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SEMPRE PIÙ TESA LA RELAZIONE TRA GOVERNO E CHIESA IN VENEZUELA. MA CHI È CHE CALPESTA LA COSTITUZIONE?

Tratto da: Adista Notizie n° 61 del 24/07/2010

35719. CARACAS-ADISTA. Lo zelo democratico dell’episcopato venezuelano compare a intermittenza: si spegne in presenza di un colpo di Stato – come quello dell'aprile del 2002, guidato dal presidente della Confindustria venezuelana Pedro Carmona e attivamente sostenuto dalla gerarchia ecclesiatica – e si riaccende nelle critiche al presidente Hugo Chávez , accusato di calpestare la Costituzione – la stessa a cui i vescovi non hanno risparmiato furenti attacchi – per condurre il Paese “sul cammino del socialismo marxista”. In questo senso, l’ultimo scontro tra il presidente venezuelano e l’arcivescovo di Caracas, il card. Jorge Urosa, non è altro che l’ennesima puntata di un conflitto tra governo e gerarchia cattolica iniziato proprio con l’avvento alla presidenza di Chávez, nel 1998. Da allora, nessuna accusa è stata risparmiata al leader venezuelano, a fronte di un silenzio assordante da parte della gerarchia sulle conquiste sociali della rivoluzione bolivariana. Accusato ora dal card. Urosa di voler imporre una dittatura (malgrado gli innumerevoli processi elettorali per cui Chávez è passato, tutti vinti tranne uno, quello del referendum sulla riforma della Costituzione venezuelana nel 2007), il 5 luglio scorso il presidente – che, com’è noto, non è esattamente un cultore delle arti della diplomazia – ha dato al cardinale, tra molto altro, del “troglodita” che si nasconde dietro la sua sottana per manipolare la gente, del “bandito” e dell’“imbroglione”.

Ma lo scontro non è finito lì. Da Roma, il 7 luglio, Urosa ha reagito con una nota in cui ribadisce che, “passando sopra la Costituzione nazionale, il presidente e il suo governo spingono il Paese sulla strada del socialismo marxista, che chiude tutti gli spazi, è totalitario e conduce a una dittatura che non è neppure del proletariato, bensì dei vertici che governano”. “Tale condotta – sottolinea il cardinale – è incostituzionale e illegale, ma soprattutto costituisce un attentato ai diritti umani, civili e politici dei venezuelani”. Inoltre, tutto preso dalla smania di instaurare un sistema socialista, il presidente, secondo Urosa, verrebbe meno al compito, tra l’altro, di “provvedere alla sicurezza del popolo, colpito, specialmente nei settori più poveri, dalla violenza e dalla delinquenza, di promuovere una migliore assistenza nel campo della salute, di migliorare strade e mezzi di trasporto, ecc.”. E, per di più, punterebbe a “smantellare l’apparato produttivo nazionale in maniera che si dipenda tutti dal governo persino per mangiare”. In questo scenario terrificante, prosegue il cardinale, i vescovi, accusati di svolgere un ruolo essenzialmente politico, hanno tutto il diritto di pronunciarsi, “soprattutto su ciò che ha a che vedere con la vita e il futuro del popolo venezuelano”. Solidarietà al cardinale è stata subito espressa dalla Conferenza episcopale che, in un comunicato, respinge “le reiterate e ingiuste aggressioni da parte del presidente della Repubblica a istituzioni e persone, offensive anche nei confronti del sentimento religioso di diverse confessioni”.

 

“Ahi, cardinale!”

La replica del presidente - il quale nel frattempo ha chiesto al ministro degli Esteri Nicolas Maduro di riesaminare il concordato in vigore dagli anni ’60 tra Caracas e il Vaticano, per verificare eventuali privilegi concessi alla Chiesa cattolica nei confronti di altre religioni - è giunta l’11 luglio con un articolo, dal titolo “Ay, cardenal!”, pubblicato nella sua rubrica domenicale “Las líneas de Chávez”, in cui il presidente si schiera in maniera decisa con la Teologia della Liberazione, che, dice, “è quella che più fedelmente riflette il Discorso della Montagna, quella che ci fa eredi del Cristo liberatore”, il quale “per noi ha il volto dei poveri e degli indifesi, mai degli sfruttatori e dei criminali”. In risposta al card. Urosa, Chávez sottolinea come il Paese avanzi “verso una democratizzazione piena che - dice - giustamente abbiamo chiamato socialismo bolivariano, il cui significato essenziale è quello di dare potere al popolo perché eserciti sovranamente il suo destino. Per noi – assicura – il marxismo è uno strumento che ci aiuta a interpretare l’uomo, la società e la storia, non un dogma o uno slogan”.

“La vita mi ha insegnato – prosegue il presidente – che l’ampiezza di criteri è fonte sana di conoscenza e di esercizio vitale. Per questo è con molto orgoglio che mi definisco bolivariano, cristiano… e anche marxista. Se lei vede in questo una contraddizione, posso far poco per aiutarla a capire: in me tali concezioni di vita convivono in una stretta fraternità”. Quanto alle accuse ricevute, “dire che stiamo copiando modelli stranieri e che ci lasciamo guidare da ideologie che vanno contro le leggi che il popolo si è dato è un crimine da parte di quanti, credendosi padroni della fede dei venezuelani/e, intendono manipolarla. Il card. Urosa Savino dovrebbe dimostrare di fronte a un tribunale l’incostituzionalità delle leggi e delle azioni del nostro governo”. E ricordando le espressioni pronunciate da Urosa in occasione del colpo di Stato del 2002, quando il cardinale salutava la fine di “un incubo” ed esortava a giudicare e condannare il presidente, Chávez commenta: “Chi è allora che viene meno al rispetto della Costituzione?”. “Ricordo – conclude – la frase che mi uscì dal cuore quella sera del 13 aprile 2002 quando un altro cardinale, Ignacio Velasco, entrò nella mia stanza di prigioniero nell’isola della Orchila per chiedermi ‘in nome di Dio’ di firmare la rinuncia alla presidenza perché ‘tutto era già compiuto’. Il popolo stava combattendo nelle strade, i militari patrioti si univano ad esso, la dittatura perseguitava e assassinava, il Venezuela era prossimo a una guerra civile e quel cardinale mentiva consapevolmente, dicendomi che tutto era calmo, che il popolo era tranquillo, che io dovevo fare ‘un ultimo gesto’ firmando la rinuncia e che ‘Dio mi avrebbe colmato di benedizioni’. Fu allora che gli dissi: ‘Ahi, cardinale, se Cristo ti vedesse’”. (claudia fanti)

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