Nessun articolo nel carrello

Riforma della Curia: la barca di Francesco nello stagno vaticano

Riforma della Curia: la barca di Francesco nello stagno vaticano

Tratto da: Adista Notizie n° 18 del 09/05/2020

40246 ROMA-ADISTA. La riforma della Curia annunciata fin dalle prime settimane del pontificato di Francesco non ha ancora visto la luce, è entrata anzi nell’ottavo anno di elaborazione e riscrittura, tanto da assomigliare alla basilica infinita di Gaudì a Barcellona, la “Sagrada Familia”, la cui edificazione non è mai stata terminata e prosegue negli anni. Così quella che doveva essere un’architettura istituzionale semplificata, più agile e meno burocratica, è diventata un rompicapo, un labirinto senza uscita, uno sfiancante lavoro di mediazione fra mille e una anime della Chiesa universale. Qualcosa alla fine, fra una bozza e l’altra, arriverà in porto, ma non è ancora chiaro quando. Eppure si trattava della riforma posta alla base dell’elezione di papa Francesco nel conclave del 2013 quale passaggio indispensabile condiviso – almeno sulla carta – da tutti, tradizionalisti e progressisti. Del resto lo scopo sembrava evidente: dopo le frastornanti dimissioni di Benedetto XVI, era necessario liberare il vertice della Chiesa universale dai miasmi degli scandali finanziari, delle lotte intestine, da una decadenza cortigiana capace di far vacillare la credibilità dell’intero edificio.

Bergoglio partì col piglio giusto istituendo quasi subito di quel consiglio di cardinali (il C9 ora ridimensionato ora a un più modesto C6) che doveva coadiuvare il papa nella riforma della Curia, appunto, e addirittura nel “governo della Chiesa universale”. Il tempo però ha spento gli ardori inziali; in passato il card. Óscar Rodríguez Maradiaga, coordinatore del C9, lamentò le resistenze degli apparati vaticani che, coinvolti nelle consultazioni per l’elaborazione della riforma, ritardavano le risposte di settimane e poi mesi allo scopo di rallentare e se possibile far arenare tutto il processo. Non a caso contro quelle stesse burocrazie interne Francesco si è scagliato più volte, in qualche caso trattandole con un certo disprezzo, come è avvenuto in particolare in occasione dei vari discorsi tradizionalmente rivolti alla Curia a ridosso del Natale.

Un po’ alla sudamericana, il papa non ha resistito alla tentazione di puntare i cannoni verso il quartier generale, contando forse sulla fama già compromessa che accompagnava la cittadella vaticana presso larga parte dell’opinione pubblica. Con un simile atteggiamento, Bergoglio, non si è fatto molti amici nei sacri palazzi, né però ha agito solo d’impulso, anzi. Evidentemente Francesco ha intuito che era necessario suscitare una reatà zione, un’increspatura nelle acque limacciose che ristagnavano oltre le mura leonine per provare a scardinare il gattopardismo di una struttura abituata a metabolizzare papi, concili e scandali. Prima è venuto dunque il tempo del conflitto, della contrapposizione, poi, un po’ alla volta, il papa ha capito che senza quei dicasteri, quelle strutture, era difficile se non impossibile governare la Chiesa universale. Perché sì, il Vaticano rappresentava certamente un centro di potere chiuso in sé stesso, ripiegato su dicerie e interessi non sempre confessabili ma – allo stesso tempo – era depositario di un’esperienza indispensabile a gestire le crisi anche più gravi; conservava, pur fra sfarzo e sprechi, un notevole armamentario di abilità politiche, diplomatiche, ecclesiali fuori dal comune.

Così Bergoglio si è assestato lungo una strategia dei due tempi. Da una parte si è preso la libertà di procedere come un sovrano più o meno assoluto, di fare cioè il papa nel senso classico e più tradizionale del termine, e di introdurre a suon di motu proprio, di aggiornamenti insindacabili delle norme che regolano la vita dello Stato vaticano, una serie di importanti novità nella struttura istituzionale. In tal modo ha dato vita a una iper produzione legislativa che si è affastellata in modo a tratti convulso; spesso ha corretto decisioni già prese, ha cambiato e ricambiato le funzioni di vari organismi e dicasteri, ne ha istituiti di nuovi e li ha dotati di poteri che successivamente ha ridimensionato. A lungo andare questo interventismo d’assalto ha prodotto un quadro confuso, incerto, con troppe variabili aperte; ora, tuttavia, comincia a delinearsi una prospettiva cha ha una sua coerenza.

A bilanciare questa libertà assoluta da regnante, è stata – sul versante opposto – la procedura scelta per portare avanti la riforma della Curia in senso generale e organico. Qui i tempi si sono dilatati a dismisura lasciando aperta la porta a innumerevoli consultazioni, compresa quella delle conferenze episcopali, ascoltando le obiezioni di cardinali ed esperiti, di collaboratori e avversari. Non è ben chiaro se questa girandola di pareri, rapporti, emendamenti servirà a produrre una grande e duratura riforma, o se si sia trattato di un meccanismo attivato in realtà per disinnescare le dissidenze interne. Si vedrà col tempo. Di fatto, comunque, l’esplosione dell’emergenza coronavirus ha contribuito a ritardare ulteriormente il percorso della riforma.

Ma appunto il papa ha realizzato intanto ciò che gli premeva di più. Fra le novità più significative introdotte da Francesco c’è stata non a caso la riorganizzazione di tutti i dicasteri che in vario modo fanno riferimento alla dottrina sociale. Di questo impulso è figlio il “Dicastero per lo Sviluppo umano integrale” che ha preso il posto del vecchio “Pontificio Consiglio Giustizia e Pace” e di una serie di altri organismi dedicati alla carità, ai migranti, alla sanità cattolica. Ne è scaturito una sorta di super dicastero sociale che ha come scopo principale quello di promuovere il documento magisteriale più importante del pontificato, ovvero l’enciclica Laudato si’ nella quale Francesco ha riversato la sua visione del mondo aprendo la Chiesa a un pensiero economico- sociale centrato sul tema cardine della salvaguardia del Pianeta e di un’ecologia integrale in chiave cristiana. Un organismo – forse attualmente il più importante della Curia come peso politico dopo la Segreteria di Stato – capace di occuparsi di migrazioni e globalizzazione, aggiornando ai tempi la dottrina sociale e saldandola con le iniziative caritative e sociali della Chiesa universale.

Nel medesimo tempo Francesco ha dovuto, con urgenza, mettere mano alla riforma delle finanze vaticane. Qui si alterna un quadro di luci e di ombre, in cui le seconde ancora incombono sulla cupola di San Pietro. Forse il risultato migliore in quest’ambito è stato raggiunto con la trasformazione dello Ior, la “banca vaticana”, da istituto opaco, una sorta di porto delle nebbie finanziario, centro di riciclaggio e di potere, in una struttura più trasparente, di dimensioni medio-piccole dal punto di vista finanziario, finalmente adeguata agli standard internazionali. In realtà, i tentativi di trasformare in senso moderno e in linea con un’etica cristiana le istituzioni economiche della Santa Sede sono stati numerosi e meriterebbero un approfondimento a parte. Qui basti dire che la Segreteria per l’economia, nata per applicare moderni criteri di programmazione finanziaria a tutta la Curia, riducendo gli sprechi e introducendo una gestione razionale e non clientelare delle risorse, non ha mai preso davvero forma. Il card. George Pell, prima di essere coinvolto in complesse vicende giudiziarie, quale capo della Segreteria (ora il dicastero è guidato dal gesuita Juan Antonio Guerrero) entrò in conflitto con la Segreteria di Stato, con l’Apsa (l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica che controlla gli investimenti sui mercati finanziari e una parte del patrimonio immobiliare vaticano in Italia e all’estero), e con molti altri dicasteri. Non sapendo bene a cosa andava incontro Pell annunciò alla fine del 2014 l’imminente pubblicazione dei nuovi bilanci vaticani finalmente redatti secondo criteri contabili riconoscibili a livello internazionale.

Ma il sogno della trasparenza finanziaria è rimasto tale (per esempio l’esatta entità del patrimonio immobiliare di Propaganda Fide resta un segreto conservato meglio di quello di Fatima), i bilanci non sono mai stati pubblicati ed è sparito anche lo scarno bollettino con il quale venivano diffusi alcuni dati alla stampa ogni anno. È questo l’elemento che più gravemente pesa in negativo sul pontificato. E anzi, come raccontano le cronache, una gestione poco attenta è ricominciata e ha prodotto nuovi scandali; anche se questa volta gli investimenti immobiliari sconsiderati sono partiti dalla Segreteria di Stato e non dallo Ior, ma il risultato non cambia con la magra consolazione che ad aprire le indagini è stata la stessa magistratura vaticana.

D’altro canto il passaggio è stretto: se da una parte si sceglie la trasparenza (anche per via delle forti pressioni internazionali), come nel caso dello Ior, diminuiscono le entrate, ma non le spese; a ciò si aggiunga la crisi economica internazionale apertasi a partire dal 2008 e che ha causato perdite ingenti anche alla Santa Sede sotto il profilo azionario, in particolare negli anni più recenti. L’apparato curiale è rimasto invece pressoché lo stesso, migliaia di dipendenti, la spesa pensionistica cresce, come pure resta il peso di organismi, dicasteri, strutture. Si tenga sempre presente che il Vaticano non ha entrate fiscali, un’anomalia decisiva dal punto di vista finanziario.

Cosa succederà ora? Secondo quanto è trapelato fino ad ora circa la riforma della Curia si assisterà a una forte riduzione dei dicasteri (e probabilmente del personale): da 9 Congregazioni e 12 Pontifici Consigli si passerà a 15 dicasteri tutti messi sullo stesso piano. La Congregazione per la Dottrina della Fede rivestirà sempre meno importanza (un declassamento già avvenuto nei fatti in questi anni). Sorgerà poi un grande dicastero per l’evangelizzazione che comprenderà Propaganda Fide e il dicastero per la nuova evangelizzazione. L’elemosineria apostolica, a sua volta, diventerà un dicastero vero e proprio dedicato alla carità (del resto il papa già la fa funzionare in questa prospettiva attraverso le iniziative del card. Konrad Krajewski); il dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, che pure è già stato in parte riformato, dovrebbe essere riferimento per un approccio nuovo alla presenza femminile nella Chiesa e nella società. Non mancano indicazioni dettagliate anche per altri organismi. Il vero interrogativo tuttavia è legato ai tempi di questo lavoro: resta per esempio da sciogliere il nodo relativo al ruolo e al peso che avrà la Segreteria di Stato, e non è cosa da poco. Il cantiere insomma è più aperto che mai; la grande riforma della Curia d’altro canto porta con sé notevoli problemi legati al rapporto fra centro e periferia, al peso effettivo che avrà la sinodalità, al tema di una chiesa policentrica ma sempre convergente su Roma. Non si tratta insomma solo di strutture.

* Michele Catti (1815-1944), Marina con barca e pescatori (olio su tela) - foto di BellEpoque del 2016 tratta da it.m.wikipedia.org, licenza Creative Commons

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.