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Gaza: restiamo umani

Il seguente articolo è stato postato dal magistrato Domneico Gallo sul suo sito ieri, 31 marzo. A questo link è possibile vedere la fotografia cui Gallo si riferisce.

Secondo le ultime stime, dalla ripresa della guerra di Israele a Gaza sono morti 792 palestinesi, di cui 200 minori. Lo ha riferito il ministero della Salute nella Striscia, gestito da Hamas, aggiungendo che i feriti sono stati 1.663. Il bilancio totale dall’avvio del conflitto è di 50.144 morti.  L’UNICEF ha riportato che il 18 marzo è stato il giorno più letale per i bambini nella Striscia, con oltre 130 minori deceduti in un solo giorno. Le parole delle statistiche sono gelide, i numeri non possono descrivere le sofferenze dei feriti e la disperazione dei sopravvissuti. Le statistiche non ci parlano dello strazio delle madri, dei padri, dei fratelli e delle sorelle delle vittime. In realtà non ci sono le parole per dirlo.

 A volte una foto ci può trasmettere, attraverso il linguaggio delle emozioni, una conoscenza più profonda di mille parole. Per comprendere l’orrore di Hiroshima e Nagasaky il documento più pregnante è la foto di Joe O’ Donnell del bambino che porta sulle spalle il fratellino morto. Questa immagine, conosciuta come “The Boy Standing by the Crematory” (Il ragazzo in piedi presso il crematorio), ritrae un bambino giapponese di circa 10 anni che porta sulle spalle il fratellino deceduto, in attesa del suo turno al crematorio. Il ragazzino è scalzo, vestito di stracci, ritto e disciplinato come un soldato che attende il suo turno, lo sguardo perso nel vuoto. Porta sulla schiena il fratellino che, con la testolina inclinata, sembra profondamente addormentato. O’Donnell raccontò l’intera scena a cui lui suo malgrado si era trovato ad assistere. Alcuni uomini con le mascherine bianche e addetti alla cremazione si erano avvicinati al bambino, prendendo il fratellino delicatamente e posandolo sulle fiamme. Lui era rimasto a guardare il rogo per dieci minuti, senza dire nulla e mordendosi le labbra fino a farle sanguinare. Poi si era girato, allontanandosi in silenzio. Una foto che ha colpito molto Papa Francesco, tanto da farla riprodurre su un cartoncino insieme alla frase “… il frutto della guerra” (31/12/2017). “La tristezza del bambino si riassume tutta nelle sue labbra morse fino a trasudare sangue”, ha scritto il pontefice, commentando il ritratto dei due sfortunati bambini. Un’immagine che anche oggi rimane il simbolo di tutte le guerre che continuano a sconvolgere il mondo, spesso nel disinteresse generale dell’opinione pubblica.

Quest’immagine non ci racconta solo Hiroshima o Nagasaki, ci racconta anche Khan Younis, o Rafah, o Gaza city. Anche qui ci saranno dei bambini che, dopo il diluvio di bombe e di fuoco, cercheranno il fratellino più piccolo, lo ritroveranno morto fra le macerie della propria casa o fra i brandelli detta tenda, dovranno tirare fuori il suo corpicino fra i detriti, dovranno caricarselo sulle spalle o su una carriola e trasportarlo dove i grandi accumulano i corpi nelle fosse comuni. Anche loro fisseranno lo sguardo nel vuoto e rimarranno impietriti osservando le pale che gettano cumuli di terra, su quel lenzuolino bianco insanguinato. Resteranno a guardare senza dire nulla, mordendosi le labbra e poi si allontaneranno in silenzio come il bambino giapponese. L’umanità lacerata a Gaza ci interroga con il volto triste dei suoi bambini straziati dalla nostra scienza esatta persuasa allo sterminio. Il volto di quei bambini si trasfigura ed assume il volto del bambino giapponese, orami non sono più distinguibili.

Quei volti dovrebbero turbare il sonno dei leader dei Paesi occidentali e dell’opinione pubblica che manifesta orgogliosa della nostra civiltà. Invece un velo nero di silenzio è calato su quella porzione di umanità che ha la sfortuna di vivere nella striscia. Fino a consentire all’esercito israeliano di notificare ai gazawi il decreto di esclusione dall’umanità comunicato con i volantini lanciati assieme alle bombe e ai missili.  “Alla gente di Gaza – è scritto in arabo – prima di iniziare il piano obbligatorio di Trump, ripensateci: la mappa del mondo non cambierà se la gente di Gaza scompare. Nessuno vi noterà. Nessuno chiederà di voi. Né all’America né all’Europa importa di Gaza. Nemmeno agli Stati Arabi. Sono nostri alleati. Ci forniscono denaro, petrolio e armi. Vi mandano solo sudari. Il gioco finirà presto”. I fatti dimostrano che a nessuno importa di Gaza, al punto che neppure l’attacco a due ambulanze e la fucilazione di 14 paramedici e soccorritori ha suscitato un minimo di indignazione. Rimane la domanda è possibile restare umani, se accettiamo che un intero gruppo etnico sia espunto dall’umanità? È importante partecipare alle manifestazioni di protesta contro il massacro “normalizzato” a Gaza che si stanno organizzando spontaneamente in tante città italiane e alla manifestazione nazionale del 5 aprile a Roma. Ritorna il monito di Vittorio Arrigoni: restiamo umani.

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