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Myanmar: dopo un anno dal colpo di Stato, l’«agonia continua».

Myanmar: dopo un anno dal colpo di Stato, l’«agonia continua».

A un anno dal colpo di stato che in Myanmar ha consegnato le chiavi del potere ai militari, il bilancio delle vittime è «devastante»: così l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) – impegnata nella difesa dei diritti delle minoranze etniche, linguistiche e religiose – si riferisce ai 1.400 manifestanti pacifici uccisi fino ad oggi delle forze armate e alle 320.000 persone sfollate. «Non ci sono informazioni affidabili sul numero di vittime civili degli attacchi militari a villaggi e città, ma ci sono ripetuti rapporti di uccisioni e saccheggi», ha dichiarato l’APM nel comunicato stampa rilasciato l’1 febbraio 2022.

Il colpo di Stato e la resistenza contro la giunta militare

La mattina dell’1 febbraio 2021 le forze armate del Myanmar, note come Tatmadaw, sotto la guida del generale Min Aung Hlaing, arrestavano i vertici della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), il partito che per la seconda volta in cinque anni aveva vinto le elezioni, ottenendo nel novembre del 2020 circa l’80% dei seggi in Parlamento.

Tra gli arresti anche Aung San Suu Kyi, leader del partito, simbolo della lotta contro il potere dell’esercito nel Paese. La donna nel 1991 era stata insignita del Premio Nobel per la pace, ma negli anni di governo la sua immagine di paladina dei diritti umani era stata infranta. Durante il governo di Suu Kyi, i Rohingya – una minoranza etnica di religione musulmana – avevano continuato ad essere vittime di persecuzione, esclusi dal processo elettorale, privati della cittadinanza e di qualsiasi forma di diritto. Infatti, il Myanmar, a maggioranza buddhista, si rifiuta di riconoscere i diritti della minoranza etnica, da decenni vittima di politiche discriminatorie. Proprio nel 2017 un tentativo di pulizia etnica nello stato di Rakhine, nella regione occidentale del Paese, aveva spinto alla fuga verso il Bangladesh circa 740.000 rohingya.

Nelle settimane successive al golpe, milioni di persone in tutto il Paese si univano al Movimento di Disobbedienza Civile (CDM), protestando pacificamente contro la giunta militare attraverso manifestazioni di massa e scioperi generali. La polizia e i soldati reagivano con la forza, sparando contro la folla proiettili veri e granate. Per contestare la giunta, ad aprile, i parlamentari dell’NDL, i rappresentanti delle minoranze etniche e gli attivisti della società civile hanno formato un Governo di Unità Nazionale (NUG). Dall’incontro tra la società civile e il NUG, il 5 maggio 2021 nasceva il PDF (People’s Defence Force), un vero e proprio esercito di resistenza, rinsaldato dall’alleanza con le organizzazioni etniche armate.

Il potere politico dell’esercito birmano

Le forze militari fin dall’indipendenza, ottenuta nel 1948 dal Regno Unito, hanno avuto un ruolo cruciale nella vita politica del Paese. Quanto accaduto l’anno scorso non è una novità, infatti, nel corso del XX secolo il Tatmadaw  ha tolto il potere a governi eletti democraticamente altre due volte: nel 1962 il generale Bo Ne Win con un colpo di stato assumeva la guida del Paese; 26 anni dopo, nel 1988, la corruzione diffusa, i rapidi cambiamenti nella politica economica relativi alla valuta del Myanmar e la scarsità di cibo portarono a proteste di massa.

Nell'agosto 1988 il dissenso si trasformò nell’insurrezione nazionale che sarebbe passata alla storia come rivolta 8888, contro la quale l'esercito impiegò senza remore la forza, uccidendo almeno 3000 manifestanti e facendone sfollare altre migliaia. In seguito alla repressione del 1988, Ne Win si dimise dalla presidenza del Partito del Programma Socialista della Birmania (BSPP), rimanendo attivo dietro le quinte fino a quando una giunta militare prese il potere con un altro colpo di stato nel 1989.

L’anno dopo, la vittoria elettorale di Aung San Suu Kyi con il partito NLD, non sarebbe stata riconosciuta dal governo militare, e le speranze per l’avvento della democrazia avrebbero dovuto aspettare fino al 2015, anno in cui il Myanmar teneva le sue prime elezioni multipartitiche.

Per comprendere a fondo il potere politico che il Tatmadaw ha sul Paese, manca l’ultimo pezzo del puzzle: secondo la Costituzione del 2008, all’esercito spettano il 25% dei seggi e il controllo dei tre ministeri più importanti, Difesa, Interni e Affari Esteri.

Dopo un anno, le dichiarazioni della comunità internazionale

Più di 14 milioni di persone sono in condizioni di emergenza umanitaria, l'economia è in crisi, le conquiste democratiche sono state ribaltate e il conflitto si sta diffondendo in tutto il paese. È questo a distanza di un anno il ritratto della Birmania, a confermarlo le parole di mons. Charles Maung Bo, presidente della Conferenza episcopale cattolica di Myanmar, che ha raccontato al giornale online Licas News. Light of Catholics in Asia (1/02/2022): «Dopo un anno, c'è troppa sofferenza umana».

«Il nostro popolo vive nella paura, nell'ansia, nella fame e in una prospettiva di pericolo per la vita», ha affermato e, rivolgendosi poi alla popolazione, ha continuato: «Sentiamo il vostro dolore, la vostra sofferenza, la vostra fame. Comprendiamo la vostra delusione, comprendiamo la vostra resistenza».

Bo ha anche ricordato a chi crede che l’unica soluzione sia la resistenza violenta «che ci sono altri mezzi» e ha esortato il regime di Min Aung Hlaing ad avviare un dialogo, rilasciare i prigionieri politici, consentire una maggiore libertà di espressione e di rispettare i diritti umani. Infine, ha ribadito il suo appello alla comunità internazionale perché continui a fare pressioni per un raggiungimento della pace e perché smetta di fornire armi ai militari. Avendo poi constatato l’apparente indifferenza dell’opinione pubblica mondiale su ciò che sta accadendo nel paese, si è rivolto proprio a chi, «dopo l'iniziale periodo di interesse» da parte dei media, sembra essersi dimenticato di ciò che è accaduto esattamente un anno fa: «La nostra agonia continua. Ricordatevi del Myanmar e aiutatelo nella sua lotta per la pace».

*Una veglia per la Birmania davanti alle Petronas Twin Towers. 5 ottobre 2007. Foto tratta da en.wikipedia, immagine originale e licenza 

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