SUI LEFEBVRIANI, LE PALESI CONTRADDIZIONI DEL VATICANO
Tratto da: Adista Notizie n° 39 del 08/11/2014
37846 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Sembra dominato da un certo strabismo l’atteggiamento adottato dal Vaticano nei confronti del movimento tradizionalista scismatico dei lefebvriani. Se, da una parte, la Congregazione per la Dottrina della Fede – in continuità con il volere di papa Benedetto XVI, grande promotore del dialogo e della reintegrazione della Fraternità San Pio X nella Chiesa – riprende i contatti e il dialogo (v. Adista Notizie n. 34/14) e si mostra “aperturista” o quanto meno possibilista sull’individuazione di un punto d’incontro, papa Francesco pare invece intenzionato a tagliare le gambe al movimento, come dimostra il divieto di celebrare messa notificato alla comunità lefebvriana di Albano Laziale (sede italiana della Fraternità).
Il dialogo con la Fraternità di San Pio X, fondata da mons. Marcel Lefebvre, sembrava giunto al capolinea con le dimissioni dello stesso Ratzinger, che durante il suo pontificato aveva fatto di tutto – invano – per reintegrare il movimento nella Chiesa (v. Adista Notizie nn. 108/09; 17, 55, 67, 69, 76, 91 e 97/11; 1, 6, 14, 20, 25, 26 e 29/12; 2 e 4/13). Francesco non aveva ripreso in mano la questione, e nell’estate 2013, poi, pareva che fossero gli stessi lefebvriani a gettare la spugna, rassegnandosi all’impossibilità di una riconciliazione: una lettera firmata da tre dei quattro vescovi della Fraternità chiariva infatti che si abbandonava (almeno ufficialmente) qualsiasi speranza di pace con Roma (v. Adista Notizie n. 26/13), dal momento che non vi era alcuna intenzione di accettare le acquisizioni della Chiesa conciliare e post-conciliare.Poi, una svolta: il 23 settembre scorso in un incontro definito “cordiale” tra il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, card. Ludwig Gerhard Müller – che è anche presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, deputata proprio al dialogo con la Fraternità – e il superiore lefebvriano Bernard Fellay, sono stati affrontati, recitava il comunicato stampa del Vaticano, «problemi di natura dottrinale e canonica». Si trattava di fare il punto della situazione, dal momento che era il primo incontro tra Müller e Fellay (il suo interlocutore era sempre stato il predecessore, card. William Levada, e con la rinuncia al pontificato di papa Ratzinger dal 2013 non vi erano più stati incontri ufficiali). «Si è inteso – aggiungeva il comunicato – di procedere per gradi e in tempi ragionevoli verso il superamento delle difficoltà e l’auspicato raggiungimento della piena riconciliazione» (v. Adista Notizie n. 34/14).
La Curia guarda a “destra”…
A rafforzare l’ipotesi di una piena e ufficiale ripresa dei contatti da parte del “figlioccio” di Ratzinger card. Müller con gli scismatici è arrivata, alla fine del Sinodo sulla famiglia, un’intervista, piuttosto ambigua, rilasciata da mons. Guido Pozzo, segretario di Ecclesia Dei (e quindi vice di Müller) al settimanale francese Famille Chrétienne (20/10). «Le riserve o le posizioni della FSSPX su alcuni aspetti che non rientrano nel dominio della fede ma che riguardano temi pastorali o d’insegnamento prudenziale del Magistero – vi si legge – non devono essere necessariamente ritirati o annullati dalla Fraternità». Pozzo, in sostanza, ridimensiona il problema riducendo i suddetti «problemi di natura dottrinale e canonica» a mere questioni pastorali o al massimo di «insegnamento prudenziale». Non solo: il segretario di Ecclesia Dei entra nello specifico dei documenti conciliari, distinguendo tra le Costituzioni, che hanno «carattere di una dichiarazione dottrinale, anche se non c’è stata una definizione dogmatica», e le Dichiarazioni – come quella sulla libertà religiosa, sulle religioni non cristiane, e il decreto sull’ecumenismo – che «hanno un grado di autorità e un carattere impegnativo diverso e inferiore».
Pozzo «introduce questa infelice argomentazione con un “non c’è alcun dubbio” – argomenta preoccupato il liturgista Andrea Grillo sul suo blog (grilloroma.blogspot.com) – ma il dubbio su quanto egli afferma non solo è grande, ma addirittura è in grado di rinvenire un contrasto tra le sue parole e le evidenze più importanti maturate nella Chiesa cattolica in questi 50 anni», tra le quali il fatto che il «livello “pastorale” del Vaticano II è propriamente il livello dottrinale più decisivo e più irrinunciabile. Proprio a questo mons. Pozzo sembra voler rinunciare nel dialogo con i negatori e detrattori del Concilio Vaticano II. Si lascia condizionare dalla impostazione distorta degli interlocutori e cade, forse volentieri, nella loro trappola».
Offrendo una versione “light” del Concilio, insomma, la Curia sembrerebbe disposta a consentire ai lefebvriani un’adesione formale alla Dei verbum o alla Lumen Gentium, e allo stesso tempo il rifiuto della libertà di coscienza, dell’ecumenismo o delle religioni non cristiane.
…e papa Francesco a “sinistra”?
Nel frattempo, Francesco si muove autonomamente in modo diametralmente opposto. Mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano Laziale e molto vicino al papa in quanto segretario del C9, il gruppo di nove cardinali che lo consigliano, nonché ecclesiologo di fama, con una notificazione ufficiale ha infatti vietato ai lefebvriani del distretto italiano con sede presso Albano (gli stessi che, nel 2013, celebrarono i funerali del gerarca nazista Erik Priebke) di celebrare messe e amministrare sacramenti proprio perché non incardinati nella Chiesa. Non solo: Semeraro ha anche diffidato i fedeli locali dal partecipare (magari in buona fede) a riti e liturgie, minacciandoli della stessa scomunica latae sententiae che pesa dal 1988 sui lefebvriani. Nella notificazione, datata 14 ottobre e pubblicata sia sul quotidiano Avvenire che sul sito della diocesi di Albano, Semeraro spiega che il suo intervento nasce da «richieste di chiarimento circa la celebrazione dei Sacramenti presso la “Fraternità San Pio X” di Albano Laziale» e precisa che «la suddetta “Fraternità” non è una istituzione (né parrocchia, né associazione) della Chiesa cattolica» anche dopo il ritiro della scomunica ai quattro vescovi della Fraternità, come ribadito da Benedetto XVI nel motu proprio Ecclesiae Unitatem del 2 luglio 2009: «La remissione della scomunica è stata un provvedimento nell’ambito della disciplina ecclesiastica per liberare le persone dal peso di coscienza rappresentato dalla censura ecclesiastica più grave. Ma le questioni dottrinali, ovviamente, rimangono e, finché non saranno chiarite, la Fraternità non ha uno statuto canonico nella Chiesa e i suoi ministri non possono esercitare in modo legittimo alcun ministero». Semeraro, che tra le righe diffida i preti lefebvriani dal presentarsi pubblicamente come rappresentati del clero cattolico, prosegue ricordando una nota pastorale del suo predecessore ad Albano, mons. Dante Bernini: «I fedeli cattolici – recitava il documento – non possono partecipare alla Messa, né richiedere o/e ricevere sacramenti dalla o nella Fraternità. Agire diversamente significherebbe rompere la comunione con la Chiesa cattolica».
Naturalmente la misura ha suscitato l’immediata reazione del distretto italiano della Fraternità, che sul sito internet pubblica un aggressivo comunicato, in cui si chiede a mons. Semeraro «come concilia le sue proibizioni con le dichiarazioni ufficiali della Santa Sede, che, con risposta della Commissione Ecclesia Dei del 18 gennaio 2003, diceva che è possibile soddisfare il precetto della Messa domenicale “assistendo ad una messa celebrata da un prete della Fraternità San Pio X”; o come pensa che si possa “rompere la comunione con la Chiesa” andando a Messa dalla Fraternità San Pio X, quando la stessa Santa Sede non ritiene più fuori dalla comunione nemmeno i vescovi della medesima Fraternità; o se pensa che presunte irregolarità canoniche equivalgano a una rottura della comunione». Non solo: i lefebvriani imputano al vescovo l’organizzazione, lo scorso gennaio, di una veglia ecumenica nella cattedrale «per pregare con persone che di certo non sono “in comunione con la Chiesa Cattolica” come una pastora evangelica e un vescovo ortodosso (ortodossi cui nel 2009 ha consegnato la chiesa di San Francesco a Genzano, costruita dai nostri padri per il culto cattolico), mentre i suoi fedeli non possono pregare con altri cattolici alla Messa della Fraternità», nonché del “Primo forum dei cristiani omosessuali” (marzo 2014) tenutosi nella Casa dei Padri Somaschi, escludendo invece «chi rimane legato alla Tradizione della Chiesa cattolica». I lefebvriani denunciano «lo stato di grave necessità generale» in cui verserebbe la Chiesa, «dall’indifferentismo ecumenico, per cui si può dare credito a tutte le religioni come se fossero tutte vie di salvezza, abbattendo di fatto il Primo Comandamento di Dio, fino all’adozione di una liturgia che si allontana dall’espressione dei dogmi della Chiesa Romana per diventare semi-protestante e irriverente. Errori che si spingono sempre oltre, come si è visto nell’ultimo Sinodo, dove sotto apparenze di misericordia, si è discusso sulla possibilità di modificare il Sesto Comandamento e di rinunciare nei fatti all’indissolubilità del matrimonio cristiano». E concludono con una dichiarazione di guerra: «Tutti coloro che desidereranno ricevere i sacramenti come la Chiesa li ha sempre amministrati, ricevere un catechismo autentico per i loro bambini, una formazione per gli adulti, una direzione spirituale e un conforto per i malati saranno sempre benvenuti». (ludovica eugenio)
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