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Quale democrazia?

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 51 del 09/05/2009

Mentre si avvicinano alcuni importanti appuntamenti elettorali e referendari sembra crescere nell’opinione pubblica, anche in quella più consapevole, un atteggiamento di disinteresse, rifiuto e quasi disgusto. Tutto ciò è molto triste e grave anche perché si tratta di un atteggiamento non del tutto immotivato. Il dibattito politico è ridotto ai minimi termini, a polemica e propaganda. La classe politica gode di generale disistima. Il cittadino medio non si aspetta nulla dalla politica (salvo - spesso - un favore personale). Le parole della politica sono usurate; e prevale il linguaggio dello spettacolo e della pubblicità.

In un piccolo, lucidissimo libro (La Malpolitica, Di Girolamo ed, euro 5,90) Rocco d’Ambrosio e Rosa Pinto, un teologo e una psichiatra, descrivono la situazione e i pericoli di oggi. Si chiedono: “Il nostro Paese sta vivendo una riedizione del fascismo? Quella attuale è una forma di dittatura?”. E rispondono: “Sull’argomento è bene intendersi: il caso attuale, per quanto presenta delle affinità col ventennio mussoliniano, non si identifica pienamente con esso, ma si caratterizza invece come una dittatura morbida, o l’avvento di un mostro mite. Essa va intesa come il tentativo di conservare un’apparente e formale democrazia, ma di introdurre pesantemente una sostanziale dittatura, specie in termini di libertà di espressione, di controllo dei mass-media, di gestione delle risorse pubbliche, di amministrazione della giustizia, di libertà dei sistemi di controllo, di ruolo indipendente e sovrano del parlamento”. Giuseppe Dossetti, nel 1994, ammoniva che il sistema politico del Paese “attraverso una manipolazione mediatica dell’opinione, può evolversi in un principato più o meno illuminato con coreografia medicea (trasformazione appunto di una grande casa economico-finanziaria in Signoria politica)”.

Tutto ciò è in larga misura avvenuto; e accadrà anche di peggio se i cittadini onesti e consapevoli, capaci di generosità e di passione civile, si lasceranno prendere dallo scoraggiamento o si limiteranno a rivendicazioni e polemiche più o meno intestine.

Non sarà opera di pochi giorni né di pochi mesi, ma sarebbe utile ricostruire e diffondere un’idea di democrazia partecipata, ispirata a forti valori civili, vissuta con passione e rigore morale. Non dobbiamo disperare: anche oggi, nonostante tutto, ci sono amministratori locali che rischiano la vita per resistere alle mafie e alla corruzione, politici a tutti i livelli che dedicano la vita alla vita della polis rinunciando a comodità e guadagni. E ci sono tanti cittadini che non si sono lasciati prendere dal qualunquismo e aspettano con ansia una politica migliore, la democrazia che non c’è, come direbbe Paul Ginsborg.

Ha ragione Zagrebelsky: è urgente imparare democrazia. Anzi ripensarla nell’oggi delle tecnologie, della globalizzazione, della comunicazione e dei condizionamenti subliminali. Viverla attraverso la partecipazione a partiti davvero democratici, a sindacati trasparenti, a “corpi intermedi” vitali e non puramente clientelari, a forme associative dinamiche e creative.

Come è successo che tutta l’articolazione della partecipazione politica democratica che avevamo immaginato trenta o quarant’anni fa (dai consigli di quartiere alle regioni…) è diventata spesso una struttura morta, se non ostile e corrotta? Com’è accaduto che cercavamo la semplificazione dello scenario politico e invece ne abbiamo creato uno molto più complesso che ha fatto violenza alla rappresentanza e alla partecipazione democratica e ha creato dei mostri (e che sarebbe anche più instabile se non ci fosse la forza del principato).

È avvenuto perché abbiamo pensato alle strutture e alle regole esteriori piuttosto che alla formazione delle persone e alla elaborazione e diffusione delle idee.

Certo la formazione delle coscienze esige tempi lunghi. Ma ci sono anche circostanze in cui l’urgenza stessa della realtà assume un ruolo maieutico, fa emergere idee, coscienza e generosità. È avvenuto così in altre circostanze, per esempio nella difficile stagione alla fine della seconda guerra mondiale. Anche oggi c’è un’emergenza democratica, solo che pochi se ne accorgono e molti fingono di non vedere. Il piccolo libro sulla Malpolitica conclude così: “Resta fermo tuttavia il fatto che l’attuale crisi vada risolta a partire obbligatoriamente da una ripresa di tensione etica e culturale… Forse ci attendono tempi davvero difficili e dovremmo riprendere la lezione dei padri costituenti che resistettero al fascismo con un costante esercizio di ragione, diritto, moralità. Li accompagnava certamente la convinzione che, come scrive Italo Calvino, la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa di esistere”. Ne riparleremo. (ab)

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