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Sul caso Melito, perverse mistificazioni

Sul caso Melito, perverse mistificazioni

Tratto da: Adista Notizie n° 32 del 24/09/2016

«Nell'ultimo numero di Politica c’è una fotografia di un processo contro un partigiano sulla montagna. Da una parte si vede l’imputato dall’altra l’accusatore col dito puntato. Ho preso Francuccio e gli ho chiesto: “Per chi sei te di questi due?”. “Per questo”. E non ce ne importa neanche di sapere quali sulla foto erano i fascisti e quali i partigiani. Sotto la foto non c’era la data. Se fosse di quando ormai le parti erano invertite sceglieremmo nello stesso modo. Da una parte ci sono quelli che hanno il potere dall’altra c’è quello legato. L’incertezza della scelta l’avremmo solo davanti alla foto di due combattenti a armi pari» (Lettera di don Lorenzo Milani a Luciano Ichino, 11 maggio 1959). 

Ci sono le vittime e ci sono gli oppressori, c’è chi esercita la violenza e chi la subisce. Non ci si può sbagliare. Lo si capisce anche senza sapere di chi si tratta. Queste parole di Lorenzo Milani mi sembrano il più degno commento, il contraltare – è il caso di dire – alle dichiarazioni, riportate in questi giorni dai giornali, dei due preti di Melito Porto Salvo, dove si è consumato e protratto per tre lunghissimi anni lo stupro di gruppo di una ragazzina. «Sono tutte vittime – dice don Domenico De Biase – anche i ragazzi». Sarebbero, dunque, secondo il sacerdote calabro, vittime i sette accusati di violenza sessuale di gruppo aggravata – rampolli della malavita locale alcuni, parenti di uomini dell’ordine altri, ma stupratori sodali – equiparabili ad una adolescente fragile. Confondere vittime e carnefici è una perversa mistificazione che ottenebra la verità e che si pone, inevitabilmente, al servizio del più forte. È in questo modo che si è raccontata la storia facendo trionfare i vincitori e umiliando i vinti oltre che nel passato anche nella futura memoria. Si deve constatare che uomini che si dicono cristiani si prestano a simili operazioni. Ancora una volta, uomini di Chiesa dalla parte del potere, di un potere malavitoso e biecamente maschilista per il quale la violenza sessuale non esiste: c’è sempre consenso, provocazione o mercimonio del corpo, come si evince chiaramente dalla dichiarazione di un altro prete di Melito, don Benvenuto Malara: «Purtroppo corre voce che questo non sia un caso isolato. C’è molta prostituzione in paese» (sbaglio, o le prostitute ci precederanno nel Regno dei Cieli?). Preti i cui ragionamenti si confondono con il gorgoglio viscerale della loro gente, guide cieche di altri ciechi di evangelica memoria, caricature grottesche di quei preti che invece portano addosso l’odore delle loro pecore, come li vorrebbe papa Francesco. 

Non contribuisce certo a fare chiarezza la dichiarazione del vescovo di Reggio, mons. Fiorini Morosini, il quale, pur essendosi comportato in maniera lodevolmente pastorale visitando la famiglia della vittima, nell’intervista rilasciata a TG2000 ha annoverato tra le ragioni dell’accaduto anche la «sessualità che viene vista come gioco o divertimento». Quale che sia la visione che si ha della sessualità, la violenza è cosa totalmente diversa! 

Ultima, pesante affermazione, la conclusione di don De Biase: «E poi io credo che certe volte il silenzio sia la risposta più eloquente». A che cosa equivale il silenzio? Mettere a tacere, permettere ai violenti di continuare ad esercitare la loro violenza, ai pregiudizi di radicarsi, alle discriminazioni di perpetrarsi, lasciare che i deboli siano sopraffatti, che la paura regni, che le donne siano sottomesse, che i mammasantissima siano onorati e rispettati, che un padre si rivolga al boss del luogo – prassi ben radicata in caso di ogni necessità! – per far cessare l’abominio invece che alle forze dell’ordine e alla magistratura. Soffocare nel silenzio il grido delle vittime, mettere a tacere lo scandalo.  

Preti docili e addomesticati, altro che sacerdoti di un Dio Altissimo. Il quale, come ricorda il Salmista, «libererà il misero che invoca e il povero che non trova aiuto» (Sal 9,19), «perché il misero non sarà mai dimenticato, la speranza dei poveri non sarà mai delusa» (Sal 72,12).

Anna Carfora è docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale

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