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GUATEMALA: COMUNITÀ INDIGENE CONTRO L’ENEL. «AIUTATECI A SCONGIURARE UN MASSACRO»

Tratto da: Adista Notizie n° 26 del 02/04/2011

36076. COTZAL-ADISTA. Una vergogna italiana targata Enel: così i rappresentanti del “Consejo de Juventudes Maya, Garifuna y Xinca de Guatemala” descrivono il conflitto esploso nel municipio guatemalteco di Cotzal, nel Quiché, tra l’Enel Green Power (la società del gruppo Enel che gestisce il business relativo alle energie rinnovabili) e la comunità maya ixil di San Felipe Chenla, mobilitata dal 3 gennaio scorso contro la costruzione da parte dell’impresa italiana della centrale idroelettrica di Palo Viejo. La comunità ixil, amministrata secondo le usanze indigene maya da un consiglio di anziani, ha bloccato la strada per impedire l’arrivo dei camion con i materiali per la costruzione della centrale, decisa a mantenere la protesta fino a quando l’Enel non si impegnerà in un dialogo serio. Il tutto nel rispetto dell’articolo 45 della Costituzione guatemalteca, che riconosce il diritto della popolazione alla resistenza pacifica qualora lo Stato agisca contro il suo interesse.

Nei mesi scorsi, riferisce il “Consejo de Juventudes”, l’Enel aveva ricevuto l’autorizzazione per la costruzione della centrale direttamente dal sindaco del municipio di Cotzal, José Perez Chen, attualmente latitante, contro cui pesa un ordine di cattura per i reati di esecuzione extragiudiziale, abuso d’autorità e istigazione a delinquere. Né il sindaco né l’impresa italiana hanno comunque rispettato le procedure previste dalla Convenzione 169 dell’Oit (o Ilo, Organizzazione Internazionale del Lavoro), ratificata dal Guatemala, che stabilisce l’obbligo di consultazione delle comunità indigene prima dell’avvio di qualunque attività nelle loro terre e il divieto di dare inizio a un qualsiasi progetto senza previo accordo con le comunità. L’Enel Green Power, pienamente supportata dall’ambasciata italiana – «gli Stati al servizio delle multinazionali», commenta Aldo Zanchetta, dando la notizia sul Mininotiziario America Latina dal Basso (n. 13/11) – non solo si è rifiutata di dialogare con la comunità ixil, ma, denunciano gli indigeni, ha seguito la via delle intimidazioni e delle minacce, auspicando l’intervento delle autorità guatemalteche per ristabilire “lo Stato di diritto” in difesa dei propri investimenti. E così il 18 marzo scorso agli uomini, alle donne e ai bambini di San Felipe Chenla è sembrato di ripiombare nell’incubo del conflitto armato interno, quando l’altopiano maya era teatro di inenarrabili orrori: 500 soldati in assetto da guerra e forze antisommossa hanno circondato la comunità, mentre tre elicotteri civili e due militari l’hanno sorvolata per tutto il pomeriggio a bassa quota. Grazie anche a una tempestiva attività di denuncia tra il Guatemala e l’Italia, l’esercito si è per il momento ritirato, ma la tensione resta altissima. E il governo guatemalteco ha diffuso un minaccioso comunicato in cui condanna le azioni, definite fuori legge, di alcune organizzazioni “radicali”, promettendo punizioni e arresti: una promessa del resto totalmente in linea con la politica di criminalizzazione delle comunità indigene portata avanti con forza sempre maggiore dal governo di Alvaro Colom in difesa degli investimenti delle multinazionali. «Responsabilizziamo l’Enel, il municipio di San Juan Cotzal e lo Stato guatemalteco per qualunque attentato che possano soffrire i nostri leader, le nostre autorità comunitarie e la popolazione in generale», hanno dichiarato le comunità di Cotzal in una lettera aperta alla comunità nazionale e internazionale, all’ambasciatore dell’Italia in Guatemala e al popolo italiano. Nella speranza che non si ripeta quanto avvenuto nel 1982 in seguito alla costruzione della diga Chixoy in Verapaz, appaltata ad un consorzio controllato dall’impresa italiana Impregilo, allora Impresit-Cogefar (progetto il cui costo finale si rivelò del 300% superiore alle previsioni, determinando un incremento del debito pubblico del Paese centroamericano): prima del completamento dei lavori, gli squadroni della morte guidati dal generale Rios Montt massacrarono 480 uomini, donne e bambini del villaggio Rio Negro che si opponeva allo sfollamento forzato. (claudia fanti)

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