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Fra uccidere e morire, vivere!

Fra uccidere e morire, vivere!

Tratto da: Adista Notizie n° 13 del 09/04/2022

Il 31 marzo con l’approvazione definitiva del decreto legge che autorizza la consegna di mezzi e materiali di armamento letali, si è concluso l’iter legislativo attraverso il quale si è determinata la volontà del nostro Paese di sostenere, assieme ad altri Paesi NATO, lo sforzo bellico delle forze armate ucraine che resistono tenacemente all’aggressione della Russia. A quest’ora le armi sono state già consegnate, come disposto da un decreto interministeriale del 2 marzo sulla base di un elenco rigorosamente segretato.

Ciò non significa che la questione sia chiusa, né che sia stata fatta la scelta giusta. Indubbiamente, si è trattato di una scelta inusuale perché quando c’è un conflitto in corso, di regola è vietato fornire armi ai belligeranti, lo proibiscono sia la legge sul commercio delle armi (L. 185/90, che è stata esplicitamente derogata), sia la legge sulla neutralità (R.D. 1938 n. 1415, All. B, che è stata ignorata). Dal punto di vista politico si tratta di una scelta molto delicata perché ci rende, sia pure indirettamente, cobelligeranti, partecipi delle operazioni di violenza bellica. Questo porta non poche conseguenze pratiche, la più importante è che sarà molto difficile fornire aiuti umanitari sul campo, dal momento che non si possono mischiare il pane e le bombe. Non possiamo ignorare che c’è stata una lacerazione anche in quella parte dell’opinione pubblica più sensibile ai temi della pace e della giustizia internazionale. Molti hanno evocato una sorte di obbligo morale di fornire agli aggrediti gli strumenti militari per difendersi a fronte di un’aggressione in atto ed è stata tirata in ballo la Resistenza, rievocando i rifornimenti di armi ai partigiani. In realtà proprio il riferimento alla Resistenza dimostra quanto sia fallace questo accostamento. La Resistenza è sorta quando c’era già una guerra mondiale in corso che doveva necessariamente concludersi con l’annientamento del mostro nazista. Non c’erano altre strade, bisognava resistere, anche con le armi. La guerra in corso in Ucraina non può concludersi con la disfatta della Russia e la rimozione manu militari del suo regime politico: a tacer d’altro, ce lo impediscono 5.000 testate nucleari. Bisogna trovare un compromesso che porti al cessate il fuoco e apra la strada alla soluzione dei motivi di conflitto fra Russia e Ucraina. Non tutti gli attori internazionali hanno interesse a che si raggiunga rapidamente un compromesso che ponga fine ai disastri e alle crudeltà della guerra. In un’intervista al Corriere della Sera (29 marzo) il generale David Petraeus, ex capo della CIA e comandante delle forze militari degli Stati Uniti in Afganistan (responsabile di una guerra che è costata 200.000 morti) sostiene che, senza tanti annunci, bisogna mandare più aerei, droni e armi perché ciò potrebbe consentire alle forze armate ucraine di resistere a lungo, con la possibilità di infliggere una sonora sconfitta all’aggressore. Questo dimostra che gli Stati Uniti hanno interesse a una guerra di lunga durata per indebolire la Russia. Noi, invece, abbiamo interesse che la guerra finisca immediatamente perché ogni giorno, ogni ora in più comporta delle sofferenze inenarrabili alle popolazioni coinvolte e disastri di ogni genere. Fornire ulteriori armamenti alimenta il conflitto, non serve a difendere delle vite ma a provocare più morti, più dolore, più crudeltà. Più si prolunga il conflitto e più sarà difficile in futuro la convivenza fra questi due popoli piagati dalla guerra.

Non c’è nessun dilemma morale a dire no al rifornimento di armi, non è indifferenza o equidistanza fra aggrediti e aggressori, semplicemente bisogna prendere atto realisticamente che questa guerra non si sconfigge con la guerra. Non si tratta di esprimere un mero tabù dell’uso delle armi perché le armi servono per uccidere. In determinate circostanze storiche le armi sono servite per difendere la vita. Noi non abbiamo sentito il dovere di fornire armi alle Forze di Sicurezza Curde che hanno combattuto nella Siria del Nord una durissima battaglia per porre fine al regno del terrore dell’ISIS. Eppure in quel caso le armi sarebbero servite a fermare un genocidio, e quindi a difendere la vita. La Federazione Russa non è l’ISIS e Putin non è Hitler. Non può essere debellato sul piano militare per questo è assolutamente irresponsabile pretendere che l’Ucraina diventi il Vietnam dei Russi, come auspicano gli USA. Bisogna spegnere la guerra con la trattativa, non con le bombe.

Come osservava Christa Wolf in Cassandra: fra uccidere e morire c’una terza via: vivere!

Domenico Gallo è presidente di Sezione emerito, Corte di Cassazione

 

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