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Il sottosuolo della RDCongo: maledizione o concorso di interessi? Un articolo di

Il sottosuolo della RDCongo: maledizione o concorso di interessi? Un articolo di "Avvenire"

In vista del viaggio apostolico di papa Francesco in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan, i riflettori dei media italiani si sono accesi sulle complesse e drammatiche vicende dei due popoli africani, vessati da anni di guerre e violazioni spesso alimentate da un intricato sistema di interessi che coinvolgono anche attori europei.

“La ricchezza mineraria del Congo è diventata la sua maledizione”, titola un articolo di Francesco Gesualdi pubblicato il 28 gennaio scorso sul quotidiano dei vescovi italiani Avvenire.

Il ruolo della RDCongo, spiega Gesualdi, diventa sempre più strategico nello scacchiere internazionale proprio in ragione delle sue risorse, preziose come diamanti, legname e oro, ma anche strategiche sui mercati come cobalto, rame e coltan (columbo-tantalite), «tre minerali che stanno alla base della transizione energetica e tecnologica. Il cobalto per la produzione di batterie, il rame per la produzione di materiale elettrico, il coltan per i componenti elettronici».

E proprio perché i mercati di tutto il mondo guardano con grande interesse ai giacimenti al Congo, il dato del 18% di Pil imputabile al settore minerario non convince, spiega l’autore, e pare anzi «sottostimato considerato che in Congo una parte cospicua dell’attività estrattiva avviene in maniera informale. Così come gran parte del commercio avviene sotto forma di contrabbando. In particolare in Kivu, conteso da innumerevoli gruppi armati dalle origini più disparate e da decenni teatro di scontri», in cui si fronteggiano bande di criminali “semplici”, milizie autoctone, altre legate a Ruanda o Uganda, altre ancora alla jihad islamica, ecc. Al centro del conflitto c’è sempre il controllo delle regioni minerarie, grazie alle quali la guerriglia riesce ad armarsi e alimentarsi.

«Conscia del forte legame esistente fra commercio di minerali provenienti dal Kivu e uso dei loro proventi per l’acquisto di armi da parte delle varie fazioni operanti sul campo, una parte della comunità internazionale ha cercato di porre rimedio al fenomeno imponendo trasparenza a tutti gli attori della filiera», spiega ancora Gesualdi. «In altre parole, ogni operatore che fa uso di minerali potenzialmente provenienti dalla zona dei Grandi Laghi, ha l’obbligo di tracciare il loro percorso e deve renderne conto pubblicamente. Nel gennaio 2021 anche l’Italia ha recepito la direttiva europea che impone quest’obbligo. Il che costituisce un passo avanti importante sperando che non sia vanificato dalla capacità della macchina del contrabbando di falsificare i documenti».

Intanto, nei vari passaggi dal prelievo grezzo alle produzioni occidentali, la commercializzazione dei minerali produce una catena di balzelli, per lo più informali «per permettere al potere che esercita il controllo sul territorio di potersi arricchire attraverso il commercio dei minerali. Le estorsioni cominciano a livello dei piccoli acquirenti che comprano il minerale grezzo dai minatori e continuano fino agli esportatori». E così il mercato di pc e smartphone finisce ad alimentare milizie, guerre e violenze senza fine. «A pagare il prezzo più alto di questo sistema estorsivo sono i piccoli operatori che stanno alla base della piramide produttiva e commerciale», scrive l’autore. «In Kivu, l’estrazione avviene principalmente per opera di singoli, i così detti “minatori artigiani”, che una volta individuato un sito a loro parere promettente chiedono il permesso di sfruttamento al proprietario del terreno». Il lavoro è informale, per lo più sottopagato, pericoloso per la sicurezza e la salute, coinvolge decine di migliaia di bambini, costretti per fame ad abbandonare l’istruzione e a rovinarsi la salute nelle miniere, venendo anche rapiti, venduti e costretti a combattere dai miliziani. Un sistema di sfruttamento e abuso che porta nelle tasche dei minatori solo «una media dell’1% del valore di uscita dalle fonderie, nel caso del coltan, e dello 0,8% nel caso della cassiterite».

Spiega Gesualdi che alla base del sistema di sfruttamento, di violenza e di arricchimento c’è la corruzione, che secondo l’Onu rappresenta «un mostro che a livello mondiale divora il 25% delle entrate pubbliche. Viene anche calcolato che nelle nazioni africane con i più alti livelli di corruzione, i governi spendono il 25% in meno in sanità e il 58% in meno in istruzione. Il che aiuta a capire perché nonostante le sue enormi ricchezze, la Repubblica Democratica del Congo sia uno dei cinque Paesi più poveri al mondo. Secondo gli ultimi dati della Banca Mondiale il 64% della popolazione congolese vive al di sotto della povertà assoluta disponendo meno di 2,15 dollari al giorno. La dimostrazione concreta di come i minerali siano usati per l’arricchimento di pochi trasformandosi di fatto in una maledizione».

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