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Una minoranza che cambia le regole

Una minoranza che cambia le regole

Giancarla Codrignani nel giustificare in un lungo testo su Adista le variazioni che saranno introdotte nel testo della Costituzione, se la riforma proposta da Renzi verrà confermata in sede referendaria il 4 dicembre, si, e ci, chiede perché nessuno è riuscito a proporre una sua riforma che facesse tesoro del fallimento dei tentativi precedenti.

Non entro nel merito della riforma, mi limito a verificare che non ci sono le condizioni per introdurla, né in verità, sono convincenti le ragioni addotte per sostenerne l’urgenza.         

Mentre in passato qualche variazione al testo originario è stata introdotta con un consenso generalizzato, questo è mancato, invece, sia nella riforma, approvata, del Titolo V imposta dal centro sinistra, sia al tentativo, fallito, della riforma Berlusconi.

Sottoposte entrambi alla verifica referendaria hanno avuto esiti diversi: approvata a stretta maggioranza - con conseguenze disastrose -  nel 200l la prima, la seconda fu bocciata nel 2006. Si può, quindi, rispondere che forse si è preso atto dell’impossibilità di intervenire, se non per qualche ritocco, non per l’incapacità del Parlamento a legiferare,  ma per l’assenza nel Paese di una comunione d’intenti, condizione necessaria per intervenire correttamente sugli assetti istituzionali della Repubblica.

Mentre è stato possibile, seppure a fatica, governare il Paese non è stato possibile cambiarne in modo soddisfacente le regole istituzionali.

Non si può, infatti, dichiarare  ingovernabile un Paese che è stato governato per decenni dalla Dc, pur se con diversi governanti, e per oltre trent’anni dal craxiberlusconismo, con due soli protagonisti in successione. Sono state approvate un gran numero di leggi per l’ordinaria amministrazione e per l’introduzione di  riforme in tutti i settori e non sempre in meglio.

Ma proprio a questo servono le garanzie costituzionali: per evitare che una minoranza nel Paese, possa cambiare le regole per garantirsi poteri, che quelle vigenti non le consentono di avere.

Può non piacere, ma questa è la democrazia garantita dalla Costituzione vigente.

Sgombrato così il terreno dalle false urgenze, resta la radicale contraddizione che rende irresponsabile approvare una nuova carta costituzionale in assenza di convergenze significative e reali atte a costituire una maggioranza parlamentare espressione di un’altrettanto reale e ampia maggioranza nel Paese.    

Approvata infatti da un Parlamento al limite della costituzionalità, delegittimato dall’opportunismo del partito berlusconiano – prima SI poi NO per divergenze di bassa lega  - e dai conflitti interni del partito democratico, che pure l’ha sostenuta, la nuova Costituzione non risponde a tale criterio. Per di più, se confermata, potrebbe in seguito, con la sua nuova struttura,  legittimare forme di governo autoritario: lo stesso Statuto albertino, concesso per un regno costituzionale, consentì che legittimasse la dittatura fascista. 

Marcello Vigli fa parte delle Comunità Cristiane di Base

* Foto di Massimiliano Mariani. Immagine originale e licenza.

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