NATA NEL CUORE DEL CONCILIO PER SALVAGUARDARNE GLI IDEALI
Tratto da: Adista Documenti n° 74 del 27/10/2007
Cara Adista,
come vedete non sono presente di persona alla “festa” di oggi, ma non posso non ritrovarmi con gli amici che si stringono intorno ai redattori della rivista per ricordare e sottolineare le benemerenze accumulate in questi 40 anni di “servizio”, il termine in questo caso è d’obbligo, alla Chiesa che è ben più ampia di quella ufficiale e che di fatto abbraccia quanti si confrontano e cercano di conformarsi con il vangelo di Gesù Cristo più che con quello dell’uno o dell’altro pontefice che, per quanto ne parli, a volte sembra di non averlo ben compreso. È il dilemma che sempre si ripropone: da che parte, con chi collocarsi? Anche Francesco di Assisi venne a Roma a chiedere l’approvazione di Innocenzo III, ma non di vivere in conformità ai canoni della Curia, bensì “secondo il santo vangelo”. Una distinzione, più che uno stratagemma, che lo salvò dal rogo.
- La comunità ecclesiale è una grande famiglia, ma sui generis, con una strutturazione medievaleggiante più che moderna. In essa le responsabilità, quindi le decisioni, ricadono su pochi (il discorso sulla ‘casta’ è attualmente di moda, ma è ben più antico), gli altri (i semplici presbiteri, i comuni fedeli, i laici) vi fanno egualmente parte, ma solo per ubbidire, per dare ai primi la possibilità, il diritto-dovere di comandare. Ed è attraverso ADISTA che questa moltitudine “di base”, di “anonimi”, “sommersa” o “del silenzio” può prendere conoscenza e coscienza di se stessa, delle appartenenze e dei recapiti che ha sia all’interno che fuori dell’istituzione, in patria e all’estero. È essa il punto di incontro e di confronto, il raccordo dei benpensanti e dei dissidenti, la palestra, l’agorà in cui ognuno può venire a difendere e a diffondere le sue proposte e risposte, le sue tesi, il credo e le interpretazioni che la sua competenza gli fa apparire più opportune. Il diritto di parlare, e quindi di sbagliare, è di tutti, anche se di fatto è un privilegio di pochi.
- La Chiesa non è una setta, ma pur sempre un’organiz-zazione compatta: chi non è dentro con tutto se stesso, con l’anima e con il corpo, con la mente e con il cuore rischia di ritrovarsi fuori. Se non si è “pro”, si può finire per ritrovarsi “contro”. Un circolo quasi chiuso, che si apre a comando di alcuni fortunati operatori che in politica si chiamano “i raccomandati” o gli opportunisti. Una compagine precisa, ben articolata, con abbondanti mezzi (media) di comunicazione e di informazione, centrali e periferici. Sono a tutti noti, come pure è a tutti noto quanto essi siano unilaterali, tendenziosi, di parte. Mai parlano esattamente sulla situazione reale della Chiesa, sulle sue eventuali o possibili scelte sbagliate oltre ai suoi immancabili “trionfi”. C’è chi la definisce stampa di regime, almeno ne dà l’impressione. E non c’è quasi mai una non diciamo benevola, ma equa, leale informazione su quanti non fossero eventualmente in regola con l’ortodossia o non si trovassero in piena sintonia con l’au-torità ecclesiastica. I “don Milani” e gli “abbé Pierre” non vi compaiono se non dopo una pluriennale attesa. Da qui l’importanza e l’urgenza di un’informazione alternativa che si è assunta ADISTA.
- Le aperture e prospettive conciliari, nonostante tutti gli attacchi subiti e che tuttora subiscono (basti pensare agli ultimissimi, mirati a recuperare la liturgia e l’ecclesiologia tridentine), non si sono mai dileguate dall’orizzonte cristiano, ma molto della loro sopravvivenza è dovuto alla presenza di ADISTA che è nata nel cuore del Concilio per salvaguardarne lo spirito e gli ideali, per tenere alta la fiaccola che si era riaccesa davanti al popolo credente. La “società perfetta” e “piramidale” si era riscoperta una convivenza o comunione di eguali, di amici, di fratelli, una moltitudine in cammino alla cui guida c’è Dio in persona che la sovrasta con il suo stesso Spirito, senza bisogno di alcuna intermediazione umana, caso mai con, al suo interno, non al di sopra perché c’è già Lui, degli umili inservienti più che dei marescialli.
- Il Concilio, checché se ne dica in certi settori dello schieramento ecclesiale, ha aperto una nuova era nella storia della Chiesa. Si può parlare di un prima e di un dopo che non si possono in nessuna maniera identificare. Aspirazioni plurisecolari e da sempre reiterate da tutti i movimenti rinnovatori trovavano finalmente accoglienza. Più che parlare di “riforma”, è stato detto, sarebbe più giusto parlare di rifondazione, ma, invece di mettere mano a questa urgente ristrutturazione, la gerarchia, soprattutto Wojtyla e papa Ratzinger, quest’ultimo in particolare, perché ha pesantemente influito sulle scelte teologiche del suo predecessore, si preoccupavano di avviare una manovra singolare per non dire esiziale: la necessità di un’interpretazione autentica del Concilio. Intanto si comincia subito a far notare che non c’era stata nessuna rottura, nessun salto di qualità, che tutto era rimasto sulla linea della tradizione, alla quale bisognava sempre rimanere ben ancorati. Quasi la stessa tesi dei lefebvriani! I testi del Concilio non passarono all’“Indice dei libri proibiti”, ma se ne ridimensionarono la portata, se ne attenuarono l’originalità. Al di sopra e prima di essi tornava il magistero del romano pontefice e la Tradizione della Chiesa. Basti sfogliare il “nuovo” Catechismo della Chiesa cattolica (1993) per accorgersene. Il grosso volume cita qua e là anche il Vaticano II, ma contano soprattutto il Concilio di Trento, san Tommaso e il Vaticano I. Gli spiriti più attenti non sono caduti nel tranello, ma questo rimane tuttora, soprattutto per le alte garanzie che sembra avere. Qualcuno ha parlato dell’opportunità di un altro Concilio (Vaticano III), ma sarebbe stato più urgente aver messo tutte le proprie forze a far valere il Vaticano II, che è una pietra miliare nella storia della Chiesa, un tesoro riscoperto dopo due millenni e del cui contenuto profondo non ci si è ancora resi conto. Quanto è preziosa per questo l’opera di chi si preoccupa di tenere desto il messaggio conciliare.
- Dopo due secoli dalla riscoperta della democrazia laica, la “Chiesa” non si è ancora o non ha voluto rendersi conto che il “potere”, l’“organizzazione” sono esigenze insite nella stessa convivenza umana. Si potrebbe per questo arrivare a dire che l’autorità viene da Dio, se non che sembra più normale, più logico che questi abbia rilasciato all’essere ragionevole il compito di scegliersi l’ordinamento che crede più opportuno per una sua felice realizzazione nel tempo che sembra quella del coinvolgimento di tutte le forze presenti nell’alveo comunitario, dalle prime alle ultime. Da qui è ovvio che la libera circolazione delle proposte, il confronto delle opinioni, il dialogo degli uni con gli altri è indispensabile e insostituibile per il vaglio delle scelte migliori e più opportune. Per questo il pluralismo ideologico, e nel caso teologico, non è un hobby o un cataclisma, ma un comma ineludibile, quindi irreversibile di una convivenza responsabile e moderna. Diversamente si va incontro al dommatismo, quindi al dispotismo, alla dittatura. Il pluralismo sta a indicare appunto che la ricerca delle giuste soluzioni, delle verità su cui aggrapparsi, non è arrivata al termine e nessuno sa quando potrà arrivarci. Ognuno ha diritto a farsi avanti, a dare le sue risposte legittime, ma sono sempre e solo occasionali, provvisorie, relative al grado di maturità spirituale e culturale del momento in cui vive, perciò mai ultime o definitive, “perfette” se si vuole, ma sempre perfettibili. Una chiarificazione sensazionale che ha reso più pacifica e confortevole l’umana convivenza, ma anche cui la Chiesa si è messa a fare opera di disturbo, appellandosi a una “rivelazione” che non sembra aver ben compreso perché la fa coincidere con il pensiero civile e religioso, ossia la cultura del popolo ebraico, pure essa inevitabilmente “relativa”, e si mette a dipingere il pluralismo come anarchismo, il relativismo come nichilismo. Allo stesso modo chiama razionalismo la razionalità e laicismo, o peggio ateismo, la laicità, ma è evidente che si tratta di osservazioni puramente funzionali. Per fortuna, grazie al coraggio di taluni dei credenti, in primo luogo i redattori di ADISTA, non mancano quelli che si incaricano di farglielo notare. Come si fa a non essergliene grati?
Una cordiale abbraccio a tutti,
Ortensio da Spinetoli
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!