
San Francesco fagocitato dalla destra di governo. Intervista allo storico Menozzi
Tratto da: Adista Notizie n° 36 del 18/10/2025
42392 ROMA-ADISTA. La reintroduzione della festività nazionale di san Francesco e il discorso della presidente del Consiglio Giorgia Meloni ad Assisi lo scorso 4 ottobre sembrano far intravedere un’operazione di rinazionalizzazione e anche di appropriazione di san Francesco da parte della destra (v. notizia precedente). Ne abbiamo parlato con Daniele Menozzi, professore emerito di Storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore di Pisa e studioso della Chiesa in età moderna e contemporanea, che si è più volte occupato anche di uso pubblico della storia.
Professor Menozzi, il Parlamento italiano ha rispristinato la festività nazionale di san Francesco d’Assisi. Come valuta questa scelta?
La festività nazionale di san Francesco fu celebrata, per la prima volta e per quella sola giornata, il 4 ottobre 1926. Mussolini voleva continuare nella politica di avvicinamento alla Chiesa: la celebrazione rappresentò un ulteriore tassello nel percorso che doveva portare ai Patti lateranensi. Dopo la proclamazione di san Francesco patrono d’Italia, avvenuta nel 1939, i governi a maggioranza democristiana del dopoguerra cercarono di introdurre questa festività religiosa nel calendario civile in ossequio alle richieste di confessionalizzazione dello Stato avanzate dall’autorità ecclesiastica, ma ottennero solo, nel 1957, il riconoscimento di mera “solennità civile”. Durò fino al 1977. Personalmente penso che la Chiesa oggi celebri in san Francesco valori come pace, attenzione alle povertà e cura dell’ambiente, che la Repubblica italiana, per quanto sia un sistema democratico, stenta a incarnare. Ma è anche vero che nella crisi attuale delle democrazie un supporto della religione potrebbe costituire un contributo a orientarne le periclitanti strutture a ritrovare contatto con i problemi concreti degli abitanti della penisola.
È in atto un tentativo di ri-nazionalizzazione di Francesco d’Assisi?
Non è un’operazione nuova: la nazionalizzazione della figura di san Francesco ha percorso la storia dell’Italia unita, dal neoguelfismo clericale dell’Ottocento al fascismo cattolico del Ventennio, fino nazional-cattolicesimo dei primi decenni della Repubblica. Non mi stupisce che, nel quadro del ritorno alla nazione come supremo criterio orientativo per l’organizzazione della vita collettiva, sia in atto un’operazione di ri-nazionalizzazione dell’immagine del santo. Stupisce invece che manchi in buona parte dell’opinione pubblica, e dei suoi persuasori, la consapevolezza critica dell’anacronismo di simili tentativi. F
rancesco d’Assisi venne proclamato patrono d’Italia da Pio XII nel 1939, in pieno regime fascista. Ripristinando e rilanciando la festa nazionale c’è anche una sorta di appropriazione di san Francesco da parte della destra?
La nazionalizzazione di san Francesco non è stata promossa dal regime fascista, Mussolini ha utilizzato ai propri scopi un manufatto culturale che era stato elaborato dai cattolici italiani alla ricerca dell’integrazione nello Stato unitario. Oggi i cattolici sono alla ricerca di modelli in grado di proporre il Vangelo all’uomo contemporaneo. Si tratta di una figura complessa e sfuggente. Penso che l’uomo contemporaneo possa anche momentaneamente illudersi di difendere le proprie identità ripiegando sulla nazione, ma il divenire della storia lo porta verso scenari globali dove premono questioni ben più rilevanti: la pace e la guerra, drammatiche forme povertà e concentrazioni di immense ricchezze, il disastro ambientale e le migrazioni, l’aspirazione a dilatare le libertà e i sistemi politici autocratici che le comprimono.
Come si concilia l’esaltazione di Francesco d’Assisi come «uomo di pace e di dialogo» da parte della presidente del Consiglio con l’aumento delle spese militari e i piani di riarmo approvati dal governo?
Non vedo come si possa conciliare. Ma anche il discorso di Mussolini per la festa del 4 ottobre 1926 faceva perno su un san Francesco nazionalista, bellicista e imperialista. In tanti, a partire da ambienti cattolici, hanno applaudito…
A sostegno della “italianità” di Francesco d’Assisi, Meloni ha richiamato Gioberti, che lo definì «il più italiano de’ nostri santi». Premettendo che dai tempi di Gioberti a oggi la Chiesa ha proclamato centinaia di altri santi e beati fra i quali potrebbe esserci qualcuno ancora «più italiano» di san Francesco, è corretto riproporre letteralmente per il tempo presente una definizione maturata in un contesto storico-politico completamente diverso da quello attuale?
Durante il Ventennio l’attribuzione della qualifica di «più italiano dei santi» non è stata riservata solo a san Francesco, ma anche a san Giovanni Bosco, a santa Caterina da Siena (anch’essa proclamata patrona d’Italia nel 1939) e ad altri ancora. La critica storica si è da tempo dedicata a spiegare le ragioni dei nessi via via avanzati tra nazionalità e santità nel corso dei processi di “invenzione della tradizione” e di “nazionalizzazione delle masse”. La riproposizione odierna dell’italianizzazione dei santi rappresenta un interessante caso di studio di riesumazione politico propagandistica di un manufatto culturale che sembrava scomparso sotto le macerie delle tragedie provocate dai nazionalismi.
Francesco d’Assisi che, è vero, è nato ad Assisi, si configura davvero come un «santo italiano»?
Dipende dal contenuto semantico attribuito alla parola. È evidente che un personaggio vissuto tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo, che ha impostato tutta la sua vita a seguire un Vangelo redatto mille anni prima e che faceva dell’obbedienza all’autorità ecclesiastica un principio inderogabile, ben poco ha a che spartire con l’Italia, se la si intende come un moderno Stato-nazione, nato dalla Rivoluzione francese e importato nella penisola in seguito alle ottocentesche guerre di indipendenza condotte dal giurisdizionalista Regno di Sardegna e dagli anticlericali garibaldini e mazziniani contro il volere del papa.
Ad agosto Meloni è intervenuta al meeting di Cl a Rimini sottolineando l’attualità della opzione della «presenza», teorizzata a suo tempo da don Giussani, contrapposta alla «scelta religiosa» dell’Ac, rilanciando quindi una vecchia e lacerante polemica degli anni 70- 80. Ora l’operazione san Francesco (v. Adista Documenti n. 33/25). È in atto un tentativo di “riconquista” del mondo cattolico per spostarlo su posizioni conservatrici e nazionali?
Non c’è alcun dubbio che l’attuale presidente del Consiglio coltiva un disegno di allargamento del consenso attraverso l’integrazione all’interno del suo campo politico di ulteriori settori del mondo cattolico, dal momento che diversi ambienti già si riconoscono nella sua linea. Certo la scarsa dimestichezza con il cattolicesimo non la favorisce: il riferimento nel discorso di Rimini all’«uscita dalle sagrestie» fa sorridere per l’inconsapevolezza storica che lo ha sorretto. Ma è anche vero che, in quell’occasione, il sorprendente omaggio al cardinal Robert Sarah, cioè a un tetragono rappresentante del tradizionalismo anticonciliare, è indicativo della rete che ha lanciato e delle disponibilità che può trovare.
*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza
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