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TRA “MEZZE VERITÀ” ESPLODE IL CASO DEL TAGLIO DEI FINANZIAMENTI ALLA PICCOLA EDITORIA

Tratto da: Adista Notizie n° 75 del 01/11/2008

34662. ROMA-ADISTA. Le norme al vaglio del Parlamento, che riducono il finanziamento pubblico all’editoria, escludono dai tagli la Mondadori – azienda di proprietà della famiglia Berlusconi –, il Sole 24 ore – organo ufficiale della Confindustria – e Avvenire, quotidiano della Conferenza episcopale italiana. “Sembra uno scherzo da prete. Si tolgono i viveri a qualsiasi pubblicazione nazionale tranne a tre colossi espressioni di altrettanti poteri illimitati più che forti: Berlusconi, gli industriali e la Chiesa”. Così Vittorio Feltri, direttore di Libero, in un editoriale pubblicato sul suo giornale lo scorso 15 ottobre. “Se fossi di sinistra – ragiona Feltri – non avrei dubbi: perché Silvio (Berlsuconi, ndr) è favorevole a ogni taglio lontano dalle sue tasche; perché gli industriali è meglio tenerseli buoni sennò ti si scatenano contro; perché i preti te li raccomando: se gli porti via il grano magari si vendicano, e si salvi chi può”.

Il direttore di Libero, in realtà, dice solo mezza verità: Avvenire infatti, così come Il Sole 24 ore e i periodici del gruppo Mondadori, conserva intatti fino all’ultimo centesimo i “contributi indiretti” – ovverosia la riduzione del 50% delle tariffe postali che, per un quotidiano come quello della Cei che vende pochissimo in edicola e quasi tutto in abbonamento, ammontano a diversi milioni di euro (le ultime cifre riferiscono di oltre 10 milioni di euro) –, ma si vede ridotti di circa il 30% quelli diretti, cioè quelli che dallo Stato finiscono direttamente nelle casse del giornale (perché risulta edito da una fondazione non profit: la Santi Francesco e Caterina) e che, in base ai dati più recenti, sfiorano i 6 milioni di euro (v. notizia seguente).

Ma mezza verità dice anche Avvenire, che il giorno successivo replica con un ‘contro-editoriale’ in cui si tenta goffamente di nascondere la natura di tali aiuti di Stato. I contributi indiretti, scrive Paolo Viana, “non finiscono nei bilanci dei giornali ma delle Poste, come corrispettivo per scontare le tariffe della spedizione; non sono regali ai ‘poteri illimitati più che forti’, ma concretizzano l’impegno dello Stato a sostenere giornali che possono vantare un rapporto stabile (e verificabile) con i lettori”. Non dice Viana però una cosa ovvia: se le tariffe postali sono ridotte del 50%, automaticamente gli introiti della proprietà del quotidiano aumentano in modo proporzionale, per il semplice principio che ciò che non viene speso è guadagnato. “Se poi, nel bilancio di Libero, questo canale (ossia la vendita a mezzo abbonamento postale, ndr) ha un peso minore rispetto ad Avvenire, e conseguentemente quel giornale non riceve gli stessi contributi indiretti – prosegune Viana nell’editoriale –, Feltri dovrebbe mettere al lavoro il proprio ufficio marketing, invece di invocare dal premier un taglio ad personam per colpire un concorrente”. Ma anche in questo caso, l’editorialista di Avvenire omette un particolare rilevante: più che per una questione di marketing efficace, il quotidiano dei vescovi è diffuso soprattutto per abbonamento perché parrocchie e diocesi ne sottoscrivono diverse decine di migliaia, anche obbligate dalla Cei che in questo modo riesce a dirottare surrettiziamente ad Avvenire i fondi dell’otto per mille, che non possono essere direttamente utilizzati per sostenere la stampa. Il meccanismo è una sorta di ‘triangolazione’: la Cei assegna alle diocesi i fondi dell’otto per mille, le diocesi sottoscrivono un certo numero di abbonamenti ad Avvenire e così parte di quei soldi finiscono nelle casse del quotidiano dei vescovi. (luca kocci)

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