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Più forte ti scriverò. Caro Giulio...

Più forte ti scriverò. Caro Giulio...

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 1 del 11/01/2025

A Giulio Girardello (1932-2014) missionario e poeta

Caro Giulio, ti ricordi quella volta, già in ospedale, ti eri rivolto a me, che ti stavo di fronte, con un tono commosso e solenne: «Resta fedele alla poesia!». Era un appello, che andava oltre noi, un messaggio per il mondo: non si può vivere senza poesia! Poi avevi aggiunto sommessamente, quasi parlassi a te stesso: «…e al Vangelo». E subito, alzando gli occhi : «Che poi è la stessa cosa, vero?». Sì, Giulio, per te la fedeltà alla poesia era la fedeltà alla Parola. Una parola che conteneva sia i dettagli che «gli spazi cosmici». Questa alchimia poetica, che dava casa al dettaglio, cioè agli occhi, alle mani, ai corpi delle donne e degli uomini. Dei bambini, degli ultimi. Era un poeta, il Maestro di Nazareth! Ne eri convinto. Non avrebbe scelto altrimenti con cura, quelle parole del Vangelo; nelle parabole di madri e di figli, di padri che saltellano di gioia. Di abbracci. Quelle rivoluzioni tutte femminili, che ribaltano dai troni i potenti e innalzano i piccoli fino alle stelle. Per te, come per lui, la poesia era voce, grido, canto. E tu, quando ti prendeva quella “divina indignazione”, avevi un sussulto, come lui e mandavi all’aria i banchi dei mercanti: delle armi, delle banche, dei governi, del tempio…

«Mi è concessa, tutti gli anni, una stagione di parole, che nascono dal meglio di me», hai scritto. Un dono, non un privilegio. Non una poesia aristocratica. Ma collettiva, politica. Tanto da farti dire dopo pochi versi: «C’è una stagione di parole giuste, seminate un po’ ovunque, che nascono dal meglio di noi…». La poesia, Giulio, era per te la lotta non violenta per cambiare il mondo. Nel tuo dizionario poetico ci sono, dopo dieci anni dalla tua morte, tutte le parole più urgenti e necessarie oggi: “strage di innocenti”: «Piccoli, miei piccoli… / fanciulli, bambini del mondo…» e ancora "Ecologia”, “Utopia”, “bomba atomica”, “costruire la pace”, “pane e vino”.

La tua poesia trabocca di donne e di bambini. E di nomi; “Minimi e immensi”. Non ti stancavi mai di cantare i nomi dei poveri del mondo, sotto le finestre della nostra religione borghese. Era il 2014, il 25 aprile, la tua Arena era di nuovo piena di utopia e di pace. Eri ormai alla fine dei tuoi giorni, lucido e barcollante. Il programma era fitto, il tempo era tiranno, i nomi erano importanti. Alla fine non saresti salito sul palco, avresti gridato da un megafono fuori dall’Arena le tue poesie, mentre la gente si accalcava per entrare. Tranquillamente distratta. Quanto l’evento si era fatto ormai “alternativamente potente” tu restavi “fuori dal coro”, Giulio, a gridare come un folle le tue "sconvenienti verità”. Così, sei rimasto fedele alla poesia. Fedele al dettaglio del Vangelo. Come scrive don Milani a Pipetta: «Ma il giorno che avremo sfondata insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso. Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene Pipetta, quel giorno io ti tradirò».

La tua poesia era la tua preghiera, fatta di salmi, di albe, di campi di grano e di volti innocenti. «Solo da mani piantate nel sentimento del mondo / nasce la pace». Questa la tua poesia, la tua preghiera. Così ogni alba ci riporta i tuoi occhi, Giulio: fedele, rivoluzionario poeta! 




 

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