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GUARDARE IN FACCIA LA REALTÀ

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 87 del 06/12/2008

«La sofferenza può essere via alla beatitudine?

Ma mi dibatto fra dolori per le ossa, insonnia dovuta al cortisone, depressione e una terribile debolezza che rende problematico ogni movimento.

Come è difficile, Signore, sentire il tuo invito alla beatitudine in queste circostanze!

Mi sembra sbagliato pensare e dire che quello che accade è volontà di Dio sicché meriti il nostro detto rassegnato «sia fatta la volontà di Dio!». Per carità: è il detto che Gesù ci ha insegnato nel Padre e dunque prezioso e santo. Ma che cosa è la volontà di Dio? È quello che accade?

È molto difficile pensare che la volontà di Dio sia semplicemente quello che accade: possono essere volontà di Dio i cinquanta milioni di morti della seconda guerra mondiale? E perché il mio tumore – per saltare a un piccolo fatto personale – dovrebbe essere volontà di Dio?

Le domande come si sa sono infinite e senza risposta: nel libro di Giobbe Dio loda Giobbe che ha rifiutato le spiegazioni dei suoi mali proposte dai suoi amici, ma alla fine nega a Giobbe ogni spiegazione: «Dove eri tu...».

Dopo la Shoah ci sono teologi che hanno messo in discussione l’onnipotenza di Dio: «se fosse dav-vero onnipotente non avrebbe potuto consentire...». Si fa strada l’immagine di un Dio che ha rinunciato alla sua onnipotenza? Ma come è possibile immaginare una rinuncia volontaria all’onnipotenza di fronte a uno scempio di milioni di esseri umani, che si sarebbe potuto impedire con l’esercizio di quell’onnipotenza?

Ci rendiamo semplicemente conto che le categorie della nostra razionalità sono del tutto inutilizzabili e che siamo di fonte alla alternativa radicale: o accettare e valorizzare quel tanto (o poco) che la fede ci offre o arrivare alla negazione radicale.

In quello che la fede ci offre il dato fondamentale è che il Dio incarnato partecipa al dolore del mondo e alla sofferenza dell’uomo: partecipa al dolore umano fino al punto di accettare liberamente la morte in croce.

Dunque non siamo soli e il fatto che Dio partecipi in maniera così intensa al dolore ha un significato e un valore che non sappiamo definire ma che intuiamo grande e profondo.

Si può concepire questa partecipazione come sacrificio offerto a Dio Padre come prezzo, come riscatto dei peccati degli uomini? Non mi sembra.

Quello che è certo è che due cose dell’esperienza umana Dio ha mostrato di condividere fino in fondo: il dolore e l’amore.

Deve esserci un nesso stretto fra il dolore e l’amore. Non solo nel senso che l’amore è disposto a pagare il prezzo del dolore, ma forse in un senso più profondo: che nell’amore vi è sempre sacrificio di sé, lacerazione, un dolore intrinseco all’amore stesso. L’amore è sempre consapevole del suo proprio limite e del limite dell’amato. Questo è – mi sembra – il nesso più profondo e inscindibile fra l’amore e il dolore.

Ma se si accetta l’idea che quello che accade non è necessariamente la volontà di Dio, perché il rapporto di Dio con il male del mondo resta incomprensibile e insondabile all’uomo («Dove eri tu...»), allora ne deriva che la volontà di Dio che dobbiamo cercare e chiedere è qualcosa d’altro; è qualcosa che non possiamo solo subire o accettare ma dobbiamo inventare e costruire giorno per giorno, ora per ora. Perché in definitiva la volontà di Dio è la nostra risposta agli eventi.

Nel modo di rispondere all’evento si fa o non si fa la volontà di Dio e una visione realistica, calma, fiduciosa dell’evento mi sembra la premessa fondamentale, sul piano umano e sul piano spirituale, per una risposta costruttiva.

Vedere la realtà, guardarla in faccia, non fingere, non illudersi; non chiedersi: perché a me? Non attribuire a Dio l’accaduto. Guardare laicamente all’evento è la premessa per una risposta all’evento secondo la volontà di Dio».

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