, con un sorriso sulle labbra, spiegava ai rappresentanti dei gesuiti di tutto il pianera e ai partecipanti della congregazione di Roma come obbedire con gioia.Era diventato una specie di idolo per i giornalisti - era disponibile in tutto e per tutti -: si ritrovava traccia delle sue lettere e delle sue conferenze stampa perfino nei giornali dell'U-nione Sovietica. Poiché scriveva articoli sull'in-giustizia in America Latina, sul razzismo negli Stati Uniti o sulla mancanza di spirito sociale dei suoi ex allievi, fu in seguito accusato di marxismo. Egli si prese il rimprovero con humour, senza tuttavia che alcuna critica limitasse la sua libertà. Questa capacità, così radicata in lui, esasperava colui che all'epoca era arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla.I suoi gesti avevano più impatto delle sue parole: andò negli Stati Uniti a rendere visita a Daniel Berrigan, un gesuita incarcerato per aver bruciato i dossier militari di reclutamento per la guerra in Vietnam. Sfidò il presidente Stroessner, che aveva espulso numerosi membri dell'Ordine in Paraguay. Interrogò il generale Franco sulle torture in Spagna. Difese Teilhard de Chardin, il criticato antropologo gesuita, e instaurò un dialogo serio con i non credenti, gli scienziati, marxisti e le culture non occidentali. Ma, soprattutto, scrisse centinaia di testi di spiritualità e fu spesso rieletto presidente dei Superiori degli Ordini religiosi a Roma. Era un leader incontestato del dopo Concilio, seguito e ammirato dall'ala rinnovatrice, allora maggioritaria, della Chiesa. Ma la parte intregrista del-l'Ordine e numerosi vescovi vedevano di cattivo occhio le innovazioni di Pedro Arrupe. Egli aveva in effetti instaurato un modo di governare diverso, più amichevole, e stabilito nuove interpretazioni dell'obbedienza e della vita religiosa. L'intervento di quelli che si chiamavano ironicamente i “gesuiti a piedi nudi” si propagò soprattutto in Spagna. L'arcivescovo di Madrid, che era allora Casimiro Morcillo, fu sul punto di ottenere dal Vaticano la creazione di una provincia a parte per tutto il gruppo dei gesuiti ortodossi. Tuttavia, Pedro Arrupe, instancabile viaggiatore, che aveva ritardato intenzionalmente la sua visita in Spagna, proprio perché era il suo Paese, vi si recò nel 1970, e, con la sua innata simpatia, si mise in tasca numerosi conservatori. Anche l'ondata di proteste da parte di coloro che volevano dei “gesuiti come quelli di una volta” continuava ad avere ripercussioni fino a Roma. Giovanni Paolo I morì prima di pronunciare un discorso molto critico nei riguardi dei membri dell'Ordine di Ignazio di Loyola. È evidente che Giovanni Paolo II non condividesse le idee di Padre Arrupe, anche se rispettava il suo grande impegno spirituale. Pedro Arrupe tentò di dialogare con lui. Il papa aveva già preso da sé le decisioni sul caso. Nel corso del preconclave che precedette l'elezione di papa Wojtyla, alcuni cardinali, su richiesta del generale dei gesuiti, discussero dello stato dell'Ordine nel mondo e analizzarono il discorso di papa Luciani (Giovanni Paolo I). Karol Wojtyla, che aveva già avuto degli attriti con i gesuiti nella sua diocesi, era tra quelli. In seguito, Pedro Arrupe domandò numerose volte udienza a Giovanni Paolo II, il nuovo papa. Ma il 'papa bianco' non volle ricevere il 'papa nero' se non due volte e solamente per un breve istante. Nel corso dei suoi 'esercizi spirituali', padre Arrupe ebbe una premonizione sulle soffe-renze che avrebbe potuto provocare ai gradi superiori. “Se il mio stile non piace al papa, mi devo dimettere”, si disse. Annunciò alla Compagnia che avrebbe rinunciato al suo posto. Il papa non accettò le sue dimissioni. Aveva un altro piano per l'avvenire della Compagnia. Sopraggiunse però la trombosi e l'orologio si arrestò. Con la metà del corpo paralizzato, Pedro Arrupe dovette reimparare in qualche modo a scrivere. L'uomo che parlava sette lingue riusciva solo a sentire e a stento poteva esprimersi in spagnolo. Aveva dimenticato tutti i nomi. Così l'autore di questo articolo ebbe l'occasione di rendergli visita a Roma per preparare la sua biografia, nel luglio 1983. Egli si trovava in un angolo della sua spoglia stanza di ospedale, scavato, trasparente, ma con un dolce sorriso sulle labbra e sostenuto da un coraggio intereriore impressionante.
E Pedro Arrupe piangeva…In quell'epoca, l'umiliazione aveva già compiuto la sua opera. Pedro Arrupe, a cui non era più possible governare conformemente ai regolamenti della Compagnia, aveva nominato il suo vicario, il padre Vincent O'Keefe, per convocare la Congregazione generale, il 'parlamento' gesuita, che doveva eleggere il successore di padre Arrupe.A quel punto, la Santa Sede intervenne in maniera imprevista. Un bel giorno, il cardinale Agostino Casaroli, senza informarne il nuovo vicario, rese visita al padre Arrupe nella sua stanza d'ospedale. Quando uscì, dopo alcuni minuti, c'era una lettera sul tavolo e padre Arrupe piangeva. Il papa interrompeva il processo costituzionale dell'Ordine e nominava il suo delegato personale. All'inizio, il Vaticano aveva pensato a un uomo che non appartenesse alla Compagnia. Ma alla fine decise di scegliere un gesuita, padre Paolo Deazza, ottantenne, mezzo cieco, che era stato confessore di due papi e la cui principale caratterisitica era proprio di non approvare le idee di Pedro Arrupe. Per ricompensarlo dei suoi servizi, Giovanni Paolo II lo avrebbe nominato cardinale dopo la morte di Arrupe. Contemporaneamente a queste manovre, padre Arrupe ricevette l'autore di questo libro per un periodo di venti giorni (con il permesso di padre Dezza e del suo coadiutore Giuseppe Pittau) e gli accordò l'ultima grande intervista della sua vita, prima di perdere definitivamente la parola. Percorremmo tappa per tappa le differenti peripezie della sua vita e Pedro Arrupe rilasciò prezione dichiarazioni.Eccovi qualche esempio. Sulla decisione dei gesuiti di optare per la giustizia: “Sentivo che qualcosa di nuovo stava per cominciare. Avevo una certezza molto forte in me. Non avevo il minimo dubbio. Apparivano una nuova era e dei nuovi valori. Che bella cosa!”. Io gli dicevo che la decisione di optare per la giustizia era già presente in molti suoi interventi e lettere. Che nello stesso Concilio egli aveva già parlato del dialogo con il mondo. “Sì, alcuni padri del Concilio allora mi avevano detto: che idiozia! Ma io mi sentivo libero. Sapevo che ciò fa parte di Dio. Ora, sono tutti d'accordo su questo”. Sulla sua maniera di governare i gesuiti, rispettando la libertà degli individui: “Io non posso governare che in un solo modo. Non sono autoritario. Io spiegavo ed erano loro a decidere”. Sui papi: “Ho avuto grande fiducia in Paolo VI. Parlavamo di tutto. Dopo essere stato eletto, Giovanni Paolo II mi ricevette e mi pose una serie di domande sulla Compagnia, ma in modo molto generale. Io ero già molto preoccupato e avevo molti dubbi. Dopo aver presentato le mie dimissioni, egli mi ricevette due volte. Ma parlò molto poco con me”. È chiaro che questo papa venuto dall'Est non poteva accettare l'idea di un dialogo con il marxismo né comprendere il sostegno di Pedro Arrupe ai movimenti legati alla Teologia della Liberazione, e neanche una nuova immersione dei gesuiti nel mondo, in quelli che Karol Wojtyla considerava posti-limite. Giuseppe Pittau, uomo di fiducia del papa e delfino scelto per la successione a Pedro Arrupe, raccontò che Giovanni Paolo II non poteva sopportare di sentir citare in una conversione il nome di Arrupe. “Questo lo rende subito nervoso”, dice. Padre Arrupe stesso mi raccontò che tutte le domeniche si metteva sistematicamente sulla porta della Curia generalizia dei gesuiti, nel quartiere di Santo Spirito, per salutare il papa che passava di là in macchina nel pomeriggio per visitare ogni settimana una parrocchia romana. Il papa non rispondeva mai al suo saluto; forse era troppo occupato.
Giovanni Paolo II non rispondeva al suo salutoPedro Arrupe era consapevole del decadimento psicologico dovuto alla malattia. A mezze parole diceva sovente: “Io non servo più a niente, sono un pover’uomo”. “Io ho tentato di dire la verità ad ogni persona in tutta fran-chezza, come la vedevo davanti a Dio. Vedo tutto molto chiaramente. Vedo un mondo nuovo. Sentivo che una luce mi guidava. Noi abbiamo molto sofferto”. E con la mano sinistra prendeva la sua mano destra tutta irrigidita per dare la benedizione.Il 2 settembre di quell'anno, nel 1983, la Congregazione generale finalmente autorizzata dal papa si riunì e scelse il successore di Pedro Arrupe nella persona di padre Peter - Hans Kolvenbach, un olandese. Precedentemente, Pedro Arrupe aveva presentato la sua domanda di rinuncia - un fatto inedito nella Compagnia - e aveva fatto leggere per bocca di un compagno il suo testamento spirituale e il suo addio alla Congregazione generale. Essa lo accolse in piedi e con la più grande ovazione mai tributata a un padre della Compagnia di Gesù. Più tardi, Giovanni Paolo II gli rese personalmente visita a due riprese, quando era costretto a letto. Le foto mostrano un Pedro Arrupe dolce di fronte allo sguardo corretto ma distante del papa. Un'altra foto, più vecchia, scattata nel corso di un'udienza, ha fatto il giro del mondo. Mostra senza ombra di dubbio lo sguardo molto severo di Karol Wojtyla al padre dei gesuiti. Severo Ochoa, Premio Nobel e compagno di studi di medicina di Pedro Arrupe, benché si dichiarasse agnostico, gli chiese un giorno la benedizione in ginocchio. Anche Madre Teresa di Calcutta e frére Roger di Taizè, così come cardinali, vescovi e semplici persone venute da tutte le regioni del mondo, gli resero visita. Per-sino una comunità protestante era presente, accendeva un cero e intonava canti religiosi. Tutti si trovavano d'accordo sull’elogio della sua semplicità e insistevano sul fatto che Pedro Arrupe fosse soprattutto un amico. Pedro Arrupe passò il resto dei suoi giorni in semi-incoscienza in una piccola camera romana vicino alla Curia generalizia dei gesuiti, a due passi dal Vaticano. Vi morì nel 1991. Il suo temperamento energico lo aiutò a mantenersi in vita relativamente a lungo. I suoi ultimi progetti concernevano i tossicodipendenti e i rifugiati. Con un grande senso dell'umorismo, aveva l'abitudine di ascoltare le battute sul suo conto, come questa frase velonosa: “Un basco ha fondato la Compagnia di Gesù, e un altro si è incaricato di distruggerla”. Il teologo gesuita salvadoregno Jon Sobrino, in compenso, ha detto di lui “che aveva aiutato la Compagnia ad essere più vicina a Gesù”. L'iti-nerario spirituale di quest'uomo singolare non è importante solo nella storia tormentata dei gesuiti di questi ultimi anni, ma anche in ragione del suo percorso nella vita religiosa del dopo Concilio. Rieletto facilmente presidente dell'U-nione dei Superiori maggiori, egli fu l'artefice della ri-attualizzazione degli istituti religiosi misti. Certamente, i religiosi hanno sofferto per la forte diminuzione del numero delle vocazioni. Solamente i gesuiti hanno perduto più di dieci-mila membri in questi ultimi trent’anni. Ma per Pedro Arrupe questa crisi era da inquadrare in una mutazione mondiale e in una perdita degli antichi valori e delle profezie di nuove strade dopo lo shock degli anni Sessanta.
Tuttavia, malgrado le crisi, i religiosi godono spesso di grande libertà quando desiderano fare opera di profezia e allo stesso tempo criticare il funzionamento interno della Chiesa. Lontani, nella loro grande maggioranza, dall'aspirazione a posizioni di potere o a “fare carriera” nell'istituzione, preoccupano il papa nella sua volontà di imporre una linea accentratrice per la comu-nione della Chiesa. Tra i leader di quasi tutti i movimenti di liberazione e di trasformazione dell'istituzione ecclesiale vi sono molti religiosi: il gesuita Rutilio la cui morte determinò la conversione di mons. Oscar Romero; il padre Ellacuría e i suoi compagni assassinati in El Salvador; la stragrande maggioranza dei teologi della liberazione; i vescovi più impegnati del Brasile, a cominciare da mons. Casaldaliga; un gran nume-ro di firmatari dei documenti europei contro il progetto di restaurazione del papa polacco, ecc. Così come i provvedimenti presi dal cardinale Ratzinger sono rivolti, in gran parte, a teologi e professori spesso usciti dagli istituti religiosi.
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