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Ai confini dell'orrore

- La frontiera tra Usa e Messico è terra di nessuno in mano a mafie e polizie corrotte. Ecco il contesto della strage di 72 migranti

Tratto da: Adista Contesti n° 70 del 18/09/2010

Tratto da “Adital” (2/9/2010). Titolo originale: “Passar das fronteiras às pontes, uma tarefa de humanidade”

La Patria è l’umanità, la porzione di umanità che vediamo più vicina e nella quale siamo nati… Per cui, è specialmente lì che l’uomo è obbligato a compiere il suo dovere di umanità”. José Marti.

 

72 esseri umani, uomini e donne, assassinate e abbandonati nel deserto, alla frontiera del Messico con gli Stati Uniti. Non è una cosa nuova. Circa un anno fa è stato reso pubblico l’elenco  di 13.250 migranti morti fra il 1993 e il 2009 nel tentativo di ottenere qualcosa dall’esclusivo suolo della prosperosa fortezza europea (United for Intercultural Action: 2009). E ancora l’anno passato si è saputo che migliaia di migranti centroamericani sono stati sequestrati, torturati e assassinati mentre tentavano di raggiungere gli Stati Uniti, passando attraverso il territorio messicano. Solo nei primi sei mesi del 2010, secondo la Commissione Nazionale dei Diritti Umani (Messico), sono stati compiuti più di 10mila sequestri per mano di bande organizzate e con l’appoggio delle autorità di tutti e tre i livelli di governo.

Il nord globale è circondato da una frontiera di morti, feriti e mutilati nella roulette russa contro se stessi che i migranti giocano per inseguire il sogno delle opportunità. Periodicamente, gli organismi internazionali specializzati gridano nel deserto delle coscienze del potere per la già sistematica e strutturale violazione dei diritti umani dei migranti, i nuovi paria dell’economia capitalista neoliberista che si proclama inevitabile, che è in crisi, e purtuttavia dolorosamente egemonica e operante.

Il fatto che questo nuovo orrore sia apparso sul suolo messicano non può e non deve occultare la maggiore responsabilità dello Stato più potente. La politica degli Usa di “delocalizzare” di fatto le sue frontiere, ancorando la sovranità alla possibilità di condizionare i presunti “aiuti” economici ai governi di Paesi vicini, come il Messico e il Guatemala, con l’impegno da parte di questi a fermare l’immigrazione irregolare nei suoi territori, ha generato autentiche vie crucis infernali per i migranti che, molto prima che si avvicinino agli Stati Uniti, soffrono abusi, maltrattamenti, ruberie, violazioni sessuali e anche la morte nelle mani di mafie, di gang e di funzionari corrotti e profittatori. Processi che convertono molte delle attuali frontiere internazionali in “terre di nessuno”, di fronte alle cui violazioni dei diritti e della dignità umana “impallidisce” il pur famoso muro di Berlino, quando gli smemorati governi del nord globale che oggi alzano criminali muri erano paladini del diritto alla libera circolazione e residenza.

Per caso, è necessario ed inevitabile che i principi di regolazione e legalizzazione siano incompatibili con quello dell’umanità? La specie umana è condannata all’impossibilità di organizzarsi prescindendo da crimini contro se stessa? Il suo sviluppo storico e di coscienza non offre possibilità di cammini alternativi? Nessuno spazio geografico più delle frontiere mostra più apertamente lo scricchiolio strutturale storico dell’attuale ordine mondiale, né pone con più urgenza questi interrogativi alla coscienza umana. Di fronte ad una umanità che cresce come prassi e coscienza di una comunità dall’unico destino, l’obsolescenza e l’inadeguatezza di queste politiche può assumere solo la forma della disumanità e della disumanizzazione.

La sola menzione della parola “frontiera”fa paura. Le necessarie frontiere territoriali, dove si esercita l’amministrazione di ogni Stato-Nazione e si passano al setaccio quelli che entrano nel territorio di uno Stato-Nazione non facendone parte, lungi dall’essere luoghi di incontro e integrazione, appaiono come zone ostili ai poveri e agli esclusi che cercano disperatamente inclusione; dove piombano su chi arriva il sospetto e la mancanza di fiducia; dove le mafie di trafficanti di persone aspettano le vittime dell’esclusione per sfruttarle nel lavoro o sessualmente, o usarle come “muli” per trasportare droghe; gang di delinquenti, li violentano per derubarli; bande di cacciatori di migranti li bastonano, li portano alla polizia o semplicemente li assassinano; e alcuni funzionari o poliziotti praticano l’estorsione, abusano o discriminano. I migranti muoiono di sete nei deserti, si fratturano cadendo dai muri e dai tralicci; rimangono mutilati dai treni in movimento dai quali precipitano estenuati, spinti nel tumulto; affogano nei fiumi o vengono buttati in mare dai trafficanti che non vogliono essere scoperti dalla polizia, che li può abbandonare senza alimenti né ripari nella piena pampa andina, impossibilitati a raggiungere quel suolo desiderato che i mass media, contraddittoriamente, insistono a mostrare come terra di opportunità per tutti.

È così ampia l’inadeguatezza delle politiche restrittive che i poteri del crimine organizzato crescono quasi senza contenimento, con influenze nocive sugli apparati pubblici che cercano di corrompere, di trascinare nell’illegalità e di indebolire, compromettendo il complesso della legalità democratica. È il sordido ma vantaggioso affare della disperazione umana. È il caso, in America Latina, del turismo sessuale e del servizio di bordelli presso le basi militari, specialmente nordamericane, spesso con la cooperazione di queste, che aprono mercati di prostituzione forzata. E dell’emblematica Ciudad Juarez (Chihuahua, Messico), frontiera con gli Stati Uniti, dove centinaia di donne giovani e povere sono state brutalmente assassinate negli ultimi anni nella più completa e nota impunità.

Ma tutto questo sono dolori di parto. Sono le ferite che rimangono sulla pelle dell’umanità causate da una politica migratoria che è sempre più restrittiva e criminale. Alle stesse frontiere internazionali dove la crisi si mostra più acuta e incontrollabile ci sono anche le potenzialità per la costruzione di una nuova, legittima ed efficiente regolamentazione. Convertire le frontiere in spazi di incontro e umanizzazione dei flussi e scambi migratori è l’unica alternativa percorribile di fronte a queste crescenti minacce. Passare dalle frontiere ai ponti che facilitano questo processo è un passo imprescindibile. Le alternative a questo scopo sono molteplici e hanno bisogno di un atteggiamento creativo, di elaborazione del necessario, avendo come orizzonte la costruzione graduale di spazi di integrazione regionale dove le frontiere, intese come confini basati sui controlli, spariscano perché infine il pianeta intero diventi spazio di libera circolazione, residenza e lavoro per l’umanità.

Questo futuro che si sta prefigurando, che è in costruzione, malgrado debba scontrarsi con innumerevoli ostacoli, è non soltanto un compito storico, ma un dovere urgente di umanità.

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