
Laudato si', tre anni dopo. Intervista al card. Turkson
Si è conclusa la conferenza internazionale “Saving our common home and the future of life on earth”, promossa il 5 e 6 luglio in Vaticano dal Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale in collaborazione con Global Catholic Climate Movement nel terzo anniversario dell’enciclica Laudato si’. Riportiamo alcuni passaggi dell’intervista rilasciata dal card. Peter Turkson a Agensir.it.
Card. Turkson, fin dall’inizio molto spazio è stato riservato ai giovani e alle comunità indigene. Perché?
Abbiamo voluto coinvolgere i giovani in vista del Sinodo di ottobre; le popolazioni indigene nella prospettiva del Sinodo in Amazzonia nell’ottobre 2019. I primi perché sono non solo il futuro, ma anche il presente del mondo; i secondi perché vivono sulla propria pelle in modo drammatico la crisi ecologica.
Laudato si’ tre anni dopo. Dunque?
In questi tre anni abbiamo avuto modo di viaggiare in molti luoghi del mondo e di parlare della sfida-crisi ambientale ed ecologica in diverse realtà, università e Chiese. Abbiamo discusso a tutti livelli e la risposta ricevuta non è stata uniforme: c’è chi si chiede perché il suo parroco non parli mai di questo e c’è chi invece riferisce di diverse iniziative avviate a livello parrocchiale. Nell’enciclica il Papa ha sottolineato l’importanza di una base scientifica e tutti i dati e le evidenze attestano il climate change e il riscaldamento del pianeta. Subito dopo la promulgazione di Laudato si’, nel dicembre 2015, 196 Paesi avevano adottato l’Accordo di Parigi con il proposito di contenere la crescita di questo riscaldamento globale sotto i 2°C rispetto ai livelli pre-industriali e, se possibile, sotto 1,5°C.
Un proposito mantenuto?
No. Smentisco che ci sia stato questo impegno. Sono passati due anni e mezzo e la situazione è allarmante, lo scioglimento dei ghiacciai prosegue, la desertificazione avanza, le condizioni dell’atmosfera sono preoccupanti per l’alta concentrazione di emissioni di Co2 e le conseguenze più gravi non sono per noi che viviamo nei grandi continenti. A subire l’impatto più pesante sono i poveri e come abbiamo sentito in questi giorni, gli abitanti delle isole del Pacifico che rischiano di vedere scomparire le proprie terre. È più che mai urgente agire. Come ha auspicato il Papa quando ci ha ricevuti in udienza (il 6 luglio, ndr), spero che il Cop 24 sul clima del prossimo dicembre a Katowice (Polonia, ndr), sia una pietra miliare in questo cammino delineato a Parigi
Occorre dunque una rivoluzione culturale.
Tutti i processi di cambiamento fanno paura, ma una transizione energetica dai combustibili fossili alle energie alternative è indifferibile. Lo scorso mese di giugno, con il cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, mons. Sanchez Sorondo, abbiamo convocato i responsabili delle grandi compagnie petrolifere (ExxonMobil, Eni, British Petroleum, Royal Dutch Shell, Equinor e Pemex, ndr) in Vaticano, alla Casina Pio IV, per parlare proprio di questo. Tutti concordi sul fatto che gli effetti della transizione sarebbero positivi. Il problema è che se si dovesse interrompere all’improvviso l’utilizzo del petrolio crollerebbe un mercato importante e scoppierebbe il caos. Si tratta di una transizione complessa da governare con intelligenza. Per non arrecare danni a nessuno ed essere ispirata dalla cura per le persone e il loro benessere, con attenzione particolare ai poveri, prime vittime del climate change, richiede un management lungimirante.
foto di Britsh Province, licenza
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