
Il teologo Scannone sui 50 anni da Medellín
Si appresta la celebrazione del convegno “Medellín cinquant’anni: profezia, comunione, partecipazione”, promosso dal Celam (Consiglio episcopale latinoamericano), dall’arcidiocesi di Medellín, dalla Clar (il coordinamento latinoamericano dei religiosi e delle religiose) e dalla Caritas latinoamericana. Il convegno, che si terrà dal 23 al 26 agosto, proprio a Medellín, è finalizzato a ricordare i 50 dallo svolgimento dell’ormai celebre assemblea del CELM del 1968. Riportiamo alcuni estratti dell’intervista rilasciata al Sir da teologo argentino Juan Carlos Scannone, gesuita, insegnante e amico di Papa Bergoglio.
Professor Scannone, è ancora attuale quella storica Conferenza di cinquant’anni fa? E quali frutti ha portato?
La conferenza di Medellín è strettamente legata all’esperienza del Concilio Vaticano II e riprese in mano il tema dei poveri e dell’opzione fondamentale per i poveri nella Chiesa. Bisogna dire che questo non era stato un tema chiave nel dibattito conciliare, ma tale opzione emerse a Medellín come un “segno dei tempi”, a partire dai peccati strutturali, dalla povertà ingiusta, dagli squilibri crescenti. Fu in quell’occasione che si recuperò l’idea di san Giovanni XXIII di una “Chiesa dei poveri”, o, nel linguaggio di Francesco, di una “Chiesa povera per i poveri”, valida per tutta la Chiesa con i suoi gesti e le sue parole e al tempo stesso strettamente legata alla realtà dell’America Latina. Quell’idea si prolunga negli anni fino alla Conferenza di Aparecida e poi, oggi, in Papa Francesco, che sta cercando di tenere viva questa idea guida proponendola a tutta la Chiesa.
In molti casi la situazione in tanti Paesi dell’America Latina, per quanto riguarda povertà, violenza, squilibri, resta drammatica…
Sì, abbiamo non solo situazioni di povertà economica, ma di ingiustizie politiche e sociali, soprattutto c’è una grande diseguaglianza. E insieme c’è il tema della “Casa comune”. Papa Francesco ha messo molto bene in evidenza che quella ambientale e quella sociale sono due facce di un’unica crisi, causata da un paradigma tecnocratico, basato sullo sfruttamento. A questo modello va contrapposto il paradigma dell’autenticamente umano. Tutto il mondo oggi desidera libertà, uguaglianza, rispetto dei diritti umani. Pensiamo alle rotte dei migranti e dei rifugiati e ai popoli che soffrono la guerra, come la Siria. Va sottolineato con forza che siamo tutti fratelli, figli di Dio, chiamati a custodire la Casa Comune.
Alla Conferenza di Medellín viene spesso associata la Teologia della Liberazione. Anche lei vi aderì, ma seguendo una “via argentina” che non sceglieva gli strumenti di analisi del marxismo. Ce ne può parlare?
La Teologia della Liberazione parte dall’opzione preferenziale per i poveri. Nel conoscere la realtà, in quella che era chiamata la fase del “vedere” (nella tradizionale tripartizione metodologica che conteneva le successive tappe del “giudicare” e dell’“agire”, ndr) ci si avvaleva della mediazione delle scienze sociali. Qualche teologo applicò in questa fase l’analisi marxista della realtà. In Argentina abbiamo percorso un’altra strada, non abbiamo fatto ricorso al marxismo e neppure al liberalismo. Abbiamo piuttosto rivolto il nostro sguardo verso la cultura popolare e verso la nostra storia latino-americana, ma senza mettere in discussione la centralità dell’opzione per i poveri. Si è trattato di una linea propria, promossa attraverso la Coepal (Commissione episcopale di pastorale), in collegamento con la cattedra nazionale di sociologia dell’Università di Buenos Aires. Questa teologia guardava al popolo, mettendo insieme la visione conciliare della Chiesa come popolo di Dio con i popoli della terra. Un’impostazione che ha sicuramente influenzato Papa Francesco, sulla scia di intellettuali come Lucio Gera, teologo del Concilio e protagonista alle Conferenze di Medellín e Puebla, e Rafael Tello. Papa Bergoglio ha scritto la prefazione di un libro su Tello tradotto anche in italiano.
Mi permetto di chiederle un ricordo personale. Dove si trovava, padre Juan Carlos, quando fa celebrata la Conferenza di Medellín. E come la accolse?
Alla fine del 1967 tornai da Monaco di Baviera, dove avevo completato il mio dottorato in filosofia. Ricordo che fin da subito colsi la ricchezza di quanto vissuto durante la Conferenza e dei suo contenuti. Nel 1972 partecipai a una conferenza in Spagna a El Escorial, al posto di Lucio Gera che era stato invitato e dovette disdire all’ultimo momento. In quell’occasione presentai la Teologia del pueblo e le critiche all’adozione dell’analisi marxista nel momento del “vedere”. A partire dal 1973, iniziai a collaborare con il Celam e ho collaborato alla preparazione delle successive Conferenze della Chiesa latinoamericana: Puebla, Santo Domingo e Aparecida.
foto di Pedro Szekely, tratta da Flickr, licenza
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