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Sinodo e celibato dei preti una promessa lontana

Sinodo e celibato dei preti una promessa lontana

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 21 del 31/05/2025

In principio fu il Sinodo dei vescovi per la regione panamazzonica, riunito in Vaticano dal 6 al 29 ottobre 2019, dal quale emersero istanze forti e richieste pressanti in tema di viri probati e diaconato femminile (ma si parlò anche di accesso delle donne all’ordinazione presbiterale).

Il dibattito sul sacerdozio ordinato nella Chiesa aveva portato a una decisione certamente non rivoluzionaria ma assai significativa. Intanto, la proposizione 111 del documento finale ottenne in assoluto meno consensi e raggiunse la maggioranza dei due terzi in maniera risicata: 128 favorevoli e 41 contrari su 185 partecipanti all’assemblea e un quorum fissato a 124. La proposizione, dopo aver ricordato il valore del celibato come «dono di Dio» e aver però rilevato le difficoltà di molte comunità amazzoniche a poter celebrare l’eucaristia e gli altri sacramenti come la confessione e l’unzione degli infermi a causa della mancanza di preti, recitava: «Considerando che la legittima diversità non danneggia la comunione e l’unità della Chiesa, ma anzi la manifesta e la serve, proponiamo che l’autorità competente (ovvero il vescovo del territorio, ndr), possa ordinare preti, dopo un’adeguata formazione, uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, che abbiano già ricevuto il diaconato permanente e che abbiano una famiglia legittimamente costituita e stabile (si tratta dei viri probati, ndr). Essi potranno così sostenere la vita spirituale della comunità cristiana con la predicazione della Parola e anche la celebrazione dei Sacramenti, nelle aree più remote della regione amazzonica». Alla fine del paragrafo si aggiungeva che nel dibattito sinodale «alcuni padri hanno parlato di un approccio universale all’argomento». Cioè avevano chiesto che la disposizione non fosse limitata alla sola Amazzonia.

Al di là di questa possibile estensione a tutta la Chiesa cattolica, i padri sinodali chiedevano esplicitamente che essa fosse intanto concessa alle «aree più remote della regione amazzonica»; e che non riguardasse tutti gli uomini, ma solo coloro che fossero diaconi permanenti.

Una decisione in tal senso poteva comunque aprire le porte del sacerdozio ministeriale anche agli uomini sposati (perché tali possono essere i diaconi permanenti). La proposizione 111 era una prima frattura nel blocco monolitico del celibato sacerdotale (anche se va ricordato che i preti sposati esistono nelle Chiesa cattoliche di rito orientale; ma in quelle di rito latino, no. E senza eccezioni).

Nella sua Esortazione apostolica post-sinodale, Querida Amazonia, Francesco – ma è stata un po’ la cifra del suo pontificato – deluse però coloro che si aspettavano aperture su questi fronti: il papa non menzionava infatti né i preti sposati né le donne diacono. Del resto, sui temi “sensibili”, papa Francesco è sempre stato oscillante. Come già osservava su The Tablet del 20 febbraio 2020 (v. Adista Documenti n. 11 del tare le incomprensioni e le dispute all'interno della Chiesa ha caratterizzato il papato fin dal suo inizio. È la chiave per capire il suo pensiero e il suo stile di leadership». In questo modo però il papa, «invece di sposare una posizione o l'altra in relazione alle questioni dell'ordinazione degli uomini sposati e delle diacone», affida ai vescovi «l'autorità per affrontare le sfide e trovare soluzioni appropriate ai rispettivi contesti e culture». Non attribuendo una ragione decisiva né al fronte conservatore né a quello progressista, Francesco ha finito per provocare, sostiene sempre la Beattie, «una permanente frustrazione. Ma questa è la sinodalità in azione, un temachiave del Concilio Vaticano II che solo ora stiamo vedendo in corso di realizzazione. Il dialogo, a volte difficile e doloroso, continua».

Sull’auspicio (e sui limiti) enunciati da Tina Beattie si è costruito anche l’intenso dibattito che ha caratterizzato il Sinodo dei Vescovi del 2024.

In vista della fase finale di quella assise, i vescovi cattolici del Belgio si allinearono ai loro confratelli tedeschi nel chiedere profonde riforme nella Chiesa cattolica, a cominciare dal metodo, ossia di procedere sul cammino del decentramento rispetto a temi controversi che trovano risposte diverse alle varie latitudini delle Chiese locali. Avanzavano quindi la proposta di non stabilire né un divieto, né un obbligo universali su temi come l’introduzione dei viri probati (laici di provata fede che possono sostituire i chierici nelle comunità in cui c’è scarsezza di sacerdoti) e di aprire una discussione sulle ordinazioni e sulle responsabilità pastorali femminili e sul ruolo dei laici.

Per il Vaticano si sarebbe21/03/20) la teologa Tina Beattie, per Bergoglio «nessun cambiamento può avvenire senza un dialogo onesto, mirato a raggiungere l'unità non attraverso l'eliminazione della differenza, ma tramite una “diversità riconciliata”. Tale modo di affrontrattato di ammettere l’impossibilità di procedere uniti fra episcopati nazionali e continentali, proprio in relazione alle riforme attese ormai da decenni. Da una parte, in tal modo, i vescovi del Belgio avevano infranto il tabù dell’unità della Chiesa cattolica come valore assoluto e principio di governo (di cui è garante il papa); dall’altra tuttavia, la posizione dei vescovi belgi era simile a quella intrapresa dal cammino sinodale tedesco, diffidato più volte dal Vaticano dal voler procedere autonomamente sulla strada delle riforme. Questa linea – va però rilevato – aveva il pregio di intercettare lo stile stesso del pontificato di Francesco, che ha spesso demandato alle decisioni degli episcopati nazionali o degli ordinari diocesani (basti pensare alla questione della riammissione dei divorziati risposati all’eucarestia), questioni che a livello universale sarebbe stato difficile, se non impossibile, dirimere. Quando poi è stato lo stesso Francesco a tentare di fare qualche timida apertura su temi sensibili, come la benedizione impartita in chiesa a coppie omosessuali (contenuta nella dichiarazione Fiducia Supplicans, del 2023), erano stati i vescovi più conservatori a essersi ribellati e ad aver di fatto messo in discussione un pronunciamento del Vaticano, con tanto di note ufficiali di diocesi o di intere Conferenze episcopali che dichiaravano di non voler applicare Fiducia Supplicans nei territori di loro competenza.

Alla fine il papa ha scelto una terza via, dando l’impressione di rispettare sino in fondo il senso per cui era stato convocato il Sinodo e scegliendo quindi di non elaborare un proprio documento, l’esortazione post sinodale che segue ogni Sinodo (che è organo consultivo, non deliberativo), ma di assumere così com’è, sine glossa, il documento finale dell’assise, dandogli in questo modo dignità di magistero.

Tutto ciò però al prezzo di pesanti rinunce circa i problemi che urgono ormai da molto nella Chiesa e su cui vasti settori dell’opinione pubblica cattolica avevano sperato vi fosse un pronunciamento. L’attesa era in particolare sui temi dell’impedimento per le donne di accedere ai ministeri del diaconato e del presbiterato, e dell’obbligo del celibato per i preti: due questioni che in molti Paesi del mondo rendono difficile la cura sacramentale e pastorale dei fedeli.

Il papa, infatti, prima che l’assise concludesse i lavori ha chiesto che venissero affidati a Gruppi di Studio costituiti da Pastori ed esperti di tutti i continenti, chiamati a lavorare con metodo sinodale, determinati temi, sottratti quindi alla decisione del Sinodo: le relazioni tra Chiese Orientali Cattoliche e Chiesa Latina; l’ascolto del grido dei poveri e della terra; la missione nell’ambiente digitale; la revisione della Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (ossia la "legge-quadro" per la formazione del clero e i seminari, emanata per la prima volta sotto Paolo VI); «alcune questioni teologiche e canonistiche intorno a specifiche forme ministeriali»; «criteri teologici e metodologie sinodali per un discernimento condiviso di questioni dottrinali, pastorali ed etiche controverse» e altri ancora. Il papa, di fatto, anche in questa occasione, ha operato su questo crinale: ha aperto prospettive, promosso occasioni di confronto, indetto Sinodi, ventilato riforme che poi non sono arrivate. Quello che ha fatto lo ha fatto all’interno della cornice canonica esistente, o ha rinviato a successivi approfondimenti temi su cui non si sentiva di dare lui, o far dare al Sinodo, risposte chiare, anche se non definitive.

Ciononostante, e anche in forza del dibattito che proprio il pontificato di Francesco ha consentito si aprisse nella Chiesa su tanti argomenti, molti continuano ad auspicare una revisione dell’attuale disciplina celibataria, anche per una maggiore partecipazione dei laici ai processi decisionali e una revisione delle strutture ecclesiali per superare il clericalismo e il maschilismo percepiti ormai come anacronistici.

Resta però l’impressione – acuita dal recente Conclave, in cui 133 presbiteri maschi celibi e anziani hanno eletto il successore di papa Francesco senza che la voce di tutta la restante parte della Chiesa abbia avuto la minima possibilità di esprimersi (donne, laici, consacrate e consacrati non ordinati) – che la Chiesa continui a trattare chi non è prete, maschio e celibe come fedele di "serie b", senza concedere loro un'effettiva parità di ruolo.

Resta anche il dubbio che la Chiesa, se rimane su questa linea prudente e “attesista” (vedremo poi quella che deciderà di intraprendere Leone XIV, che però in ordine alle questioni teologiche e pastorali sempra ancora più prudente di Francesco), possa adeguatamente rispondere alle sfide poste dalla società contemporanea.

La mancata attuazione di riforme significative potrebbe acuire ulteriormente il senso di frustrazione e di esclusione di cui parla la teologa Beattie, rischiando di allontanare molti altri cattolici dalla vita ecclesiale attiva. E in un periodo in cui di Chiesa e di papa si parla molto, ma soprattutto in alcuni continenti in cui la vita ecclesiale langue e le parrocchie sono più vuote, il rischio dell’irrilevanza per la Chiesa cresce. 

Valerio Gigante della redazione di “Adista”.

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza

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