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Josè Maria Castillo, “Don Chisciotte” della teologia

Josè Maria Castillo, “Don Chisciotte” della teologia

Tratto da: Adista Notizie n° 40 del 25/11/2023

Lettera a Josè Maria Castillo, “Don Chisciotte” della Teologia

Caro Pepe, «Talete», scrive Platone nel Teeteo (174), «mentre stava scrutando le stelle, cadde in un pozzo». È il rischio, che ha corso una certa teologia, quando pensa di sondare i cieli, ma non conosce il profumo del pane e nemmeno il peso delle lacrime.

Una donna a quel punto ride, ricordando al filosofo, che si può avere la testa nei cieli, ma se non si hanno i piedi per terra, si precipita nel vuoto. Quel riso esprime la forza di un pensiero femminile, libero, critico, ironico, rispetto a un sistema in cui sapere ha fatto rima con potere. È la Religione, che celebra e difende sé stessa, ma non ha a cuore la felicità degli altri.

Nella tua teologia hai denunciato l'incompatibilità della Religione con il Vangelo. Una Religione del potere che ha emarginato il riso e il pianto di Gesù di Nazareth. Dio, infatti, ci hai insegnato, vuole la nostra felicità. Ma la Religione, sembra essere stata inventata apposta per negarla.

Lo racconta, in modo tragico e sublime, La Leggenda del Grande Inquisitore di Dostoevskij. Alla fine sarà proprio il bacio del Cristo sulle labbra del Cardinale di Spagna a far tremare la Religione. La tua Teologia, Pepe, é stata quel bacio sulla bocca. Tu, come dice Borges della poesia, hai creduto che la teologia non è tanto un “dovere”, ma una “passione” e una “gioia”.

Eppure hai combattuto lotte, subito emarginazione, umiliazione, quando ti è stato tolto l'insegnamento della teologia in Spagna e a Roma. Pensavano di toglierti il “divino” e lasciarti “soltanto” l'umano. Ma tu sapevi che solo nell'umano si trova il divino. «Solo diventando pienamente umani si diventa finalmente divini».

Hanno cercato di cancellare il tuo nome. Ma oggi, sappiamo, è scritto, insieme a quello dei giusti, a caratteri d’oro, nei cieli.

Per questo non hanno potuto rubarti la felicità. Il tuo pensiero, insieme al tuo riso e al tuo pianto, sono stati la spina nel fianco della Religione e il tuo bacio era per noi, per la Terra.

L’hai imparato soprattutto andando a “fare” teologia nel Salvador di Romero e dei tuoi compagni gesuiti trucidati dagli squadroni della morte. La tua teologia a quel punto era diventata il tuo corpo. Aveva i tuoi occhi, le tue mani. La teologia dei poveri e con i poveri.

Cos’era, Castillo, che ti muoveva se non quel duende di cui parla Garcia Lorca, e che per te era lo spirito della profezia, il vento sottile e rivoluzionario del Vangelo? Nella Leggenda del Grande Inquisitore si parla del Cristo tornato dopo 1500 anni a Siviglia e messo in prigione, perché libera la vita e smaschera la Religione.

Caro Pepe, con Te, il Cristo era tornato per le strade di Granada. Sei morto, vivendo. Hai reclinato la testa, sazio di giorni, sulla spalla di Marga, la donna con cui hai condiviso resistenza e utopia. E hai capito davvero, che avevi ragione: il divino era lì «minimo e immenso», sulla spalla dell’umano.

L’amore dunque è il vero, meraviglioso nome di Dio. Sei stato per me un Maestro visionario, un amico struggente. Sei stato il mio invincibile, inguaribile, Don Chisciotte…

Adiós compañero!

Marco Campedelli è teologo e narratore a Verona

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