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SE LA MEMORIA NON MUORE. A 30 ANNI DAL MARTIRIO, IL MONDO RICORDA MONS. ROMERO

Tratto da: Adista Notizie n° 28 del 03/04/2010

35530. SAN SALVADOR-ADISTA. Se, assassinando mons. Oscar Romero, i suoi nemici pensavano di poter ucciderne anche la memoria, non potevano sbagliarsi di più. Di anno in anno, il numero di quanti celebrano il martirio dell’arcivescovo non fa che aumentare, nel Salvador e nel mondo intero, come testimoniano le innumerevoli iniziative per il trentesimo anniversario della sua morte. Nel Salvador, dove i governi di Arena (il partito fondato dal maggiore Roberto D’Abuisson, riconosciuto dalla Commissione per la Verità come mandante dell’assassinio) hanno tentato per vent’anni di seppellire il ricordo di Romero sotto una coltre di silenzio, è accaduto finalmente quello che il popolo ha atteso per tanto tempo: il riconoscimento della responsabilità storica dello Stato salvadoregno nell’omicidio dell’arcivescovo, secondo quanto richiesto - sulla base delle raccomandazioni rivolte dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (Cidh) - dalla Concertación Mons. Romero, il cartello di associazioni promotore della Campagna “Verità, giustizia e speranza”, il cui obiettivo è quello di esigere e verificare il rispetto delle tre raccomandazioni della Cidh sul caso Romero (indagini, processo e sanzione dei mandanti ed esecutori del crimine; atti di riparazione nei confronti della famiglia di Romero, della Chiesa e della società salvadoregna; adeguamento della legislazione nazionale alla Convenzione americana sui diritti umani, con l’abrogazione della legge di amnistia promulgata nel 1993).

Non sono state accolte, tuttavia, le proposte che la Concertación aveva rivolto al presidente Mauricio Funes in una lettera rimasta senza risposta: che, cioè, tale riconoscimento avvenisse nell’atrio della cattedrale, in quanto luogo storico dell’incontro tra mons. Romero e il popolo salvadoregno, e, soprattutto, che le vittime, anziché limitarsi ad ascoltare, potessero prendere la parola per esprimere le proprie aspettative. Il presidente ha scelto invece la sede dell’aeroporto internazionale di Comalapa, dove, il 24 marzo, ha chiesto perdono “alla famiglia dell’arcivescovo e anche al popolo salvadoregno che è stato, è e sarà la grande famiglia di mons. Romero, come pure alle migliaia di famiglie che sono state colpite da una violenza inaccettabile”. All’aeroporto il presidente ha anche inaugurato un grande murale di 2 metri per 6 con le scene più importanti della vita dell’arcivescovo, come “‘biglietto da visita’ per gli stranieri e anche per i compatrioti che fanno ritorno nel Paese, in modo che conoscano questa esperienza e questa eredità storica”. In precedenza – fatto altrettanto storico – l’Assemblea legislativa aveva approvato il decreto che istituisce il 24 marzo come Giornata nazionale di mons. Romero. E, ancora prima, il governo aveva annunciato l’impegno a dare seguito alle raccomandazioni della Cidh (completamente disattese dai governi precedenti).

“Così uccidemmo Romero”

Proprio riguardo al chiarimento del caso Romero, nuovi dati emergono da una lunga e impressionante intervista, dal titolo “Así matamos a Monseñor Romero”, concessa al giornale salvadoregno on line El Faro (www.elfaro.net) dall’ex capitano Álvaro Rafael Saravia, braccio destro del maggiore D’Abuisson e anche lui coinvolto nell’omicidio dell’arcivescovo. Saravia, che nel 2004 è stato condannato negli Stati Uniti, in un processo civile svoltosi a Fresno, a versare ai familiari di Romero 10 milioni di dollari (v. Adista n. 63/04) oggi vive nascosto in un imprecisato Paese “in cui si parla spagnolo”, e non a caso: se si esclude Amado Garay, l’autista della macchina che ha trasportato il killer, che oggi vive negli Usa sotto il programma di protezione dei testimoni, altre cinque persone coinvolte a vario titolo nel crimine sono tutte morte, una per suicidio, le altre assassinate. E non solo nascosto, ma in condizioni di profonda miseria: “La peggiore disgrazia del mondo, la povertà!”. “Come avrebbe potuto non diventare guerrigliero – dice oggi, quando quella povertà la soffre sulla sua stessa carne – un uomo che vedeva i propri figli morire di fame? (...). Se un giorno potessi fare qualcosa per questa gente lo farei. Anche prendere le armi”.

L’ex capitano riconosce la sua partecipazione al crimine (“Morirò perseguitato da quanto è successo”): fu lui a consegnare agli assassini l’auto, una Volkswagen Passat rossa, e fu ancora lui a versare i soldi al killer, soldi prestati a D’Aubuisson da Eduardo Lemus O’Byrne, un noto imprenditore salvadoregno, già presidente dell’Associazione Nazionale dell’Impresa Privata, che oggi nega tutto. Ma Saravia allarga anche il quadro delle responsabilità, e afferma che il killer - un membro del corpo di sicurezza di Mario Molina, figlio dell’ex presidente Arturo Armando Molina (’72-’77), e oggi ritirato a vita privata - vive ancora oggi nel Salvador. E “lui sa”.

Dichiarazioni, quelle di Saravia, che, come ha dichiarato Marisa D’Aubuisson - la sorella del maggiore da sempre devota all’arcivescovo - “ci daranno ora altri argomenti per chiedere alla Procura di istruire un processo”. Quanto alle responsabilità di suo fratello nel crimine, Marisa D’Abuisson racconta, sempre a El Faro, di avergliene chiesto conto non appena erano cominciato a circolare le voci sul suo coinvolgimento. E il maggiore aveva risposto: “A quello che ha ammazzato questo figlio di puttana faranno un monumento”. In ogni caso, come evidenzia El Faro, quelle voci hanno senz’altro giovato alla carriera di D’Abuisson, consolidandone la leadership nelle file dell’estrema destra e trasformandolo in “icona della lotta anticomunista”: fondatore di Arena, il partito che ha governato il Paese per 20 anni, D’Abuisson ha anche ricoperto, dall’‘82 all’‘85, la carica di presidente dell’Assemblea Costituente ed ha conservato il suo posto di deputato fino alla sua morte, nel ‘92, per un tumore alla gola.

La memoria viva di mons. Romero

Al di là delle iniziative statali, molte altre attività – liturgiche, teologico-pastorali e culturali, alcune delle quali dirette esplicitamente ai giovani – si sono svolte per iniziativa della Fundación Monseñor Romero, sul tema “Monsignor Romero, speranza delle vittime”: tra le altre, la “processione della luce” seguita da una messa nell’atrio della cattedrale, il 20 marzo; un festival artistico il 23 marzo; un Congresso di teologia dal titolo “A 30 anni dal martirio di mons. Romero, conversione e speranza”, organizzato dal Centro Monsignor Romero dell’Università Centroamericana José Simeón Cañas (Uca), con gli interventi dei teologi Xavier Alegre, Gustavo Gutiérrez, María Clara Lucchetti, José Comblin, Luiz Carlos Susin, Jon Sobrino, dal 18 al 23 marzo e, negli stessi giorni, una serie di incontri nella cripta della cattedrale animati da diverse comunità ecclesiali; infine, il 24 marzo, una concelebrazione ecumenica in memoria di Romero nella cappella dell’Hospitalito, dove l’arcivescovo venne assassinato, seguita da una processione diretta alla cattedrale.

Ricco anche il programma di iniziative in Italia, a partire dalle tradizionali celebrazioni romane promosse dal Comitato romano Oscar Romero e organizzate dal Cipax (non ancora concluse nel momento in cui scriviamo) su cui avremo occasione di tornare. (claudia fanti)

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