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Quella ribellione che fa la storia. A vent’anni dall’insurrezione zapatista

Tratto da: Adista Documenti n° 3 del 25/01/2014

DOC-2588. SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS-ADISTA. Venti anni sono passati da quel 1° gennaio del 1994 in cui le comunità indigene del Sudest messicano, organizzate nell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, fecero la loro irruzione sulla scena messicana e mondiale, esprimendo il loro “Ya basta!” e dando avvio alla loro avventura ribelle di giustizia e libertà. Molta acqua è passata da allora sotto i ponti, tra annunci di morte dell’esperienza rivoluzionaria e successive, puntuali, “risurrezioni”: certo è che la salute del movimento zapatista è tutt’altro che malferma, come stanno a indicare le originali forme autonome di governo create dalle comunità indigene, secondo una concezione del potere fedele alla democrazia di base (dall’esercizio della giustizia all’attivazione di sistemi di salute ed educazione ai margini del governo statale e federale, dall’organizzazione della produzione alla creazione di reti di solidarietà in tutto il mondo).

Avevano quindi motivo di festeggiare, le comunità, celebrando il nuovo anno, tra musiche e danze, nei cinque Caracoles zapatisti (le strutture organizzative create nel 2003 in sostituzione della precedente forma degli Aguascalientes e rette dalle Giunte di Buon Governo), ad Oventic, La Garrucha, La Realidad, Roberto Barrios e Morelia: una grande festa a cui hanno preso parte anche i partecipanti agli ultimi corsi (a cui si sono iscritte persone provenienti da tutto il Messico e da diversi altri Paesi, Italia compresa) offerti dalla Escuelita zapatista creata dalle comunità autonome e aperta ad ospiti di ogni Paese (con tanto di guida pratica - o “manuale di cattive maniere” o “manuale di sopravvivenza” - scritta dal subcomandante Marcos per spiegare, per esempio, per quale ragione non si debbano portare doni alle famiglie presso cui si alloggerà o perché non sia richiesto alcun curriculum, ma solo disponibilità ad ascoltare e ad osservare, anziché a parlare e a giudicare, e un cuore generoso; http://enlacezapatista.ezln.org.mx). 

Patrimonio dell’umanità

«Fa freddo come vent’anni fa e, come allora, anche oggi troviamo riparo sotto una bandiera, quella della ribellione», ha dichiarato il subcomandante Marcos in un comunicato dal titolo “Quando i morti tacciono a voce alta”. Una bandiera impugnata da atei e credenti, ha sottolineato Marcos rendendo omaggio, a quasi due anni dalla scomparsa, alla religiosa María David Espejo, nota come La Chapis, già collaboratrice di mons. Samuel Ruiz e vicinissima alle comunità indigene, e ricordando di aver ascoltato dalla bocca di un prete e non di un teorico ateo marxista-leninista la spiegazione più brillante della distruzione operata dal neoliberismo globalizzato. Quella ribellione, spiega, non è patrimonio degli zapatisti, ma dell’umanità intera. E va celebrata, «in ogni parte, tutti i giorni e a ogni ora», perché «la ribellione è anche una celebrazione». Una ribellione che, precisa Marcos, «quando è individuale è bella», ed è materia di biografie, ma «quando è collettiva e organizzata è terribile e meravigliosa» ed è «quella che fa la storia». E conclude: «Voi chiedete: “Che cosa ha fatto l’Ezln per le comunità indigene?”. E noi rispondiamo con la testimonianza diretta di decine di migliaia di nostri compagni e compagne».

Lo ha riconosciuto anche il governatore Manuel Velasco Suárez: «Il contributo delle comunità indigene zapatiste ai diversi processi di cambiamento statali e nazionali - ha dichiarato in un comunicato stampa - è indiscutibile (…). Il Chiapas deve al movimento zapatista innumerevoli cambiamenti». E se, come ha evidenziato su La Jormada del 2 gennaio lo scrittore messicano Hermann Bellinghausen, «anche il suo predecessore Juan Sabines Guerrero amava rilasciare dichiarazioni simili senza che avessero alcuna conseguenza pratica», perlomeno quella dell’attuale governatore «contraddice la corrente di opinione filogovernativa secondo cui l’insurrezione sarebbe stata inutile e le comunità indigene starebbero peggio di prima». Cosicché, ironizza Bellinghausen, gli zapatisti sarebbero pazzi a celebrare - «numerosi, rinnovati e contenti» - i venti anni delle loro imprese «quando (se si crede alle versioni correnti) dovrebbero invece lamentarsi».

A evidenziare lo straordinario ruolo esercitato dal movimento zapatista è stato anche il vescovo di Saltillo mons. Raúl Vera López, che la realtà del Chiapas la conosce bene, essendovi stato inviato da Roma, nel ’95, come coadiutore con diritto di successione del vescovo Samuel Ruiz, con il compito di normalizzare la diocesi San Cristóbal de las Casas, salvo poi venire improvvisamente trasferito (e spedito all’altro capo del Paese, a Saltillo, ai confini con gli Stati Uniti, nel 2000), quando, anziché rimettere mons. Ruiz al suo posto, si era rivelato totalmente in sintonia con lui. «Il principale contributo del movimiento zapatista – ha dichiarato a La Jornada (2/1) – è stato quello di portare alla ribalta il mondo indigeno, non solo in Messico ma in tutto il mondo», mostrando «una radiografia del conflitto tra la propria ricerca di giustizia e la chiusura della classe politica messicana», con le conseguenze che deve attendersi chi «osa dire basta», e rivelando come nessuna democrazia sia possibile senza sforzi e sacrifici.

Di seguito, tra i tanti documenti pubblicati in occasione del 20° anniversario dell’insurrezione zapatista, pubblichiamo il commento di Aldo Zanchetta, della Fondazione Neno Zanchetta, tra i massimi esperti dei movimenti indigeni e sociali dell’America Latina (www.kanankil.it), e la lettera di Sergio Rodríguez Lascano, direttore della rivista zapatista Rebeldía, all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (http://enlacezapatista.ezln.org.mx). (claudia fanti)

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